Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 marzo 2020, n. 5895
Trasformazione del Trattamento di Fine Servizio nel TFR
privatistico, Principio di infrazionabilità del rapporto previdenziale,
Liquidazione di un’unica indennità al termine del servizio, Natura
previdenziale propria dei trattamenti di fine servizio del pubblico impiego
Rilevato che
1. con sentenza in data 27 giugno- 26 settembre 2013
nr. 1690 la Corte d’Appello di Palermo, per quanto ancora in discussione,
confermava la sentenza del Tribunale di Marsala nella parte in cui aveva
accolto la domanda proposta da F.B., A.F. L. e M.L.M. nei confronti dell’INPS
(ex INPDAP) e del Ministero della giustizia per il pagamento del TFR maturato
alla conclusione dei rispettivi rapporti di lavoro a tempo determinato,
intercorsi dal 24 ottobre 2000 al 28 dicembre 2008 alle dipendenze del
Ministero della giustizia, presso il quale i dipendenti erano stati
successivamente stabilizzati.
2. La Corte territoriale respingeva la tesi dell’
INPS secondo cui la trasformazione del precedente Trattamento di Fine Servizio
(in prosieguo: TFS) nel TFR privatistico non ne aveva snaturato la funzione
previdenziale sicchè doveva applicarsi il principio di infrazionabilità del
rapporto previdenziale, in forza del quale veniva mantenuta la iscrizione al
fondo previdenziale e liquidata un’unica indennità soltanto al termine del
servizio, a prescindere dalle vicende del rapporto di impiego, quali passaggi
di ruolo, di qualifica o di amministrazione.
3. Osservava che il diritto a percepire il TFR
derivava dalla estinzione del precedente rapporto a termine. Evidenziava che
tra la cessazione del contratto a tempo determinato e la assunzione in ruolo
era intervenuto un intervallo temporale di un giorno sicchè doveva negarsi la continuità
del rapporto di lavoro.
4. Ha proposto ricorso per la cassazione della
sentenza l’INPS, articolato in un unico motivo, cui gli intimati non hanno
opposto difese. Il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA ha depositato atto di costituzione
ai fini della eventuale partecipazione alla discussione della causa.
5. Il M ha chiesto dichiararsi il ricorso
inammissibile.
Considerato che
1. Con l’unico motivo l’INPS ha dedotto violazione e
falsa applicazione dell’articolo 2120 cod.civ.,
dell’articolo 3 DPR 1032/1973, dell’articolo 1, comma sei, DPCM
20.12.1999.
2. Ha premesso in fatto che gli intimati avevano
prestato servizio a termine ai sensi della legge
242/2000, per il collocamento dei lavoratori socialmente utili ed erano
stati stabilizzati per effetto dell’articolo 1, comma 519, della legge
296/2006. Essi aveva presentato le dimissioni il 15 dicembre 2008 con
effetto dal 29 dicembre 2008 e nella stessa data avevano sottoscritto il
contratto a tempo indeterminato con efficacia dal 29 dicembre 2008. Nessuno
iato temporale era pertanto intervenuto, contrariamente a quanto affermato dal
giudice dell’appello, tra la cessazione del rapporto di impiego a tempo
determinato e la immissione in ruolo. Il contratto a tempo indeterminato aveva
ad oggetto non solo le identiche mansioni svolte nel periodo di lavoro a
termine ma anche la stessa sede di servizio.
3. Ha dedotto in punto di diritto che la normativa
sul TFR dei dipendenti pubblici non è assimilabile a quella privatistica, in
quanto si innesta nella medesima gestione relativa al TFS, fondata su due
presupposti:
– i periodi inferiori all’anno non danno diritto ad
alcuna prestazione, anche se talora accompagnati dall’obbligo di contribuzione,
diversamente da quanto previsto per il TFR;
– i periodi in continuità previdenziale non possono
costituire oggetto di liquidazioni singole.
4. Il ricorso è infondato.
5. In punto di diritto si premette che il passaggio
del lavoro pubblico contrattualizzato al regime del TFR è stato realizzato con
le seguenti cadenze:
– la legge
8 agosto 1995 nr. 335 all’articolo 2, commi 5 – 7, prevedeva che per i
lavoratori assunti dal 1 gennaio 1996 i trattamenti di fine servizio, comunque
denominati, fossero regolati in base a quanto previsto dall’articolo 2120 del codice civile, rimettendo alla
contrattazione collettiva nazionale la definizione (entro il 30 novembre 1995),
nell’ambito dei singoli comparti delle modalità di attuazione di tale
previsione— con peculiare riguardo agli adeguamenti della struttura retributiva
e contributiva— nonché delle modalità di applicazione della disciplina del
trattamento di fine rapporto ai lavoratori già occupati alla data del 31
dicembre 1995. Avrebbe fatto seguito un decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri contenente norme di esecuzione di quanto definito nella sede
collettiva. Il comma otto ha aggiunto che il trattamento di fine rapporto è
corrisposto dalle stesse amministrazioni od enti che provvedono al pagamento
dei trattamenti di fine servizio. La prevista sequenza temporale non è stata
nei fatti rispettata.
– Successivamente la legge nr. 449/1997, articolo 59,
comma 56, al fine di favorire il processo di attuazione delle disposizioni in
materia di previdenza complementare, ha previsto la possibilità dei dipendenti
delle pubbliche amministrazioni di richiedere la trasformazione dell’ indennità
di fine servizio in trattamento di fine rapporto, stabilendo in caso di opzione
la destinazione a previdenza complementare di una quota dell’1,5% della
aliquota contributiva relativa all’indennità di fine servizio, nei modi da
definirsi con le organizzazioni sindacali dei lavoratori.
– L’art.
26, comma 19, della legge n. 448 del 1998 ha poi rinviato al decreto del
Presidente del Consiglio dei ministri emanato secondo le procedure delineate
dall’art. 2, commi 6 e 7, della
legge n. 335 del 1995, la disciplina dell’accantonamento, rivalutazione e
gestione della suddetta quota dell’1,5 per cento (per il personale che opta per
la trasformazione dell’indennità di fine servizio in trattamento di fine
rapporto) nonché la definizione: degli adeguamenti della struttura retributiva
e contributiva conseguenti all’applicazione del trattamento di fine rapporto;
delle modalità di erogazione del trattamento di fine rapporto per i periodi di
lavoro prestato a tempo determinato; delle modalità necessarie per rendere
operativo il passaggio al nuovo sistema del personale di cui al comma 5 dell’articolo 2 della legge 8 agosto
1995, n. 335.
– In attuazione delle suddette previsioni è stato
stipulato l’accordo quadro 29 luglio 1999, i cui contenuti sono stati recepiti
dal DPCM 20 dicembre 1999 e s.m.i., recante
«Trattamento di fine rapporto e istituzione dei fondi pensione dei pubblici
dipendenti».
– L’articolo
1, comma nove, del suddetto DPCM 20 dicembre
1999, ha previsto la applicazione del regime del TFR per i contratti a
termine instaurati dalle pubbliche amministrazioni dal 30 maggio 2000 (data di
entrata in vigore del medesimo DPCM) ovvero in corso alla medesima data
– Il successivo articolo 2 (nel testo modificato
dall’art. 1 del d.P.C.M. 2 marzo
2001) ha disposto il passaggio al regime del TFR nei confronti del
personale delle pubbliche amministrazioni assunto a tempo indeterminato
successivamente al 31 dicembre 2000, dando così luogo ad un duplice regime: TFS
o altre indennità di fine servizio diversamente denominate, per i dipendenti assunti
ante 2001, salva la facoltà di opzione; TFR per i dipendenti assunti a partire
dall’i gennaio di detto anno.
6. Per quanto pacifico in causa, gli odierni
intimati sono stati in regime di TFR sin dalla assunzione a termine, in data 24
ottobre 2000 (in coerenza con il disposto dell’articolo 1, comma nove, DPCM 20
dicembre 1999, di cui si è detto).
7. Nel regime del TFR del lavoro pubblico
contrattualizzato restano, tuttavia, alcune particolarità rispetto alla
disciplina dell’articolo 2120 cod.civ.
8. In particolare, ai sensi dell’articolo 1— commi 6 7 ed 8— DPR 20
dicembre 1999, rispettivamente :
– le quote di TFR maturate anno per anno sono
accantonate figurativamente presso l’INPS (ex-INPDAP), che provvede alla
liquidazione alla cessazione dal servizio del lavoratore, secondo quanto
disposto dalla legge 29 maggio 1982 nr. 297.
L’adempimento è effettuato dall’ente datore di lavoro, invece, per i dipendenti
degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca e sperimentazione e
degli enti per il cui personale non è prevista l’iscrizione all’INPDAP;
– all’INPS (ex INPDAP) è affidata la gestione del
fondo per il trattamento di fine rapporto dei dipendenti dello Stato, delle
aziende di Stato, della scuola, delle Università, della sanità e degli enti
locali, che viene alimentato da un contributo previdenziale interamente a
carico del datore di lavoro.
– il trattamento di fine rapporto è invece a carico
degli enti datori di lavoro, che provvedono alla sua gestione, per i dipendenti
degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca e sperimentazione e
degli enti per il cui personale non è prevista l’iscrizione all’INPDAP.
9. In sostanza, nel meccanismo individuato dal
legislatore e dalle parti sociali il finanziamento e la erogazione del TFR sono
assicurati per i dipendenti dello Stato ( o comunque iscritti all’INPDAP per il
TFS) dall’INPS attraverso le stesse gestioni competenti in materia di TFS; a
tali gestioni si garantisce la continuità ed invarianza del gettito rispetto al
regime precedente, seppure a totale carico del datore di lavoro.
10. Nell’assunto dell’INPS, dunque, il TFR
«pubblico» non avrebbe perso la natura previdenziale propria dei trattamenti di
fine servizio del pubblico impiego. Pertanto, per quanto rileva in causa, esso
continuerebbe ad essere soggetto alla disciplina dell’articolo 3 DPR nr. 1032/1973, sulla
indennità di buonuscita, a tenore del quale: «All’iscritto al Fondo di
previdenza per il personale civile e militare dello Stato, di cui al comma 1,
che effettui passaggi di qualifica, di carriera o di amministrazione senza
soluzione di continuità, e che comunque, dopo tali passaggi, continui ad essere
iscritto al Fondo stesso, viene liquidata all’atto della cessazione definitiva
dal servizio un’unica indennità di buonuscita commisurata al periodo
complessivo di servizio prestato».
11. Nella interpretazione dell’INPS tale norma
sancisce il principio della infrazionabilità del trattamento di fine servizio
dei dipendenti pubblici, anche in presenza di una novazione del rapporto di
lavoro, laddove il passaggio al nuovo rapporto di lavoro avvenga senza
soluzione temporale di continuità.
12. Di qui la rilevanza della questione di fatto,
posta in discussione con il ricorso, della esistenza o meno per i rapporti di
causa di un intervallo temporale ( seppure di un solo giorno) tra il periodo di
iscrizione al fondo in relazione al rapporto a termine ed il periodo di
iscrizione al fondo in forza del rapporto a tempo indeterminato.
13.La tesi è dell’INPS è infondata in diritto, il
che priva di rilievo la questione della continuità temporale della iscrizione
delle odierne parti intimate al fondo per il trattamento di fine rapporto.
14. Le Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto
del 14 novembre 2014 nr. 24280 hanno già respinto la tesi dell’INPS di
infrazionabilità del trattamento di fine servizio in una fattispecie in cui era
avvenuto il passaggio, senza soluzione temporale di continuità, dall’impiego
alle dipendenze del Comune (nella scuola comunale) in regime di «indennità
premio di servizio» ad un nuovo rapporto di impiego alle dipendenze del MIUR
(nella scuola statale) in regime di TFR.
15. Nella richiamata pronuncia le Sezioni Unite,
dopo avere evidenziato che la disciplina dell’articolo 3 DPR 1032/1973 è tutta
interna al lavoro statale ed alla indennità di buonuscita e non si applica nel
caso di cessazione del rapporto di lavoro alle dipendenze di un ente locale ed
instaurazione di un nuovo rapporto alle dipendenze dello
Stato, hanno svolto considerazioni più generali,
perfettamente riferibili anche al caso, qui in discussione, della successione
di due diversi rapporti di lavoro alle dipendenze della amministrazione
statale, entrambi in regime di TFR.
16.In particolare, hanno evidenziato che la tesi
della infrazionabilità del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici
—anche in presenza di un nuovo rapporto di lavoro— trovava fondamento
nell’affermazione che il diritto a percepire il trattamento di fine servizio
non è collegato all’estinzione del rapporto di lavoro ma soltanto
all’estinzione del rapporto previdenziale, rapporto che poteva persistere in
presenza di cessazioni e nuove costituzioni del rapporto di lavoro, con il
medesimo o con un diverso ente pubblico. In sostanza, il presupposto di tale
tesi era costituito dalla natura previdenziale e non retribuiva dell’indennità
di fine servizio e dal conseguente collegamento del diritto alla sua
liquidazione con il rapporto previdenziale e non con quello di lavoro.
17. Osservando come questa tesi era comunque
fragile, perché discutibile e discussa era l’affermazione della natura
previdenziale del trattamento di fine servizio, che ne costituiva il
presupposto, le Sezioni Unite hanno affermato (punti da 37 a 40 della pronuncia
citata): «L’argomentazione, in ogni caso, oggi non è più spendibile, essendo
cambiato il quadro normativo perchè il legislatore, con la riforma delle
pensioni (L. del 335 del 1995, prima
richiamata), ha “armonizzato” i molteplici trattamenti di fine
servizio dei dipendenti pubblici contrattualizzati, assoggettandoli tutti alla
disciplina privatistica dettata dall’art. 2120 c.c.,
(come riformato dalla L. n. 297 del 1982).
Alla stregua di questa normativa, il TFR spetta
“in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato” (art. 2120 c.c., comma 1), quindi il collegamento,
per espressa previsione normativa, è con la cessazione del rapporto di lavoro
subordinato. All’interprete non è consentito modificare il contenuto della
norma operando il collegamento con l’estinzione del rapporto previdenziale,
qualora le estinzioni dei due rapporti non coincidano.
Inoltre, il TFR viene costituito mediante
l’accantonamento anno per anno di quella che l’art.
2120 c.c., definisce una quota della retribuzione determinata dividendo per
13,50 la retribuzione annua corrisposta, a titolo non occasionale, in
dipendenza del rapporto di lavoro. E’ pertanto chiaro il carattere
“retributivo e sinallagmatico” del TFR, come la Sezione lavoro di
questa Corte ha già messo in evidenza (da ultime, Cass.
14 maggio 2013, n. 11479 e 22 settembre 2011, n.
19291, ma cfr. anche le convergenti conclusioni della Sezione tributaria in
Cass. 26 maggio 2005, n. 11175).
Il TFR quindi è costituito da retribuzioni
accantonate, da percepire a fine rapporto o anche prima qualora sussistano i
requisiti per l’anticipazione prevista dalla parte finale dell’art. 2120 c.c.. Di conseguenza, viene meno il
ponte concettuale che permetteva di sostenere la tesi della infrazionabilità
del trattamento di fine servizio pur in presenza di un’estinzione del rapporto
di lavoro, quando ciò non implicasse anche l’estinzione del rapporto
previdenziale».
18. Tale principio deve essere in questa sede
ribadito.
19. A tenore dell’articolo 1, comma sei, DPCM 20
dicembre 1999 il trattamento di fine rapporto è liquidato dall’INPS (ex
INPDAP) « alla cessazione dal servizio del lavoratore secondo quanto disposto
dalla legge 29 maggio 1982 nr. 297».
20. Analogamente il successivo articolo 2 prevede che nei
confronti del personale assunto successivamente alla data del 31 dicembre 2000
si applicano le regole «concessive» di cui alla legge
29 maggio 1982 nr. 297.
21. La esigibilità del TFR è stata cioè ancorata ai
medesimi presupposti previsti per il lavoro privato e, dunque, alla cessazione
giuridica del rapporto di lavoro e non alla cessazione della iscrizione al
fondo per il trattamento di fine rapporto, gestito dall’INPS. Resta pertanto
irrilevante, al pari di quanto previsto per il lavoro privato, la eventuale
continuità temporale, in fatto, di più rapporti di lavoro, in forza della quale
permanga la iscrizione al fondo; assume, invece, esclusivo rilievo ai fini
della esigibilità del TFR la «cessazione dal servizio» ovvero la cesura sotto
il profilo giuridico tra due rapporti di lavoro, seppure in successione
temporale tra loro ed alle dipendenze della medesima amministrazione statale.
22. Nella fattispecie di causa tale principio è
stato correttamente applicato dalla sentenza impugnata, in quanto è pacifico
che il rapporto di lavoro a termine è cessato per dimissioni ed è stato
costituito un nuovo rapporto di lavoro a tempo indeterminato, seppure alle
dipendenze della stessa amministrazione .
23. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.
24. Non vi è luogo a rifusione delle spese, per la
mancata costituzione delle parti intimate e la sostanziale assenza di attività
difensiva del MINISTERO DELLA GIUSTIZIA.
25. Trattandosi di giudizio instaurato
successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai
sensi dell’art.1 co 17 L.
228/2012 ( che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della
sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto .
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.