Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 marzo 2020, n. 7243
Violazioni in materia di tutela del lavoro, Omessa consegna
della dichiarazione con i dati della registrazione sul libro matricola e omessa
tenuta del LUL, Contestazione sulla pretesa errata valutazione delle emersioni
probatorie, Attribuzione di una diversa valutazione alle dichiarazioni
testimoniali, Inammissibile richiesta di riesame di elementi di fatto e di
verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione sarebbe mancata
o sarebbe stata illogica
Rilevato
che la Corte di Appello di Ancona, con sentenza
pubblicata in data 6.6.2014, ha respinto il gravame interposto da G.L., nei
confronti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (per la Direzione
territoriale del Lavoro di Ancona, già D.P.L.), avverso la pronunzia del
Tribunale della stessa sede n. 150/2013, resa il 5.3.2013, con cui era stata
rigettata l’opposizione proposta dalla società all’ordinanza ingiunzione n.
478/2011, con intimazione di pagamento della sanzione amministrativa di Euro
29.522,29, emessa dalla Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona (già D.P.L.
di Ancona), con la quale erano state contestate violazioni in materia di tutela
del lavoro e, segnatamente, dell’art.
4-bis, comma 2, del D.Igs. n. 181 del 2000, per omessa consegna della
dichiarazione con i dati della registrazione sul libro matricola; dell’art. 39, comma 1, della I. n. 133 del
2008, per omessa tenuta del Libro Unico del lavoro; dell’artt. 3, comma 3, del D.I. n. 12 del
2002, convertito in I. n. 73 del 2002, per
aver impiegato lavoratori non risultanti dalle scritture contabili
dell’azienda;
che per la cassazione della sentenza G.L. ha
proposto ricorso, sulla base di un motivo, notificato all’Avvocatura Generale
dello Stato, anziché alla Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona (già
Direzione Provinciale del Lavoro), Autorità amministrativa che ha emesso
l’ordinanza ingiunzione di cui si tratta, la quale, pertanto, non ha svolto
attività difensiva;
che il P.G. non ha formulato richieste
Considerato
che, con il ricorso, si censura: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c.,
la «violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, nonché omissione,
insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione circa punti decisivi
della controversia», per non avere la Corte di merito operato una corretta
valutazione delle risultanze istruttorie ed avere omesso di motivare
adeguatamente anche in merito alle spese del giudizio, al pagamento delle quali
il ricorrente è stato condannato «per la piena soccombenza», in ordine alla
quale (soccombenza), <<il ricorrente non può non manifestare viva
perplessità»;
che, preliminarmente, va osservato che, in tema di
legittimazione passiva nel giudizio di opposizione a sanzioni amministrative in
materia di lavoro, «legittimata passivamente è solo l’Autorità che ha emesso il
provvedimento opposto, e non il Ministero del Lavoro; e tale legittimazione
esclusiva persiste anche nella fase di impugnazione davanti alla Cassazione, in
mancanza di alcuna disposizione da cui sia desumibile il subentro del
Ministero» (cfr., ex plurimis, Cass. nn.
15169/2015; 8316/2015; 6788/2015; 6316/2015; 21511/2008; 12742/2007; Cass.
ord. n. 6068/2018): pertanto, nella fattispecie, legittimata passivamente è la
Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona (già D.P.L. di Ancona), che ha,
appunto, emesso il provvedimento opposto e, quindi, la notifica del ricorso non
avrebbe dovuto essere effettuata in Roma, presso l’Avvocatura Generale dello
Stato, come, invece, erroneamente, è avvenuto;
che, ciò premesso, dovendosi, comunque dichiarare il
ricorso inammissibile per i motivi di seguito esplicitati, è assorbente tale
soluzione, in base alla quale la questione può decidersi, per il principio
della «ragione più liquida» (cfr., per tutte, Cass., Sez.Un., n. 26242/2014),
senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre, secondo l’ordine
stabilito dall’art. 276 del codice di rito e 118 Disp. Att.;
che, ciò premesso, il motivo è inammissibile per
diversi e concorrenti profili; ed, innanzitutto, perché contiene la
contemporanea deduzione di violazioni di plurime disposizioni di legge, nonché
di vizi di motivazione e di erronea valutazione delle risultanze istruttorie,
oltre all’invocazione di non meglio precisati errores in procedendo, in
violazione del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione,
poiché nella parte argomentativa dello stesso non risulta possibile scindere le
ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una
situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile
l’operazione di interpretazione e di sussunzione delle censure (al riguardo,
tra le molte, Cass. nn. 21239/2015; 23675/2013; 7394/2010, 20355/2008,
9470/2008). In particolare, va pure sottolineato che le Sezioni Unite di questa
Corte, dinanzi ad un motivo di ricorso che conteneva censure astrattamente
riconducibili ad una pluralità di vizi tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., hanno ribadito la
stigmatizzazione di tale tecnica di redazione del ricorso per cassazione,
evidenziando «la impossibilità di convivenza, in seno al medesimo motivo di
ricorso, di censure caratterizzate da irrimediabile eterogeneità» (Cass., S.U.,
nn. 17931/2013, 26242/2014);
che, inoltre, la parte ricorrente, in spregio alla
prescrizione di specificità dell’art. 366, primo
comma, n. 4, c.p.c., non ha fornito precise argomentazioni intese
motivatamente a dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto,
contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le
disposizioni regolatrici della fattispecie (neppure specificate) o con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di
legittimità (cfr., tra le molte, Cass., Sez. VI, ord. nn. 187/2014; 635/2015;
Cass. nn. 19959/2014; 18421/2009); ed invero, nel caso in esame, manca la
focalizzazione del momento di conflitto, rispetto alle censure sollevate,
dell’accertamento operato dalla Corte territoriale all’esito delle emersioni
probatorie (cfr., ex plurimis, Cass nn.24374/2015; 80/2011)
e, pertanto, le doglianze mosse al procedimento di sussunzione operato dai
giudici di seconda istanza si risolvono in considerazioni di fatto del tutto
inammissibili e sfornite di qualsiasi delibazione probatoria;
che, peraltro, la censura relativa la «vizio di
motivazione» è inammissibile, altresì, per la formulazione non più consona con
le modifiche introdotte al n. 5 del primo comma dell’art.
360 c.p.c. dall’art. 54,
comma 1, lett. b), del D.L. 22/6/2012, n. 83, convertito, con modificazioni,
nella legge 7/8/2012, n. 134, applicabile,
ratione temporis, al caso di specie poiché la sentenza oggetto del giudizio di
legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 6.6.2014;
che, infine, la valutazione delle prove, alla
stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di questa Suprema Corte (cfr.,
ex multis, Cass. nn. 17611/2018; 13054/2014; 6023/2009), è attività
istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in Cassazione
se non sotto il profilo della congruità del relativo apprezzamento (nella
fattispecie, peraltro, del tutto congrua, condivisibile e scevra da vizi
logici);
che, nel caso di specie, invero, la contestazione
sulla pretesa errata valutazione delle emersioni probatorie non specifica i
punti ritenuti fondamentali al fine di consentire il vaglio di decisività, che
avrebbe eventualmente dovuto condurre i giudici ad una diversa pronunzia, con
l’attribuzione di una diversa valutazione anche alle dichiarazioni testimoniali
relativamente alle quali si denunzia il vizio; la stessa si risolve, dunque, in
una inammissibile richiesta di riesame di elementi di fatto e di verifica
dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione sarebbe mancata o
sarebbe stata illogica (cfr. Cass. nn. 24958/2016; 4056/2009), finalizzata ad
ottenere una nuova pronunzia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle
finalità del giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., SU., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014);
che per tutto quanto in precedenza esposto, il
ricorso va dichiarato inammissibile;
che nulla va disposto per le spese nei confronti
della Direzione Territoriale del Lavoro di Ancona che, per i motivi innanzi
esplicitati, è rimasta intimata;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso deve, comunque, rilevarsi che non sussistono,
allo stato, i presupposti di cui all’art.
13, comma 1- quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, poiché G.L., con delibera
del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ancona in data 13.10.2014, è stato
ammesso, in via anticipata e provvisoria, a far data dal 10.10.2014, al
patrocinio a spese dello Stato
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le
spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della non sussistenza, allo stato, dei presupposti
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso articolo 13.