Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 gennaio 2020, n. 13535
Non aggiornata valutazione dei rischi, Modello organizzativo
insufficiente rispetto alle finalità di prevenzione e protezione contro i
rischi, Responsabilità dell’amministratore unico, Profilo di colpa
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello
di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Venezia del 27 marzo
2015, con cui:
a) M.D. è stato condannato alla pena di mesi tre di
reclusione e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile
in relazione al reato di cui all’art. 590, comma
terzo, cod. pen.;
b) la M. s.p.a. è stata dichiarata responsabile
dell’illecito amministrativo ex art.
25-septies, comma 3, d.lvo n. 231 del 2001 ed era stata condannata al
pagamento della sanzione di euro trentamila, con la sanzione interdittiva di
contrarre con la pubblica
amministrazione per la durata di mesi tre.
Il M. è stato condannato per lesioni colpose, perché
nella sua qualità di amministratore unico della M. s.p.a., per colpa generica e
per violazione degli artt. 29,
comma 3 (non aggiornata valutazione dei rischi in relazione all’operazione di
sbloccaggio della plastica di seguito descritta, c:considerato il frequente
numero degli infortuni per la medesima causa verificatasi nel corso degli
anni), e 77, comma 3 (omessa
fornitura di guanti ad alta protezione termica), d.lvo
n. 81 del 2008, cagionava al dipendente S. F., con mansioni di attrezzista,
un trauma alla mano sinistra con ferite ed ustioni.
In particolare, a seguito del blocco della presa ad
iniezione n. 24 dovuto all’intasamento di uno degli iniettori con del materiale
plastico, l’operaio, senza indossare idonei guanti ad alta protezione termica,
senza attendere che la camera calda si raffreddasse prima di procedere e con l’ausilio
di una bacchetta di rame, rimuoveva la plastica che ostruiva l’iniettore:
durante tali operazioni un getto di plastica liquida lo colpiva alla mano
sinistra, cagionandogli le lesioni sopra descritte.
La M. s.p.a. è stata condannata per l’adozione di un
modello organizzativo insufficiente rispetto alle finalità di prevenzione e
protezione contro i rischi derivanti dalla rimozione della plastica e per il
vantaggio economico consistito in un risparmio di spesa per il mancato acquisto
dei guanti di protezione nonché maggior guadagno determinato dal non
rallentamento della produzione dovuta all’attesa del raffreddamento del
materiale plastico nei casi frequenti (3 o 4 volte per turno di lavoro) di
intasamento delle presse.
2. Il M. e la M. s.p.a., a mezzo del comune
difensore, ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello.
2.1. Vizio di illogicità della motivazione in punto
di affermazione della responsabilità dell’imputato.
Si censura l’affermazione di responsabilità penale
del M. per l’infortunio occorso al lavoratore S. Maurizio, addebito fondato
sulla mancata consegna all’infortunato di adeguati dispositivi di protezione
individuale e sulla violazione dell’obbligo di aggiornare il DVR e di
conseguente responsabilità della M. s.a.s. per l’illecito amministrativo.
2.1.1. Come emerso dalle dichiarazioni dei testi S.
e P., i lavoratori erano dotati di guanti di cuoio (oltre quelli di gomma), la
cui idoneità ad annullare il rischio connesso alla specifica lavorazione non
era stata valutata. La Corte territoriale ha fatto riferimento ad un unico
dispositivo di protezione, incorrendo così in un travisamento della prova e in
un’omessa valutazione di dati istruttori di decisiva rilevanza.
2.1.2. Al M., peraltro, nel capo di imputazione era
contestato un profilo di colpa attinente al mancato aggiornamento della
valutazione dei rischi in relazione all’operazione di sbloccaggio
dell’iniettore della plastica, considerato il frequente numero di infortuni. In
base agli esiti dell’istruttoria, tuttavia, emergeva che gli infortuni risalivano ad epoca anteriore
all’aggiornamento del DVR e che il DVR prevedeva la necessità di sbloccare gli
iniettori degli stampi solo dopo il loro allontanamento dal lavoratore, mediante
bacchette di metallo di adeguata lunghezza.
2.1.3. La Corte veneta non ha motivato sulla
sussistenza della colpa, in relazione ai profili di prevedibilità e di
evitabilità dell’evento nonostante i plurimi elementi di prova richiamati
nell’atto di appello e non considerati nella sentenza di secondo grado: a) la
predisposizione di un DVR, che prevedeva lo specifico pericolo connesso all’uso
dei macchinari di stampa della plastica; b) la dotazione di dispositivi di
protezione individuale; c) le istruzioni fornite ai lavoratori da R.M., preposto
all’attività produttiva, che aveva spiegato la procedura da seguire in
sicurezza per lo sbloccaggio dell’iniettore; d) le rilevanti dimensioni
dell’azienda, composta da centosessantatre dipendenti e due stabilimenti.
2.2. Violazione degli artt.
40 e 590, comma terzo, cod. pen., 29 e 77 D.Igs n. 81 del 2008 e vizio
di motivazione in tema di ricostruzione del nesso di causalità. Si osserva che
nella sentenza impugnata è stata erroneamente ritenuta sussistente la condotta
omissiva ascritta all’imputato e che non era stata realizzata una verifica
controfattuale della correlazione tra condotta ed evento. Sarebbe stato
necessario verificare se l’infortunio si sarebbe realizzato anche qualora il
lavoratore avesse adoperato i guanti forniti dall’azienda. Né era possibile
affermare la sussistenza del nesso causale
tra mancato aggiornamento del DVR e verificazione dell’infortunio, essendo
pacifico il mancato rispetto da parte dei lavoratori delle disposizioni di
sicurezza loro impartite (allontanamento dello stampo ed utilizzo di bacchette
di idonea lunghezza).
2.3. Vizio di motivazione per essere stata affermata
la responsabilità dell’ente, pur in assenza di vantaggio o di interesse,
secondo quanto prescritto dall’art.
5 d.lvo n. 231 del 2001 e violazione degli artt.
521 e 522 cod. proc. pen..
Si rileva che, tenuto conto della presenza di due
stabilimenti e di 163 dipendenti, non sussisteva un effettivo e concreto
vantaggio connesso al contestato mancato acquisto dei guanti idonei. D’altronde,
la società aveva acquistato ben due tipi di guanti nella convinzione di aver
fornito ai lavoratori dispositivi adeguati.
Si osserva che, secondo la Corte di merito, la
mancata formazione dei lavoratori avrebbe realizzato un vantaggio: tuttavia tale
profilo non aveva formato oggetto di contestazione nel capo di imputazione, con
conseguente violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.. Il teste B. aveva specificato che il
preposto R.M. era stato incaricato di illustrare agli addetti il comportamento
da adottare nel caso di blocco della macchina a causa dell’ostruzione
dell’iniettore della plastica.
Considerato in diritto
1. In via preliminare, va osservato che la sentenza
deve essere annullata senza rinvio nei confronti dell’imputato per estinzione del
reato dovuta a prescrizione, maturata nelle more del giudizio di legittimità,
tenuto conto della data del fatto (7 maggio 2011), del periodo di
centotrentaquattro giorni di sospensione della prescrizione e del titolo di
reato, in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 157 e 161 cod.
pen. (prescrizione maturata in data 20 marzo 2019).
Le doglianze prospettate dall’imputato non possono
essere considerate prima facie infondate e si appalesano, quindi, di spessore
tale da escludere la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione.
Risulta, quindi, correttamente instaurato il rapporto processuale, poiché il
ricorso non è inammissibile (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci,
Rv. 266818; Sez. U, n. 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164; Sez. U, n.
33542 del 27/06/2001, Cavalera, Rv. 219531).
Com’è noto, in presenza di una causa di estinzione
del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma
dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del
fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza
penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la
valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto
di “constatazione”, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di
“apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di
accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti,
Rv. 244274).
3. Tuttavia, essendo stata affermata la
responsabilità della M. s.p.a. per l’illecito amministrativo ex art. 25-septies, comma 3, Dlvo n. 231
del 2001, occorre comunque esaminare i motivi dei ricorsi (comuni ad
imputato e società), per stabilire la sussistenza del fatto-reato. In tema di
responsabilità degli enti, infatti, in presenza di una declaratoria di
prescrizione del reato presupposto, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), D.Igs. n.
231 del 2001, il giudice deve procedere all’accertamento autonomo della
responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel
cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una
verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Sez. 4,
n. 22468 del 18/04/2018, Eurocos s.n.c., Rv. 273399; Sez. 6, n. 21192 del
25/01/2013, Barla, Rv. 255369).
4. I primi due motivi di ricorso vanno trattati
congiuntamente in quanto strettamente correlati tra loro, investendo tutti gli
elementi costitutivi del reato ascritto al M..
4.1. In ordine al nesso causale, la Corte
territoriale, con motivazione lineare e coerente, ha rilevato che l’incidente
si era verificato principalmente per l’omesso utilizzo da parte del lavoratore
di idonei guanti ad alta protezione termica e del compimento della manovra
diretta a rimuovere il tappo di plastica formatosi sull’iniettore, senza
attendere il raffreddamento della camera calda prima di procedere. Nella
sentenza impugnata si è dato atto dell’inadeguatezza dei guanti in gomma in
dotazione, utili a proteggere dal rischio di taglio ma non dalle ustioni, e
della loro pericolosità, in quanto si incollavano alle mani del lavoratore
aumentando la probabilità di verificarsi di eventi lesivi. Anche il Tribunale
ha illustrato l’insufficienza dei predetti guanti diversi da quelli specifici
occorrenti per l’intervento sul macchinario. In sostanza, essendo stato dato
atto dell’assoluta indispensabilità dei guanti ad alta protezione per prevenire
il rischio di bruciature, non occorreva fornire ulteriori specificazioni
relativamente all’inutilità di quelli di cuoio. Secondo la Corte veneta, il
rischio era stato individuato nel DVR, ma l’imputato non aveva fornito ai
lavoratori gli strumenti idonei, i quali erano stati consegnati solo
successivamente all’incidente e dopo le disposizioni dell’USL al riguardo (vedi
testimonianze di B.E. dello S. e dell’attrezzista P. M.). Peraltro, i verbali
di deposizione testimoniale che comprovavano la dotazione di tale tipologia di
guanti agli operai non erano allegati ai ricorsi, in violazione del principio
di autosufficienza.
4.2. Per quanto attiene al giudizio controfattuale,
la Corte di appello, con motivazione immune da censure, ha chiarito che
l’infortunio non era dovuto soltanto al mancato utilizzo dei guanti, ma anche
ad una serie di gravi carenze riscontrate a carico del datore di lavoro in
materia di sicurezza, tra le quali principalmente l’omessa adeguata formazione
dei lavoratori, l’assenza della scheda – stampo, l’omessa indicazione nel DVR
dei rischi e delle modalità per farvi fronte. Essa, pertanto, ha addebitato
anche al M. i comportamenti non corretti
assunti dal lavoratore, perché conseguenti alle carenze informative
relativamente alla dotazione necessaria e alle modalità di intervento in caso
di intoppi al normale processo produttivo.
Ne consegue che, logicamente, la tesi difensiva per
cui il lavoratore non avrebbe considerato l’aggiornamento del DVR e non avrebbe
adoperato i guanti ad alta protezione va chiaramente disattesa.
A ciò va aggiunto che le ulteriori doglianze circa
la completezza o meno del DVR non sono autosufficienti, in quanto lo stesso non
era allegato ai ricorsi. La Corte territoriale ha altresì affermato che il
rischio della lavorazione non derivava dalla posizione avanzata o arretrata
della testa della macchina, ma dal comportamento del S. che, come i suoi
colleghi, per non interrompere il ritmo della lavorazione non attendeva il
raffreddamento della macchina. L’azienda, infatti, non aveva mai prospettato
agli operai tale eventualità e non aveva fornito spiegazioni relative alla tecnica
di rimozione dei tappi di plastica che ostruivano l’iniettore. La prassi
seguita, secondo quanto esposto da tutti i testi, consisteva nel non
interrompere il ciclo produttivo, senza attendere il raffreddamento per venti o
trenta minuti nel caso in cui si fosse verificato l’inconveniente del tappo.
4.3. Con riferimento all’elemento soggettivo, la
Corte di merito ha approfonditamente ed esaurientemente illustrato le ragioni
della prevedibilità e della prevenibilità dell’evento da parte del M.,
individuabili nei pregressi analoghi incidenti verificatisi, nelle plurime
carenze in tema di sicurezza dei lavoratori circa la dotazione dei guanti ad
alta protezione termica e del libretto di istruzione del macchinario, la
formazione e l’informazione dei lavoratori, l’aggiornamento del DVR attuato
solo in seguito all’accadimento in esame e l’omesso controllo circa la prassi
scorretta seguita dagli operai.
5. Con riferimento al terzo motivo di ricorso, va
premesso che, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi
di evento in violazione della normativa antinfortunistica, il vantaggio di cui
all’art. 5, d.ligs. 8 giugno
2001, n. 231, operante quale criterio di imputazione oggettiva della
responsabilità, può consistere anche nella velocizzazione degli interventi
manutentivi che sia tale da incidere sui tempi di lavorazione (Sez. 4, n. 29538
del 28/05/2019, Calcinoni, Rv. 276596). In linea con tale principio,
conseguentemente all’affermazione della responsabilità dell’imputato, la Corte
di appello ha logicamente confermato anche la condanna della M. s.p.a. al
pagamento di una sanzione amministrativa, la quale aveva risparmiato il danaro
necessario all’acquisto di guanti di protezione, non aveva curato la formazione
dei lavoratori mediante appositi corsi e si era avvantaggiata per l’imposizione
di ritmi di lavoro, che prescindevano dalla messa in sicurezza della macchina,
tramite il raffreddamento della stessa, prima dell’intervento riparatore, in
tal modo conseguendo, a scapito della sicurezza dei lavoratori, un aumento
della produttività. Secondo quanto esposto dalla Corte di merito, i testi non
riferivano dell’esistenza di una prassi esplicita volta a favorire la
produzione aziendale, ma essa era insita nel divieto di ritardare in caso di
ripetizione dell’inconveniente del tappo. Inoltre, deve escludersi la dedotta
violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.. Nei
procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l’aggiunta di un particolare
profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente
contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini
dell’obbligo di contestazione suppletiva di cui all’art. 516 cod. proc. pen. e
dell’eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto
di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell’art. 521 stesso codice (Sez. 4, n. 18390 del 15/02/2018, Di Landa, Rv.
273265, nella fattispecie, in tema di omicidio colposo stradale, la Corte ha
escluso la dedotta violazione di legge nell’ipotesi di condanna per imperizia e
mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse
da quelle in contestazione). Ciò posto sui principi giurisprudenziali affermati
in materia, va comunque rilevato che al M. ed alla società era stata
ritualmente contestata un’ipotesi di colpa specifica concernente l’omessa
adeguata previsione di un modello organizzativo adeguato, nel quale rientra
anche la mancata formazione dei dipendenti, aspetto adeguatamente trattato nel
corso del procedimento sin dal primo grado di giudizio, in ordine al quale era
stata adeguatamente riconosciuta la possibilità di difendersi.
6. Per tali ragioni, la sentenza va annullata senza
rinvio, nei confronti dell’imputato, essendo il reato estinto per intervenuta
prescrizione; il ricorso proposto dalla società va rigettato, con conseguente
condanna della stessa al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla, senza rinvio, nei confronti dell’imputato,
la sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
Rigetta il ricorso della società e condanna la
stessa al pagamento delle spese processuali.
Si dà atto che il presente provvedimento è
sottoscritto solo dal consigliere anziano del collegio e dall’estensore per
impedimento del suo presidente, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), del
d.p.c.m. 8 marzo 2020.