Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 24 aprile 2020, n. 8162
Mancato pagamento di retribuzioni, Cessione ramo d’azienda,
Conciliazione della controversia, lnteresse ad agire, condizione dell’azione,
Connotazione dei caratteri di attualità e concretezza al momento della
decisione in quanto mirato al conseguimento di un risultato giuridicamente
utile, Interesse rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento,
anche in mancanza di contrasto tra le parti sul punto
Rilevato che
Con sentenza in data 22 dicembre 2016, la Corte
d’appello di Venezia revocava i decreti ingiuntivi ottenuti dal Tribunale di
Venezia da L.C., P.C., R.F., O.C., L.B. e L.B., così rigettandone le richieste
di somme in ragione del mancato pagamento di retribuzioni maturate dal novembre
2013 al gennaio 2015, dalla datrice T. Italia s.p.a., cedente il ramo d’azienda
cui essi erano addetti a C. Logistics s.p.a. (con contratto del 27 febbraio
2003 ed effetto dal 1° marzo 2003);
le pretese erano fondate sulla sentenza dello stesso
Tribunale n. 576/2006 (in giudicato per effetto della sentenza n. 17683/2014
della Corte di Cassazione, di rigetto del ricorso avverso la sentenza della
Corte d’appello di conferma), che aveva accertato l’illegittimità della
cessione;
in accoglimento dell’appello della società cedente,
essa riformava pertanto la sentenza di primo grado, che ne aveva invece
rigettato le opposizioni ai distinti decreti; avverso tale sentenza i
lavoratori, con atto notificato il 22 giugno 2017, ricorrevano per cassazione
con sei motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art.
380bis 1 c.p.c., cui T. Italia s.p.a. resisteva con controricorso;
il P.G. rassegnava le proprie conclusioni ai sensi
dell’art. 380bis 1 c.p.c.;
Considerato che
1. i ricorrenti deducono omesso esame di fatto
decisivo, quale l’assenza, nelle deduzioni del ricorso in appello di T. Italia
s.p.a. relative alla sopravvenuta conoscenza dell’impugnazione dei
licenziamenti intimati da C. Logistics s.p.a. ai lavoratori e della successiva
conciliazione della controversia (ai fini di inammissibilità della domanda dei
lavoratori per sopravvenuto difetto d’interesse), di alcun riferimento
temporale per la sua collocazione in un momento successivo all’ultima udienza
davanti al Tribunale, avendo la società in esse semplicemente dato atto
dell’acquisizione della conoscenza soltanto “nel corso del giudizio”
(primo motivo); nullità della sentenza per violazione dell’art. 115, primo comma c.p.c., per non corretta
applicazione del principio di “non contestazione”, in assenza di un
onere dei lavoratori più specifico della deduzione di novità della questione, a
fronte della generica allegazione dalla società datrice cedente di conoscenza
delle circostanze indicate nella precedente doglianza soltanto “nel corso
del giudizio” (secondo motivo);
2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di
stretta connessione, sono infondati;
2.1. premesso che l’interesse ad agire, condizione
dell’azione, connotato dai caratteri di attualità e concretezza al momento
della decisione in quanto mirato al conseguimento di un risultato
giuridicamente utile (Cass. 30 luglio 2015, n. 16162; Cass. 24 gennaio 2019, n.
2057), è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, anche in
mancanza di contrasto tra le parti sul punto, poiché costituisce un requisito
per la trattazione nel merito della domanda (Cass. 7 marzo 2002, n. 3330; Cass.
29 settembre 2016, n. 19268);
2.2. la circostanza di fatto della sopravvenuta
conoscenza da T. Italia s.p.a. dell’impugnazione dei licenziamenti intimati da
C. Logistics s.p.a. ai lavoratori e della successiva conciliazione della
controversia, veicolata nella prospettiva della carenza di interesse ad agire
dei lavoratori, è stata esaminata, quale fatto storico decisivo e pertanto nel
rispetto della nuova formulazione dell’art. 360,
primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile
2014, n. 8053; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415), dalla Corte territoriale
(all’ultimo capoverso di pg. 11 della sentenza);
2.3. dedotta quale dato di fatto specificamente
allegato, essa non è stata punto contestata dai lavoratori, limitatisi a
dedurre, sotto il profilo giuridico, la novità della questione posta: così
operando il principio di non contestazione, posto dall’art. 115 c.p.c. (Cass. 19 ottobre 2016, n. 21075;
Cass. 10 maggio 2018, n. 11252), appunto riguardante le sole allegazioni
assertive della controparte (Cass. 21 giugno 2016, n. 12748; Cass. 8 febbraio
2018, n. 3022; Cass. 27 giugno 2018, n. 16908);
2.4. nel caso di specie, la Corte veneziana ha
ritenuto, nell’esaminare la deduzione di fatto, I'”assenza di
contestazione circa la sopravvenuta conoscenza” da parte dei lavoratori
(al primo capoverso di pg. 12 della sentenza): con apprezzamento di esclusiva
spettanza del giudice del merito, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo
riservato, dell’esistenza e del valore di una condotta di non contestazione dei
fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. 7 febbraio 2019, n. 3680;
Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490); ed esso è da intendere in riferimento alla
sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, quale
contenuto della posizione processuale della parte, rientrante
nell’interpretazione dell’atto della parte, quale funzione del giudice di
merito insindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione
(Cass. 16 dicembre 2005, n. 27833; Cass. 3 maggio 2007, n. 10182);
3. i ricorrenti deducono quindi violazione e falsa
applicazione degli artt. 2112 e 1406 c.c., per avere la Corte territoriale
erroneamente ritenuto l’unicità del rapporto di lavoro intrattenuto dai
prestatori con la cedente e con la cessionaria, anche nel caso di accertata
illegittimità del trasferimento, anziché distinto i due rapporti (uno di fatto
con la seconda; l’altro quiescente con la prima), con la conseguente
ininfluenza delle vicende (nel caso di specie di conciliazione del giudizio di
impugnazione del licenziamento intimato dalla cessionaria) del rapporto con la
cessionaria su quello con la cedente (terzo motivo);
4. esso è fondato;
4.1. deve innanzitutto essere esclusa
l’inammissibilità del mezzo, per supposta novità della questione relativa alla
duplicità, piuttosto che unicità, del rapporto di lavoro in oggetto, avendo
essa a pieno titolo costituito parte (tra l’altro, cruciale) del dibattito processuale,
come risulta dalle allegazioni difensive riportate nella sentenza impugnata (in
particolare, al secondo capoverso di pg. 6, all’ultimo di pg. 8 e al primo di
pg. 9);
4.2. nel merito, questa Corte ha ritenuto, con
sentenze oggetto di ampie ed approfondite argomentazioni (Cass. 3 luglio 2019, n. 17784; Cass. 7 agosto 2019, n. 21158), qui espressamente
richiamate in quanto condivise e pertanto meritevoli di continuità, che:
4.2.1. soltanto un legittimo trasferimento d’azienda
comporti la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato,
nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i
presupposti di cui all’art. 2112 c.c. che, in
deroga all’art. 1406 c.c., consente la
sostituzione del contraente senza consenso del ceduto. Ed è evidente che
l’unicità del rapporto venga meno, qualora, come appunto nel caso di specie, il
trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e
nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui
dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare;
4.2.2. per insegnamento consolidato nella
giurisprudenza di legittimità l’unicità del rapporto presuppone la legittimità
della vicenda traslativa regolata dall’art. 2112
c.c.: sicché, accertatane l’invalidità, il rapporto con il destinatario
della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende
risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico
ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente per
l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale);
4.2.3. il trasferimento del medesimo rapporto si
determina solo quando si perfeziona una fattispecie traslativa conforme al
modello legale; diversamente, nel caso di invalidità della cessione (per
mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112
c.c.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del
consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), quel
rapporto di lavoro non si trasferisce e resta nella titolarità dell’originario
cedente (da ultimo: Cass. 28 febbraio 2019, n. 5998);
4.2.4. pure a fronte di una duplicità di rapporti
(uno, de iure, ripristinato nei confronti dell’originario datore di lavoro,
tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in
mora del lavoratore; l’altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già
cessionario, effettivo utilizzatore), la prestazione lavorativa solo
apparentemente resta unica giacché, accanto ad una prestazione materialmente
resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente
trasferito con la cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di
lavoro di fatto, ve n’è un’altra giuridicamente resa, non meno rilevante sul
piano del diritto, in favore dell’originario datore, con il quale il rapporto
di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per rifiuto ingiustificato
del predetto) ripristinato;
4.2.5. nello stesso senso, è stato ribadito il
consolidato orientamento circa l’interesse a far valere giudizialmente
l’insussistenza di un trasferimento di ramo d’azienda da parte del lavoratore
ceduto, nonostante la prestazione di lavoro resa in favore del cessionario e le
eventuali vicende risolutive del rapporto con il medesimo, siccome irrilevanti
(Cass. 16 giugno 2014, n. 13617; Cass. 7
settembre 2016, n. 17736; Cass. 24 ottobre 2017,
n. 25144; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2281);
5. i ricorrenti deducono in subordine nullità della
sentenza per violazione dell’art. 2909 c.c.,
per la ritenuta deducibilità nell’odierno giudizio di fatti (asseritamente)
estintivi nonostante la preclusione per il giudicato (Cass. n. 17683/2014)
formatosi sull’accertamento di persistenza del rapporto dei lavoratori con T.
Italia s.p.a. (quarto motivo); violazione degli artt.
1372 e 2727 c.c., per erronea
individuazione dalla Corte territoriale di un comportamento concludente dei
lavoratori (nell’impugnazione del licenziamento loro intimato da C. Logistics
s.p.a. e nella successiva conciliazione della controversia), tale da indurne il
riflesso degli effetti estintivi del rapporto con essa anche in quello con T.
Italia s.p.a., nonostante l’inequivoca presenza di circostanze contraddittorie,
quali la prosecuzione del contenzioso con questa, sotto vari profili, per
ottenerne il ripristino del rapporto di lavoro e il risarcimento del danno per
il relativo inadempimento (quinto motivo);
omesso esame di fatti decisivi, quali le circostanze
indicate nel precedente motivo, contrarie a indurne il comportamento
concludente dei lavoratori erroneamente ritenuto (sesto motivo);
5.1. essi sono assorbiti;
8. pertanto deve essere accolto il terzo motivo di
ricorso, rigettati i primi due ed assorbiti gli altri, con la cassazione della
sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per la
regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di
Venezia in diversa composizione;
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati i
primi due ed assorbiti gli altri; cassa la sentenza, in relazione al motivo
accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di
legittimità, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.