Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2020, n. 8440

Rendita Inail, Aggravamento dei postumi invalidanti,
Dissenso diagnostico, Inammissibile critica del convincimento del giudice
rispetto alle conclusioni del c.t.u., Mancata adduzione di alcuna devianza
dalle nozioni correnti della scienza medica

Rilevato

Che il tribunale di Busto Arsizio, per quanto qui
rileva, con sentenza n. 178 del 2010, accoglieva parzialmente la domanda del
ricorrente con la quale questi aveva agito al fine di vedersi riconosciuto
l’aggravamento nella misura del 40% di inabilità, ai sensi del T.U. 1124/1965, dei postumi invalidanti
quantificati dall’Istituto con rendita unificata nella misura del 23%, per
quattro infortuni subiti rispettivamente il 15 giugno 92, il 1 giugno 95, il 3
gennaio 98, l’11 gennaio 2000, nonché l’aggravamento, nella misura del 23% ai
sensi del d.lgs. n. 38/2000, di quelli
quantificati dall’Istituto con rendita unificata nella misura del 6% per altro
infortunio occorso il 25 settembre 2002 nonché per la malattia professionale
“tendinopatia dei flessori con cisti tendine al secondo e terzo dito della
mano destra”.

Il tribunale, in particolare, per il primo gruppo di
infortuni riconosceva l’aggravamento dei postumi invalidanti nella misura del
24%, mentre per infortunio la malattia successivi al 2000, riconosceva postumi
di carattere permanente nella misura del 10%;

che la Corte di appello di Milano con sentenza
n.5495/2013, decidendo sui gravami formulati dal S., per quanto qui rileva, ha
respinto la domanda relativa agli aggravamenti;

che a fondamento del decisum:

– in ordine alla domanda relativa all’aggravamento
dei postumi invalidanti (per la rendita unificata da infortunio sul lavoro
nella misura di 40 punti percentuali ai sensi del T.U.
1124/1965 e per la rendita unificata da infortunio sul lavoro e malattia
professionale della misura di 23 punti percentuali ai sensi del D.Igsl. n. 38 del 2000), la corte ha concordato
con la valutazione svolta in primo grado sulla scorta di una nuova consulenza
medico-legale che è approdata alle medesime conclusioni, escludendo alcun
aggravamento nei postumi invalidanti consolidati per i primi quattro infortuni;

– quanto alla domanda di aggravamento relativa
all’infortunio successivo al 2000 e alla malattia professionale, la corte ha
pure evidenziato come sulla scorta della rinnovata CTU, i postumi consolidati
sarebbero inferiori a quelli accertati dal primo giudice, confermandone
tuttavia la pronuncia, per mancanza di appello incidentale da parte
dell’Istituto appellato.

che avverso la decisione di secondo grado ha
proposto ricorso per cassazione il S., affidato ad unico articolato motivo;

che l’INAIL ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte

 

Considerato

 

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si
censura:

– ai sensi dell’articolo
360 co. 1 n. 5 cpc, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’articolo 360 co. 1 n. 5 cpc, – ai sensi dell’articolo 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa
applicazione dell’art. 13 DPR
38/2000 in relazione alla voce numero 163 della tabella allegata al D.M. 12 luglio 2000.

Evidenzia, in particolare, il ricorrente che la
corte d’appello di Milano non avrebbe adeguatamente considerato il fatto che la
consulenza tecnica raccolta all’appello aveva evidenziato un ulteriore malattia
professionale, ossia la sindrome del tunnel carpale a cui il consulente avrebbe
attribuito la valutazione del 6%; sarebbe incorsa in confusione la corte
d’appello di Milano ritenendo che la valutazione del consulente in appello non
potesse modificare le statuizioni non impugnate e quindi divenute cosa
giudicata, contenute nella sentenza di primo grado, poiché avrebbe dovuto
valutare come la patologia ulteriore fosse da aggiungersi alle patologie
oggetto dell’accertamento passato in giudicato anche alla luce dell’omessa
contestazione da parte dell’istituto; per tal via la corte avrebbe omesso la
valutazione di un fatto decisivo che avrebbe condotto, ove valutato,
all’aumento di percentuale nella misura di ulteriori sei punti, nonostante
fosse stato oggetto di discussione tra le parti e oggetto di accertamento da
parte del consulente;

che il motivo è infondato;

ed infatti il motivo di ricorso, costituito dalla
nullità della sentenza per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ai
sensi dell’art. 360, comma 1°, n.5 e la
violazione e falsa applicazione dell’art.
13 DPR 38/2000, si traduce in una censura che non è riconducibile al
paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1,
n. 5, nel testo vigente a seguito della sua riformulazione ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54,
convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, cd
applicabile ratione temporis nel presente giudizio; ciò in quanto, secondo
l’interpretazione resane dalle Sezioni Unite di questa Corte, è denunciabile in
cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione
in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a
prescindere dal confronto con le risultanze processuali, cosicché tale anomalia
si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale
e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto
irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione
perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza
del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione; ipotesi
queste non ricorrenti nel caso in esame, dal momento che la Corte d’appello ha
dato conto con ragionamento logico delle conclusioni della consulenza disposta
in appello di cui è si è appropriata, e risulta idonea a rendere conoscibile il
percorso logico giuridico seguito dal giudice per pervenire alla sua decisione,
e nella stessa non sono riscontrabili intrinseche contraddizioni, peraltro
neppure evidenziate;

dall’altro lato, l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto
decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso
in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di
tutte le risultanze probatorie (cfr, Cass., SU, 7
aprile 2014, n. 8053/8054; nonché, in particolare, sulla contraddittorietà
della denuncia in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e
di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia v. Cass. n. 15882
del 2007);

dalla mera lettura della sentenza impugnata emerge
come la corte abbia dato conto della circostanza, che , all’esito della
rinnovata valutazione, il quantum di invalidità sarebbe stato addirittura
inferiore, e del fatto che, in assenza di appello incidentale dell’ISTITUTO,
non fosse possibile una “reformatio in pejus”; pertanto, il motivo si
limita ad esprimere un dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile
critica del convincimento del giudice rispetto alle conclusioni del c.t.u.,
senza addurre alcuna devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la
cui fonte va indicata, o omissioni di accertamenti strumentali dai quali,
secondo le predette nozioni, non avrebbe potuto prescindersi per la
formulazione di una corretta diagnosi (Cass. ord.
03/02/2012, n. 1652).

la sentenza merita pertanto di essere integralmente
confermata e le spese del presente giudizio vanno poste a carico del ricorrente
soccombente, nella misura indicata in dispositivo;

sussistono i presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari
a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1, del d.p.r. 115/2002.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in € 3000 per compensi
professionali e € 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura
del 15% delle spese generali e altri accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2020, n. 8440
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