Nel pubblico impiego, l’esigibilità del TFR è ancorata alla cessazione del servizio e non alla cessazione del rapporto previdenziale.
Nota a Cass. (ord.) 3 marzo 2020, n. 5895
Alfonso Tagliamonte
La esigibilità del TFR nel pubblico impiego è “ancorata ai medesimi presupposti previsti per il lavoro privato e, dunque, alla cessazione giuridica del rapporto di lavoro e non alla cessazione della iscrizione al fondo per il trattamento di fine rapporto, gestito dall’INPS. Resta pertanto irrilevante, al pari di quanto previsto per il lavoro privato, la eventuale continuità temporale, in fatto, di più rapporti di lavoro, in forza della quale permanga la iscrizione al fondo; assume, invece, esclusivo rilievo ai fini della esigibilità del TFR la «cessazione dal servizio» ovvero la cesura sotto il profilo giuridico tra due rapporti di lavoro, seppure in successione temporale tra loro ed alle dipendenze della medesima amministrazione statale”.
È quanto afferma la Corte di Cassazione (ord. 3 marzo 2020, n, 5895) relativamente alla vicenda di alcuni dipendenti pubblici assunti a termine in regime di TFR, ai quali la Corte d’Appello di Palermo (con sentenza 27 giugno – 26 settembre 2013, n. 1690, confermata dalla ordinanza in esame) aveva riconosciuto il pagamento del TFR maturato alla conclusione dei rispettivi rapporti di lavoro a tempo determinato, intercorsi alle dipendenze del Ministero della giustizia, presso il quale essi erano stati successivamente stabilizzati.
La Corte, nel ripercorrere l’evoluzione della disciplina legislativa in materia di passaggio dal regime di TFS a quello di TFR (v. spec. DPCM 20 dicembre 1999 e s.m.i.), specifica che:
– il finanziamento e la erogazione del TFR sono attuati per i dipendenti dello Stato (o comunque iscritti all’INPDAP per il TFS) dall’INPS attraverso le medesime gestioni competenti in materia di TFS;
– secondo la tesi dell’INPS, il TFR «pubblico» non avrebbe perso la natura previdenziale propria dei trattamenti di fine servizio del pubblico impiego; sicché esso continuerebbe ad essere soggetto alla disciplina dell’art. 3 DPR n. 1032/1973, sulla indennità di buonuscita, il quale sancisce il principio della infrazionabilità del TFS dei dipendenti pubblici anche in presenza di una novazione del rapporto di lavoro, qualora il passaggio al nuovo rapporto di lavoro avvenga senza soluzione temporale di continuità;
– in base a tale disposizione, infatti: “All’iscritto al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato, di cui al comma 1, che effettui passaggi di qualifica, di carriera o di amministrazione senza soluzione di continuità, e che comunque, dopo tali passaggi, continui ad essere iscritto al Fondo stesso, viene liquidata all’atto della cessazione definitiva dal servizio un’unica indennità di buonuscita commisurata al periodo complessivo di servizio prestato”.
Nel respingere la tesi dell’INPS, i giudici richiamano la decisione delle SU della Cassazione stessa (n. 24280/2014), le quali avevano già negato l’infrazionabilità del TFS in una fattispecie in cui era avvenuto il passaggio, senza soluzione temporale di continuità, dall’impiego alle dipendenze del Comune (nella scuola comunale) in regime di “indennità premio di servizio” ad un nuovo rapporto di impiego alle dipendenze del MIUR (nella scuola statale) in regime di TFR.
Come rilevano, infatti, le SU, nel passato regime, il presupposto della infrazionabilità del TFS dei dipendenti pubblici —anche in presenza di un nuovo rapporto di lavoro — si basava sulla natura previdenziale e non retribuiva dell’indennità di fine servizio e dal conseguente collegamento del diritto alla sua liquidazione con il rapporto previdenziale e non con quello di lavoro. In altre parole, il diritto a percepire il trattamento di fine servizio non si considerava collegato all’estinzione del rapporto di lavoro bensì solo all’estinzione del rapporto previdenziale, “rapporto che poteva persistere in presenza di cessazioni e nuove costituzioni del rapporto di lavoro, con il medesimo o con un diverso ente pubblico”.
Tale argomentazione oggi non è più valida alla luce del mutato quadro normativo che ha assoggettato i molteplici trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici contrattualizzati alla disciplina privatistica dettata dall’art. 2120 c.c., (come riformato dalla L. n. 297/1982).
Con la conseguenza che il TFR ha carattere retributivo e sinallgmatico e spetta “in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato” (art. 2120 co.1, c.c.).
Si opera, pertanto, un collegamento, per espressa previsione normativa, con la cessazione del rapporto di lavoro subordinato. Per cui il TFR è liquidato dall’INPS alla fine del rapporto di lavoro e non alla cessazione del rapporto previdenziale.