Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 maggio 2020, n. 8795
Contratto di lavoro a tempo parziale, superiore al limite
percentuale, art. 78 CCNL
Edilizia, Regola della retribuzione virtuale, Principio di autonomia del
rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Lucca ha accolto nei confronti
dell’INAIL e dell’INPS – anche quale mandatario di SCCI s.p.a.- l’opposizione a
verbale di accertamento proposta dalla impresa edile D. Costruzioni s.r.l.,
relativo alle pretese degli Enti suddetti concernenti gli addebiti scaturiti
dalla conclusione di un contratto di lavoro a tempo parziale, superiore al
limite percentuale previsto dall’art.
78 CCNL del settore edilizia.
2. La Corte d’appello di Firenze, con sentenza n.
703 del 2015 resa ex art. 281 sexies c.p.c., ha
rigettato le impugnazioni proposte dall’INPS e dall’INAIL avverso tale sentenza
condividendo l’assunto del primo giudice in ordine alla questione della
applicabilità dell’obbligo contributivo previsto dall’art. 29 d.l. n. 244 del 1995
sulla retribuzione <<virtuale>> prevista per i lavoratori a tempo
pieno anche nei confronti dei dipendenti assunti con contratto part time in
violazione delle limitazioni percentuali.
3. La Corte territoriale ha precisato che la legge n. 341 del 1995 ha previsto per coloro che
svolgono attività edile una retribuzione minima imponibile nei confronti del
personale dipendente, rapportata ad un numero di ore settimanali non inferiore
al normale orario di lavoro settimanale stabilito dal ccnl a livello nazionale
e dai contratti integrativi (art.
29 I. cit.). L’INPS e l’Inail avevano ritenuto che i contratti part time
stipulati in eccedenza rispetto al limite del 3% sui contratti a tempo pieno
previsto dal ccnl, fossero soggetti alla regola della retribuzione virtuale.
Tale orientamento, ad avviso della Corte territoriale, era però errato in
quanto non teneva conto della natura meramente negoziale del contenuto della
citata disposizione del ccnl, di per sé inidonea ad integrare il tessuto
normativo sul quale si fonda l’obbligo contributivo pubblico senza che si
potesse intendere conseguito, dalla mera inosservanza della percentuale
fissata, un effetto di conversione del singolo contratto part time in uno a tempo
pieno.
4. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione
l’INAIL sulla base di un unico articolato motivo, illustrato di memoria.
L’INPS ha depositato procura in calce alla copia
notificata del ricorso. D.D., quale ex liquidatore della s.r.l. D. costruzioni,
resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso l’INAIL deduce la
violazione dell’art. 29 d.l. n.
244 del 1995 conv. in I. n. 341 del 1995 e
dell’art. 97 del ccnl delle
imprese artigiane stipulato in data 23 luglio 2008 e falsa applicazione
dell’art. 61 comma 3 dell’art. 8 e 9 d.lgs. n. 61 del 2000,
violazione dell’art. 1 d.l. n.
338 del 1989, per avere la Corte di merito ritenuto che la violazione del
limite massimo previsto dal contratto collettivo per il ricorso al part-time,
non riverberandosi in alcuna ipotesi di nullità dei relativi contratti, non
potesse far sì che i premi dovuti fossero rapportati alla corrispondente
disciplina della retribuzione imponibile.
2. Ad avviso dell’Istituto ricorrente, infatti, la
causa petendi della propria pretesa risiederebbe esclusivamente nella corretta
interpretazione del combinato disposto dell’art. 29, d.l. n. 244/1995,
cit., e della norma contrattuale collettiva che fa divieto alle imprese di
assumere operai a tempo parziale per una percentuale superiore al 3% del totale
dei lavoratori occupati a tempo indeterminato, senza che all’uopo assuma
rilievo la validità o meno dei contratti part-time stipulati dall’azienda.
3. Preliminarmente, alla luce del rilievo mosso da
D. D., quale ex liquidatore ed ex socio della D. Costruzioni s.r.l. in
relazione alla propria legittimazione processuale, che sarebbe impedita dalla
avvenuta cancellazione della società nel gennaio 2015 e, quindi dopo
l’introduzione del giudizio ma prima della pronuncia della Corte d’appello
impugnata, va chiarito che la circostanza è comunque inidonea ad incidere sulla
legittimazione dello stesso ex socio, poiché non configura una condizione da
cui dipende la possibilità di proseguire, nei suoi confronti, l’azione
originariamente intrapresa dal creditore sociale verso la società.
3.1. Sulla questione, come è noto, le Sezioni Unite,
con le sentenze nn. 6070 e 6072 del 12 marzo 2013, hanno ritenuto che in una
simile evenienza si realizza una forma di “successione” da parte
degli ex soci rispetto ai rapporti creditori e debitori già facenti capo alla
società con la precisazione emersa in sede tributaria, peraltro, che la
circostanza che i soci abbiano goduto o meno di un qualche riparto, non è
dirimente neppure ai fini dell’interesse ad agire del creditore (v. anche Cass. n. 1713 del 24/01/2018; Cass. n. 9672 del 19/04/2018; Cass. n. 14446 del 05/06/2018 e, da ultimo, Cass.
n. 897 del 16/01/2019).
Si è, sul punto, precisato che, come già osservato
dalle stesse Sezioni Unite prima citate (che hanno riconosciuto che la
circostanza si potrebbe riflettere sul requisito dell’interesse ad agire, ma
hanno ammonito che il creditore potrebbe avere comunque interesse
all’accertamento del proprio diritto), anche la mera possibilità di
sopravvenienze attive o, semplicemente, la possibile esistenza di beni e
diritti non contemplati nel bilancio non consentono di escludere l’interesse
del creditore a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione
della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni
statiche allo stato degli atti.
4. Il motivo del ricorso è fondato.
5. Va premesso che, secondo la giurisprudenza di
questa Corte consolidatasi dopo Cass. S.U. n.
11199 del 2002, l’importo della retribuzione da assumere come base di
calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo del
c.d. “minimale contributivo”, ossia all’importo di quella
retribuzione che ai lavoratori di un determinato settore dovrebbe essere
corrisposta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle
associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale.
6. Tale regola è espressione del principio di
autonomia del rapporto contributivo rispetto all’obbligazione retributiva, in
virtù del quale l’obbligo contributivo ben può essere parametrato ad un importo
superiore rispetto a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro, e
– com’è stato recentemente ribadito (cfr. Cass. n.
15120 del 2019) – la sua operatività concerne non soltanto l’ammontare
della retribuzione c.d. contributiva, ma altresì l’orario di lavoro da prendere
a parametro, che dev’essere l’orario di lavoro normale stabilito dalla
contrattazione collettiva (o dal contratto individuale, se superiore): è
infatti evidente che, se ai lavoratori venissero retribuite meno ore di quelle
previste dal normale orario di lavoro e la contribuzione dovuta venisse
modulata su tale minore retribuzione, non vi potrebbe essere il rispetto del
minimale contributivo nei termini dianzi ricordati e ne verrebbe vulnerata la
stessa idoneità del prelievo a soddisfare le esigenze previdenziali e
assistenziali per le quali è stato istituito (v. in tal senso Corte cost. n. 342 del 1992).
7. E’ in questo quadro generale che va collocata la
disposizione di cui all’art.
29, d.l. n. 244/1995, cit., secondo il quale, per quanto qui rileva, i
datori di lavoro esercenti attività edile «sono tenuti ad assolvere la
contribuzione previdenziale ed assistenziale su di una retribuzione commisurata
ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro
stabilito dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni
sindacali più rappresentative su base nazionale e dai contratti integrativi
territoriali di attuazione, con esclusione delle assenze per malattia,
infortuni, scioperi, sospensione o riduzione dell’attività lavorativa con
intervento della cassa integrazione guadagni, di altri eventi indennizzati e
degli eventi per i quali il trattamento economico è assolto mediante
accantonamento presso le casse edili», nonché di altri «individuati con decreto
del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro
del tesoro, sentite le organizzazioni sindacali predette».
8. Come è stato tempestivamente chiarito da Cass. n. 5233 del 2007, che ha precisato la
portata delle affermazioni precedentemente rese al riguardo da Cass. n. 1301 del 2006, la previsione dell’art. 29, cit., che incide
sulla misura della retribuzione-parametro a fini contributivi, non costituisce,
analogamente ai minimali previsti da altre disposizioni di legge (tra i quali
quello di cui all’art. 1, d.l.
n. 338/1989, conv. con I. n. 389/1989), una
vera e propria fonte di obbligazione retributiva autonoma, sia pure ai soli
fini previdenziali, ma incide esclusivamente sulla misura della retribuzione
che il lavoratore riceve (o comunque avrebbe diritto di ricevere) in dipendenza
del rapporto di lavoro, per verificarne, agli stessi fini, il rispetto del
minimale di retribuzione (e quindi di contribuzione) imponibile.
9. In altri termini, la retribuzione che il
lavoratore riceve o comunque ha diritto di ricevere in dipendenza del rapporto
di lavoro costituisce pur sempre il presupposto indefettibile per conformarne,
se necessario, la misura ai minimali, e l’effetto della disposizione
legislativa consiste precisamente nell’elevarla, se inferiore, fino al
raggiungimento del minimale contributivo, sia pure ai soli fini previdenziali.
Prova ne sia che il minimale contributivo di cui all’art 29, d.l. n. 244/1995,
cit., non trova applicazione soltanto nelle ipotesi in cui non sia dovuta, in
dipendenza del rapporto di lavoro, né alcuna prestazione lavorativa, né alcuna
retribuzione corrispettivo, ossia nei casi di sospensione del sinallagma
funzionale del contratto di lavoro: e ciò sia che si versi nelle ipotesi
tipiche di cui all’art. 29,
cit. (e cioè di assenze per malattia, infortuni, scioperi, sospensione o
riduzione dell’attività lavorativa con intervento della cassa integrazione
guadagni, nonché per altri eventi indennizzati ed eventi per i quali il trattamento
economico è assolto mediante accantonamento presso le casse edili, oltre quelle
poi previste dal d.m. 16.12.1996), sia che
occorra qualcuna di quelle ulteriori e innominate ipotesi di sospensione
“necessitata” ascrivibili all’interpretazione estensiva che della
disposizione cit. ha dato questa Corte, al fine di evitare disparità di
trattamento tra imprese edili soggette o meno all’intervento della cassa
integrazione guadagni (così Cass. n. 5233 del 2007,
già cit., cui hanno dato continuità, tra le tante, Cass.
nn. 9805 del 2011 e 11337 del 2018),
purché le une o le altre siano state previamente comunicate agli enti
previdenziali, ai fini degli opportuni controlli.
10. Così ricostruita la fattispecie normativa, ne
deriva che è necessario scindere quoad effectum le due ipotesi che essa
implicitamente prevede: da un lato, l’ipotesi di sospensione dell’attività, in
relazione alla quale, se non vi è permanenza dell’obbligo della
retribuzione-corrispettivo, non vi è nemmeno obbligo di pagamento del minimale;
dall’altro, l’ipotesi di riduzione dell’attività, nella quale, sussistendo una
retribuzione, seppure parziale, esprime tutto il suo vigore la regola del
minimale e della tassatività delle ipotesi di esclusione (così, testualmente, Cass. n. 5233 del 2007, più volte cit.).
11. Ciò posto, reputa il Collegio che la vicenda in
esame, in cui si controverte della legittimità della pretesa dell’INAIL di
parametrare sulla retribuzione imponibile per l’orario normale contrattuale i
premi dovuti sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori assunti a part-time
in eccedenza rispetto al limite del 3% previsto dal contratto collettivo
applicabile, debba essere ricondotta alla seconda delle due ipotesi dianzi
esposte.
12. Nel sistema del minimale contributivo che si è
fin qui delineato, la funzione cui la cennata disposizione contrattuale
collettiva assolve non è, a ben vedere, quella di porre limiti all’autonomia
negoziale delle parti private, ma piuttosto quella di individuare il
complessivo valore economico delle retribuzioni imponibili di una data impresa,
commisurando (anche) quelle eccedenti il divieto di assumere a part-time oltre
il limite del 3% della forza- lavoro occupata al valore della retribuzione
dovuta per l’orario normale di lavoro: è infatti evidente che, facendo divieto
alle imprese di assumere operai a tempo parziale per una percentuale superiore
al 3% del totale dei lavoratori occupati a tempo indeterminato, il contratto
collettivo individua ad un tempo nella retribuzione dovuta per l’orario normale
di lavoro la misura del compenso spettante ai lavoratori assunti a part-time
oltre tale limite e dunque incrementa prò tanto il valore complessivo delle
retribuzioni imponibili ai fini del calcolo del minimale contributivo, che –
come s’è già detto – è calcolo che prescinde dalla circostanza che esse siano
effettivamente corrisposte ai lavoratori occupati.
13. Sotto questo profilo, risulta affatto
inconferente il richiamo operato nella sentenza impugnata alla giurisprudenza
di questa Corte in tema di part-time irregolare, secondo il quale solo in caso
di contratto di part-time nullo, ma che abbia avuto nondimeno esecuzione,
dovrebbe applicarsi il regime ordinario di contribuzione che prevede anche i
minimali giornalieri di retribuzione imponibile ai fini contributivi (così Cass. S.U. n. 12269 del 2004), giacché la
commisurazione dell’imponibile contributivo alla retribuzione normale non
deriva qui da (né necessita di) una fattispecie di nullità del contratto di
lavoro part-time stipulato inter partes, ma costituisce semplicemente la
conseguenza della previsione contrattuale collettiva circa il valore economico
complessivo delle retribuzioni imponibili dell’impresa edile, che – a termini
dell’art. 29, d.l. n. 244/1995
– può essere suscettibile di abbattimento solo nei casi di (legittima)
sospensione e non già in quelli di riduzione dell’attività lavorativa, in cui,
permanendo il sinallagma funzionale del rapporto e sussistendo una
retribuzione, sia pur parziale, la regola del minimale e della tassatività
delle ipotesi di esclusione riprende appieno il suo vigore.
14. Argomentare diversamente, invero, equivarrebbe
non soltanto a misconoscere la portata del principio di autonomia del rapporto
contributivo rispetto all’obbligazione retributiva (che, come si è dianzi ricordato,
concerne non soltanto l’ammontare della retribuzione c.d. contributiva, ma
altresì l’orario di lavoro da prendere a parametro, che dev’essere l’orario di
lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva o quello superiore
previsto dal contratto individuale), ma soprattutto a scambiare per un’ipotesi
di sospensione del sinallagma funzionale del contratto quella che, a tutti gli
effetti, è soltanto un’ipotesi di riduzione dell’attività lavorativa
normalmente dovuta per contratto, la quale – giusta la previsione dell’art. 29, d.l. n. 244/1995,
cit. – in tanto può modificare la misura delle obbligazioni contributive
dell’impresa in quanto sia contenuta nel limite previsto dalla contrattazione
collettiva.
15. Pertanto, non essendosi i giudici di merito
attenuti all’anzidetto principio di diritto, la sentenza impugnata va cassata e
la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Firenze, in diversa
composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e
rinvia la causa alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, cui
demanda anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.