Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2020, n. 8444

Intercorrenza fra le parti di un rapporto di lavoro
subordinato, Breve durata dei singoli contratti ancorati a specifici
spettacoli, Contratti di prestazione d’opera intellettuale, Privo di valenza
significativa l’obbligo di rispettare rigidamente gli orari di lavoro

 

Rilevato che

 

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza resa
pubblica in data 28/9/2015 confermava la pronuncia del giudice di prima istanza
che aveva respinto le domande proposte da S.V., V.S., A.P., C.S.V. nei
confronti della Fondazione O.S. e Coro S. di Milano G.V., intese a conseguire:

in via principale, pronuncia dichiarativa della
intercorrenza fra le parti di un rapporto di lavoro subordinato e a tempo
indeterminato, della nullità o inefficacia della “disdetta del rapporto di
lavoro e/o del licenziamento posto in essere dalla Fondazione”, e di
condanna al ripristino del rapporto di lavoro, previa formale assunzione degli
stessi con contratto di lavoro a tempo indeterminato;

in via subordinata, pronuncia di accertamento della
sussistenza di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa priva di
un progetto specifico con la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato
ex art. 69 d. Igs. n. 276/2003.

La Corte distrettuale perveniva a tale convincimento
dopo avere scrutinato l’articolato quadro istruttorio delineato in prime cure,
ritenuto inidoneo a comprovare la ricorrenza, nello specifico, degli elementi
atti a qualificare, in termini di locatio operarum, il rapporto di lavoro
intercorso fra le parti.

Disattendeva altresì la censura concernente la
domanda proposta in via subordinata, sul rilievo che il contenuto altamente
specialistico della prestazione, la breve durata dei singoli contratti ancorati
a specifici spettacoli, la libertà di prestazioni in favore della convenuta con
altre rese in favore dei terzi, imponevano di escludere che la fattispecie
potesse ricondursi al paradigma normativo di cui all’art. 69 del D.Lgs. n.
276/2003.

Avverso tale decisione i lavoratori soccombenti
interpongono ricorso per cassazione sostenuto da quattro motivi illustrati da
memoria ex art. 380 bis c.p.c.

La Fondazione intimata resiste con controricorso
successivamente illustrato da memoria.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione degli artt. 2094, 2222 e 2230 c.c.
in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.

Si osserva, in estrema sintesi, che, avuto riguardo
alla prestazione di un musicista d’orchestra e diversamente da quanto
argomentato dai giudici del gravame, non è configurabile una prestazione
intellettuale d’opera autonoma, ad eccezione delle prestazioni cd.solistiche in
cui il prestatore d’opera dispone di autonomia nella interpretazione e nella
esecuzione del brano musicale.

Ritenute inapplicabili alla fattispecie le
disposizioni di cui agli artt. 2230 e ss. si
ripercorre l’iter motivazionale seguito dai giudici del gravame per criticarne
gli approdi in tema di verifica degli elementi costitutivi della
subordinazione, e proponendone una diversa interpretazione, sul rilievo che il
rispetto dell’orario di lavoro, l’obbligo di giustificare le assenze e quello
di rispettare pedissequamente le direttive del direttore musicale, integravano
indici significativi della intercorrenza di un rapporto di lavoro disciplinato
dall’art. 2094 c.c.

2. Il motivo non è fondato.

Ed invero, secondo il consolidato orientamento di
questa Corte, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo
o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione
dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre
costituisce apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede, se
correttamente motivata, la valutazione delle risultanze processuali che hanno
indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o
nell’altro schema contrattuale (cfr, ex plurimis, Cass.
4/5/2011 n. 9808, Cass. 17/4/2009 n. 9256 e, con riferimento al rapporto di
lavoro di musicisti dell’Orchestra Regionale della Toscana, Cass. 17/5/2003 n.
7740).

Nel caso di specie la Corte territoriale il proprio
iter argomentativo senza arrecare alcun vulnus ai criteri generali ed astratti
da applicare al caso concreto in tema di qualificazione del rapporto di lavoro.

Ha osservato in via di premessa che gli appellanti,
professori d’orchestra, avevano operato in favore della Fondazione, in
esecuzione di contratti di prestazione d’opera intellettuale conclusi in
relazione a specifici programmi, comportanti l’obbligo di partecipazione alle
prove nei luoghi e secondo le modalità stabilite dalla Fondazione, rispetto
delle modifiche alla programmazione che l’Orchestra avesse ritenuto di
apportare e con la garanzia di retribuzione delle sole giornate lavorate in
caso di cancellazione di concerti per cause indipendenti dalla volontà
dell’Orchestra.

Ha rimarcato poi, come l’oggetto della prestazione
concordata fosse connotato da un lato dall’elevato contenuto professionale
richiesto al singolo professionista, e dall’altro “dalla necessaria
coralità della prestazione in quanto destinata ad assumere valore e contenuto
in rapporto agli altri componenti dell’orchestra”. Si trattava di
“condotte specularmente necessarie, onde assicurare la completa funzionalità
dell’orchestra, poste a presidio della qualità stessa dello spettacolo,
passibile di essere compromessa – con intuibili ricadute negative in termini di
immagine e di pubblico – da improvvise defezioni che, proprio in ragione di
ciò, la Fondazione doveva essere in grado di fronteggiare per tempo”.

Nell’ottica descritta, privi di valenza
significativa dovevano ritenersi l’obbligo di rispettare rigidamente gli orari
(sia con riguardo alle prove che agli spettacoli), così come l’obbligo di
giustificare le assenze, elementi tutti enfatizzati dai ricorrenti a fondamento
del diritto azionato, valendo analoghe considerazioni anche per quanto riguarda
la dedotta soggezione alle direttive provenienti dal direttore, proprio in
quanto funzionali alla realizzazione dell’opera, garantita dal coordinato
apporto di ciascuno dei musicisti, ed al luogo della prestazione. Deprivato di
significato decisivo era anche l’obbligo di rimanere a disposizione fra un
concerto e l’altro, risolvendosi nella necessità di garantire la prestazione
nella sua globalità, quale individuata negli accordi inter partes.

In definitiva, non erano stati dedotti elementi
significativi della subordinazione, qualificata dall’esistenza di un potere
direttivo che consentisse al datore di lavoro di disporre pienamente della
prestazione altrui, nell’ambito delle esigenze della propria organizzazione
produttiva. Le acquisizioni probatorie avevano anzi escluso l’esistenza di tale
potere direttivo, “essendo invece incontestata la libertà degli appellanti
di accettare o meno le singole proposte contrattuali…di sottrarsi alle prove
in caso di variazioni assunte in corso d’opera a fronte di pregressi
impegni” e di assumerne anche nei confronti dei terzi.

Da ultimo, ostativa rispetto alla qualificazione in
termini di subordinazione del rapporto di lavoro inter partes era da ritenersi
la natura squisitamente intellettuale dell’opera prestata e della qualità dei
contraenti che, in difetto di inequivoci indici di deviazione del rapporto
dalle obbligazioni concordate, inducevano a conferire rilievo nella
qualificazione, alla volontà espressa dai contraenti.

Si tratta di apprezzamento condotto in conformità ai
principi elaborati in tema dalla Corte di legittimità – secondo cui l’elemento
della subordinazione (ossia della sottoposizione al potere direttivo,
disciplinare e di controllo del datore di lavoro) costituisce una modalità
d’essere del rapporto, desumibile da un insieme di circostanze che devono
essere complessivamente valutate da parte del giudice del merito, in particolare
nei rapporti di lavoro aventi natura professionale o intellettuale ed
indipendentemente da una iniziale pattuizione scritta sulle modalità del
rapporto (vedi Cass. 26/8/2013 n. 19568) – ed
alla stregua di argomentazioni congrue quanto alla valutazione delle
circostanze ritenute in concreto idonee a far rientrare il rapporto controverso
nell’uno o nell’altro schema contrattuale. La statuizione non appare, dunque,
inficiata, dalla formulata censura.

3. Il secondo motivo prospetta violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c.

Si deduce l’erroneità di giudizio da parte dei
giudici del gravame, nella attività di scrutinio delle prove testimoniali
acquisite, criticandosi altresì la decisione della Corte “di non ammettere
le prove…omesse dal Tribunale” che limitava e comprimeva ingiustamente
il diritto di difesa dei ricorrenti.

4. Il motivo non è ammissibile. ‘

Una questione quale quella prospettata in questa
sede, di violazione o di falsa applicazione degli artt.
115 e 116 c.p.c. non può, infatti, porsi
per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di
merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia
posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte
d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo
il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato
come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di
prova soggetti invece a valutazione (vedi Cass. 27/12/2016 n. 27000); ipotesi
queste non riscontrabili nella fattispecie scrutinata.

Non può poi, tralasciarsi di considerare che secondo
l’insegnamento di questa Corte, in tema di valutazione delle risultanze
probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la
violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di
ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, oltre ad emergere
direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di
causa, non consentito in sede di legittimità (vedi Cass.
20/6/2006 n. 14267, cui adde, Cass. 30/11/2016
n. 24434, nonché Cass. 27/7/2017 n. 18665). L’art.
116 c.p.c., comma 1, consacra poi il principio del libero convincimento del
giudice, al cui prudente apprezzamento – salvo alcune specifiche ipotesi di
prova legale – è pertanto rimessa la valutazione globale delle risultanze
processuali, essendo egli peraltro tenuto ad indicare gli elementi sui quali si
fonda il suo convincimento nonché l’iter seguito per addivenire alle raggiunte
conclusioni, ben potendo al riguardo disattendere taluni elementi ritenuti
incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis vedi Cass. 15/1/14 n.687).

Nello specifico, non può sottacersi come il ricorso
solleciti, nella forma apparente della denuncia di error in iudicando, un
riesame dei fatti, non esplicabile nella presente sede, posto che, secondo i
consolidati principi espressi da questa Corte, con il ricorso per cassazione la
parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa
interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione
della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli
accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di
legittimità (ex plurimis, vedi Cass. 7/12/2017 n.29404).

5. Quanto alla doglianza attinente alla mancata
ammissione di “prove omesse dal Tribunale”, ne va rimarcata la
assoluta genericità.

Qualora con il ricorso per cassazione siano
denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza
derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori
ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i
mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di
prova, nonché di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso
accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la
pronuncia,senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al
giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (cfr. Cass. 4/10/2017
n.23194).

E detta carenza appare riscontrabile anche ove la
stessa, genericamente ricondotta alla omissione di prove, si riferisse alla
omessa valutazione di prove documentali (argomenta da pagg.14 e 34 del
ricorso); si palesano al riguardo, evidenti profili di inammissibilità del
motivo, non essendo indicato né il contenuto degli strumenti istruttori
approntati, né quello della documentazione che si assume ingiustamente
trascurata.

I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di
inammissibilità, dall’art. 366, comma 1, c.p.c.,
nn. 3, 4 e 6, devono, infatti, essere assolti necessariamente con il ricorso e
non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il
controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica
mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla
base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della
cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale
fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e
trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del
principio di autosufficienza, (vedi ex plurimis, Cass. 13/11/2018 n.29093).

6. Con la terza censura è denunciato omesso esame di
un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 comma primo n.5 c.p.c.

Ci si duole che la Corte di merito abbia tralasciato
di considerare la sostanziale continuità delle prestazioni rese dai ricorrenti,
che in difetto di specifiche motivazioni circa la durata temporanea dei
contratti, in ipotesi di positivo accertamento della natura subordinata del
rapporto di lavoro, avrebbe potuto anche condurre all’accertamento della
costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra le
parti.

7. Anche questa doglianza palesa profili di
inammissibilità, attenendo al giudizio riservato al giudice di merito,
sottoposto al vaglio di legittimità, esclusivamente entro i ristretti ambiti
definiti dalle sezioni Unite di questa Corte nelle sentenze
n.8053 e n.8054 del 7/4/2014.

La ricostruzione del fatto operata dai giudici del
merito è, infatti, ormai sindacabile nella presente sede – ai sensi del n.5
comma primo n.360 c.p.c., novellato ai sensi
del D.L. 22 giugno 2012, n. 83,
art. 54, comma 1. lett. b), conv. con mod. in L.
7 agosto 2012, n. 134 – soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta
da vizi giuridici, oppure se manchi del tutto, se sia articolata su espressioni
od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure
perplessi, ovvero obiettivamente incomprensibili; mentre non si configura un
omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ove quest’ultimo sia
stato comunque valutato dal giudice, sebbene la sentenza non abbia dato conto
di tutte le risultanze probatorie e quindi anche di quel particolare fatto
storico, se la motivazione resta scevra dai gravissimi vizi appena detti.

E nello specifico il giudice del gravame, per quanto
sinora detto, è pervenuto alle ricordate conclusioni, alla stregua di un iter
argomentativo che non risponde ai requisiti della assoluta omissione o della
irredimibile contraddittorietà che avrebbero giustificato l’esercizio dello
scrutinio in questa sede di legittimità.

8. La quarta critica concerne violazione dell’art.2030 c.c. e dell’art. 69 d.Igs. n. 276/2003. Si deduce che
l’erronea supposizione concernente il contenuto altamente specialistico della
prestazione resa dagli orchestrali aveva prodotto inevitabili ricadute anche in
ordine alla reiezione della domanda subordinata, ingiustamente respinta dalla
Corte di merito.

Considerato infatti che le prestazioni dei musicisti
di fila, svolti dai ricorrenti, si esplicavano nella ordinaria pratica
strumentale, esse ben potevano essere astrattamente inquadrate nell’ambito
della collaborazione d’opera coordinata e continuativa qualificata da uno
specifico progetto cui le prestazioni stesse erano finalizzate.

9. Anche questo motivo va disatteso.

Si osserva al riguardo che, in tema di ricorso per cassazione,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di
legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura
è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di omesso esame
di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti. Il discrimine tra le
distinte ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea
ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione
della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della
fattispecie concreta, è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non
anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di
causa (ex multis, vedi Cass. 11/1/2016 n.195, Cass. 6/3/2019 n.6519). L’ipotesi
considerata rientra, quindi, certamente nel paradigma da ultimo delineato,
posta la necessaria valutazione dei termini di estrinsecazione del rapporto – per
quanto sinora detto compiutamente esplicata dal giudice del gravame, alla
stregua delle risultanze istruttorie – per verificarne la sussumibilità nella
fattispecie normativa di riferimento.

La Corte di merito ha infatti congruamente
argomentato come dovesse escludersi la riconducibilità del rapporto allo schema
normativo di cui all’art. 69 d. Igs. n. 276/2003, riservato alle collaborazioni
coordinate e continuative nulle per carenza di specifico progetto, certamente
non ravvisabili nella fattispecie, che risultava qualificata dalla
intercorrenza fra le parti di rapporti libero professionali, funzionali
all’esecuzione di un’opera intellettuale concordata di volta in volta, come
tale soggetta alla disciplina di cui all’art. 2230
c.c.

La quaestio facti rilevante in causa è stata,
dunque, trattata in conformità ai criteri valutativi enucleati dalla
giurisprudenza di legittimità, pur pervenendo il giudice del gravame a
conclusioni diverse rispetto a quelle indicate da parte ricorrente,conclusioni
che non appaiono inficiate dalle critiche in questa sede formulate.

In definitiva, alla luce delle superiori
argomentazioni, il ricorso è respinto.

Le spese del presente giudizio seguono la
soccombenza, liquidate come da dispositivo.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente
al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto ai sensi del comma 1
quater all’art. 13 DPR 115/2002,
della sussistenza dei presupposti processuali, per il versamento, da parte dei
ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per
esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al
15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del
comma 1 bis dello stesso articolo
13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 maggio 2020, n. 8444
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