Il licenziamento del dipendente che abusi dei permessi ex art. 33, co. 3, L. n. 104/1992 è illegittimo.
Nota a Cass. 22 gennaio 2020, n. 1394
Francesco Belmonte
Il permesso di cui all’art. 33, co. 3, L. 5 febbraio 1992, n. 104, deve essere riconosciuto al lavoratore in ragione dell’assistenza al disabile e in relazione causale diretta con essa, «senza che il dato testuale e la “ratio” della norma ne consentano l’utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per detta assistenza».Da ciò ne deriva che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse da quelle contemplate dalla legge “integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari.”
Questo, il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione (22 gennaio 2020, n. 1394), la quale, conformemente alle statuizioni dei giudici di merito (App. L’ Aquila 14 giugno 2018, n. 418), ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato dalla Banca popolare di Bari ad un proprio dipendente, in ragione dell’utilizzo distorto dei permessi per assistere il familiare disabile.
Nella specie, dalla relazione dell’agenzia investigativa (incaricata dal datore di lavoro) nonché dalle prove testimoniali, era emerso che il lavoratore aveva abusato di quattro permessi, in quanto, nelle giornate dell’11, 16, 18 e 30 novembre 2015, si era recato presso l’abitazione del padre disabile solo per 15 minuti nella giornata del 18 novembre, utilizzando peraltro la pausa pranzo (e non l’orario concesso per il permesso).
La Cassazione ha ritenuto legittimo il provvedimento rammentando la ratio sottesa alla disposizione in commento, che attribuisce al “lavoratore dipendente… che assiste persona con handicap in situazione di gravità…” il diritto di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito (coperto da contribuzione figurativa), a condizione che “l’assenza dal lavoro si ponga in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile”. Quest’ultima, a parere della Corte, “può essere prestata con modalità e forme diverse, anche attraverso lo svolgimento di incombenze amministrative, pratiche o di qualsiasi genere, purché nell’interesse del familiare assistito” (cfr. Cass. ord. n. 23891/2018).
Pertanto, il comportamento del dipendente che non si avvalga del permesso previsto dalla norma citata, in coerenza con la funzione dello stesso (ossia, l’assistenza del familiare disabile), “integra un abuso del diritto in quanto priva il datore di lavoro della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente ed integra, nei confronti dell’Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un’indebita percezione dell’indennità ed uno sviamento dell’intervento assistenziale” (cfr., per tutte, Cass. n. 17968/2016).
(Sul tema, v., in questo sito, Cass. 22 ottobre 2019, n. 26956, con nota di F. DURVAL, Funzione e limiti dei permessi per assistenza al disabile; Cass. 20 agosto 2019 n. 21529, con nota di F. DURVAL, Assistenza con modalità variabili al familiare disabile e Cass. 13 settembre 2016, n. 17968, con nota di F. BELMONTE, L’utilizzo distorto dei permessi ex art. 33, co. 3, L. n. 104/92 legittima il licenziamento).