I costi connessi alla distribuzione delle divise a titolo gratuito ai dipendenti, se in ottemperanza a obblighi contrattuali, sono deducibili.
Nota a Cass. 12 febbraio 2020, n. 3387
Stefano Quaranta
La Corte di Cassazione (12 febbraio 2020, n. 3387) si è pronunziata in relazione ad una verifica fiscale posta in essere nei confronti di un’impresa, all’esito della quale veniva emesso un avviso di accertamento avente ad oggetto, tra le altre, la contestazione circa la ritenuta (da parte dell’Amministrazione Finanziaria) applicabilità dell’art. 99 TUIR all’IVA rimasta a carico dell’impresa a seguito della distribuzione, a titolo gratuito, delle divise di lavoro ai dipendenti.
La questione sottesa alla pretesa dell’Ufficio delle Entrate, e oggetto della sentenza in nota, verteva sulla applicabilità dell’art 99 TUIR predetto, che prevede l’indeducibilità dall’imponibile IRES, delle imposte per le quali è prevista la rivalsa anche facoltativa. Stando dunque a tale disposizione, per l’Agenzia, il contribuente non avrebbe avuto la possibilità di dedurre, nell’ambito della determinazione del reddito di impresa, l’IVA relativa alle divise distribuite gratuitamente ai dipendenti.
Occorre ricordare preliminarmente come nelle cessioni di beni a titolo gratuito l’IVA connessa all’operazione resti dovuta e il cedente abbia la facoltà, e non l’obbligo, di esercitare la rivalsa. Pertanto, nell’ipotesi (normale) in cui non la eserciti, egli deve comunque versarla all’Erario.
Va poi precisato che la disciplina IVA ricomprende tra le cessioni di beni soggette a tale imposta tutte le cessioni gratuite ivi comprese, dunque, le attribuzioni di beni ai dipendenti.
Pertanto, nel caso di specie, il datore di lavoro aveva dovuto distribuire le divise ai dipendenti, considerare tali operazioni come rilevanti a fini IVA e versare all’Erario l’IVA connessa, senza potersi rivalere sui dipendenti. Il datore di lavoro, come detto, intendeva minimizzare tali costi deducendo tale IVA dall’IRES a titolo di costo.
Il nodo da sciogliere, che la Cassazione risolve, nasceva proprio dal fatto che trattandosi di indumenti indossati obbligatoriamente dal personale, la società non aveva la facoltà di esercitare la rivalsa, non potendo far gravare sui dipendenti né il costo degli stessi né l’IVA.
La Corte, richiamando un suo precedente orientamento (Cass. n. 16030//2015), ha preso le mosse anzitutto dall’interpretazione della nozione di cessione gratuita a fini IVA, ribadendo come “la cessione gratuita vera e propria si manifesta, a fini fiscali, solo quando il trasferimento del bene sia davvero senza controprestazione”. Proprio per questo la fornitura di indumenti ai dipendenti nell’adempimento di un obbligo contrattuale, non può essere ricompresa nella tipologia della cessione gratuita. Nel caso di specie, il datore di lavoro non vi provvede per liberalità, ma, come detto, in esecuzione di un preciso obbligo contrattuale e, dunque, al fine di assicurarsi la prestazione lavorativa del dipendente.
Nella sentenza in esame viene poi richiamata anche una ulteriore precedente pronuncia ritenuta omogenea rispetto alla fattispecie in oggetto (Cass. n. 19077/2005), dalla quale si evinceva che i “beni” attribuiti ai dipendenti, sono per la loro natura “costi”, sicché non possono essere compresi tra gli elementi positivi del reddito e, quindi, il loro valore non costituisce elemento presuntivo di reddito. Al contrario, tra le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella determinazione del reddito di impresa vanno ricomprese quelle sostenute in natura a titolo di liberalità e a maggior ragione quelle sostenute obbligo contrattuale”
In definitiva, secondo la Corte, è da ritenersi ammissibile la deducibilità anche dell’IVA versata all’Erario, in quanto essa costituisce un costo per il datore di lavoro; la fornitura al personale di indumenti da indossare durante l’orario di lavoro rientra tra le cessioni di beni poste in essere in adempimento di obblighi contrattuali al pari della messa a disposizione delle strumentazioni necessarie per lavorare o dei pasti. In questi casi, la causa perseguita in concreto da tale prestazione la caratterizza con connotati propri che la rendono diversa dalle comuni cessioni gratuite. Nel rispetto dei principi generali che regolano i costi del lavoro, l’IVA versata a titolo di rivalsa perde la sua natura di imposta e diviene costo deducibile.