Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 maggio 2020, n. 9084
Esonero dalla prestazione dei servizi notturni, Mansioni
incompatibili con la condizione di invalido civile, Datore di lavoro non a
conoscenza dello stato di invalidità, Documentazione non contenente alcuna
prescrizione relativa alla impossibilità di assegnazione del lavoratore a
determinate mansioni
Premesso
Che con sentenza n. 868/2017, depositata il 20
febbraio 2017, la Corte di appello di Roma, pronunciando nella causa promossa
da G.C. nei confronti della soc. S.M. S.r.l. (già S.M. C.L. S.r.l.), ha
respinto, in riforma della sentenza del Tribunale di Latina, con compensazione
delle spese di entrambi i gradi, le domande proposte dal ricorrente, volte a
ottenere l’esonero dalla prestazione dei servizi notturni nonché il
risarcimento dei danni a vario titolo richiesti per la illegittima protratta
assegnazione a mansioni incompatibili con la sua condizione di invalido civile;
– che a sostegno della propria decisione la Corte di
appello ha osservato come il datore di lavoro non fosse a conoscenza dello
stato di invalidità, posto che non era dato desumere dal contratto che
l’assunzione del C. fosse avvenuta a seguito di collocamento obbligatorio,
mancando anche l’atto di avviamento al lavoro e anzi riportandosi nella lettera
di assunzione dichiarazioni del lavoratore di segno contrario; come, in ogni
caso, la documentazione concernente lo stato di invalidità, anche ove
disponibile per il datore al momento dell’assunzione, non contenesse alcuna
prescrizione relativa alla impossibilità di assegnazione del lavoratore a
determinate mansioni; come, d’altra parte, questi per molto tempo avesse
regolarmente adempiuto le prestazioni che gli venivano richieste e solo diversi
anni dopo l’assunzione avesse fatto istanza non di essere esonerato dalle
mansioni di vigilante ma solo dai turni di servizio da espletare in ore
notturne;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione il lavoratore con cinque motivi, cui ha resistito la società con
controricorso, assistito da memoria;
Rilevato
che con il primo motivo viene dedotta la violazione
e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 416, comma 3°,
cod. proc. civ. per non avere la Corte di appello considerato che la
società, già contumace nel giudizio di primo grado, non aveva contestato
neppure con il ricorso in appello l’appartenenza del ricorrente, in virtù del
suo stato di invalido civile, alle categorie protette di cui alla I. n. 482/1968;
– che con il secondo viene dedotta la violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 2087, 1218 e 2697 cod. civ.
sul rilievo che, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, il datore di
lavoro avrebbe dovuto dimostrare che i servizi in concreto svolti dal C. erano
compatibili con il suo stato di salute e non limitarsi ad addurre semplicemente
di non essere a conoscenza dello stato di invalidità del proprio dipendente;
– che con il terzo, deducendo il vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., il ricorrente si
duole che il giudice di appello, omettendo di effettuare un’approfondita o
quanto meno adeguata disamina logica e giuridica degli elementi, sui quali ha
dichiarato di fondare il proprio convincimento, non abbia, in realtà, motivato
la propria decisione, ovvero abbia reso una motivazione solo apparente, in
relazione all’art. 132 n. 4 cod. proc. civ.;
– che con il quarto motivo, deducendo ancora il
vizio di cui all’art. 360 n. 5, il ricorrente
si duole della omessa valutazione di un fatto controverso e decisivo per il
giudizio, oggetto di discussione fra le parti, costituito dalla sussistenza
dello stato di disabilità al momento dell’assunzione e dalla sua immediata
evidenza;
– che con il quinto, deducendo la violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 112 e 91 cod. proc. civ., il ricorrente censura infine
la sentenza impugnata per averlo condannato al pagamento delle spese del
giudizio di primo grado, sebbene la società vi fosse rimasta contumace e, in
appello, avesse richiesto la condanna al solo pagamento delle spese di tale
grado;
Osservato
che il primo motivo risulta inammissibile;
– che, infatti, esso contiene rimandi al ricorso
introduttivo del lavoratore e a quello in appello della società, oltre che a
taluni documenti, ma non trascrive, né degli uni né degli altri, il contenuto,
quanto meno nelle parti rilevanti (per ciò che riguarda gli atti, nelle parti
relative alle specifiche allegazioni e alla mancata contestazione), in
contrasto con il costante orientamento di questa Corte di legittimità, secondo
il quale “In base al principio di autosufficienza, è inammissibile il
ricorso per cassazione che non consenta l’immediata e pronta individuazione
delle questioni da risolvere e delle ragioni per cui si chieda la cassazione
della sentenza di merito, né permetta la valutazione della fondatezza di tali
ragioni ex actis, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti estranee
al ricorso e, quindi, ad elementi ed atti attinenti al pregresso giudizio di
merito” (Cass. n. 10330/2003 fra le molte conformi);
– che il secondo motivo è parimenti inammissibile,
per difetto di specifica riferibilità alla sentenza impugnata, posto che le
domande proposte dal C. con l’atto introduttivo si fondano sul fatto che il
ricorrente fosse stato adibito a servizi (di piantonamento e di pattugliamento)
senza tener conto della sua condizione di invalido civile e, pertanto, in
violazione della I. n. 482/1968; mentre la
Corte ha motivatamente escluso che di tale condizione, come di eventuali
prescrizioni circa l’impossibilità di assegnazione del proprio dipendente a
talune mansioni, la società potesse avere avuto conoscenza (cfr. sentenza
impugnata, pp. 2-4);
– che il terzo motivo di ricorso è infondato,
potendo dirsi “apparente” solo la motivazione che, sebbene
graficamente esistente, “non renda, tuttavia, percepibile il fondamento
della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far
conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio
convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla
con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U n. 22232/2016, conforme,
fra le molte, Cass. n. 13977/2019): ciò che non può palesemente riscontrarsi
nella sentenza in esame, la quale ricostruisce lo svolgersi del rapporto dal
momento dell’assunzione, chiarendo, sulla base di un puntuale esame della
documentazione prodotta, come la datrice di lavoro non fosse stata (non
potendolo essere) a conoscenza dello stato di invalidità del lavoratore;
– che il quarto motivo è anch’esso inammissibile,
sul rilievo che il fatto, che il ricorrente assume omesso, è stato, in realtà,
preso esplicitamente in considerazione in sentenza, là dove la Corte di merito
ha stabilito che lo stato di invalidità non era noto alla datrice di lavoro al
momento dell’assunzione (cfr. p. 2, ultimo capoverso, e p. 3) e che, inoltre,
esso non era riconoscibile ictu oculi (cfr. p. 4, terzultimo capoverso);
– che è invece fondato, e deve essere accolto, il
quinto motivo, avendo il giudice di appello disposto la condanna dell’appellato
alle spese di entrambi i gradi, nonostante che la società, rimanendo contumace
nel giudizio di primo grado, non avesse svolto alcuna attività difensiva;
Ritenuto
conclusivamente che deve essere accolto il quinto
motivo di ricorso, rigettati gli altri;
– che, non essendo necessari ulteriori accertamenti,
può decidersi nel merito con riguardo al regolamento delle spese di lite, nei
termini di cui in dispositivo, tenuto conto – quanto al presente giudizio –
della misura della reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati gli
altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo
nel merito, dichiara il ricorrente non tenuto al pagamento delle spese di primo
grado; compensa nella misura di 1/5 le spese del giudizio di legittimità,
liquidate nel totale in euro 3.800,00 per compensi professionali ed euro 200,00
per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge; condanna il
ricorrente al pagamento dei restanti 4/5 delle suddette spese.