Nel caso di trasferimento del ramo di azienda illegittimo, la corresponsione della retribuzione da parte del cessionario non estingue l’obbligazione retributiva del cedente.
Nota a Cass. (ord.) 28 aprile 2020, n. 8262
Maria Novella Bettini
In caso di illegittimità della cessione di ramo d’azienda (per mancanza dei presupposti di cui all’art. 2112 c.c.), il pagamento delle retribuzioni da parte del cessionario, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente all’accertamento di tale illegittimità ed alla messa a disposizione delle energie lavorative in favore dell’alienante da parte del lavoratore, “non produce effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa”.
Inoltre, i crediti che i lavoratori ingiungano di pagare al cedente a titolo di emolumenti loro dovuti per effetto del mancato ripristino del rapporto hanno natura retributiva e non risarcitoria (Cass. S.U. n. 2990/2018, annotata in questo sito da A. TAGLIAMONTE, Illecita interposizione di manodopera e natura delle somme spettanti al lavoratore) e sono perciò indetraibili da quanto percepito dai lavoratori a titolo di retribuzione per l’attività prestata alle dipendenze della società cessionaria del ramo d’azienda.
Questi, gli importanti principi ribaditi dalla Corte di Cassazione (ord. 28 aprile 2020, n. 8262, in linea con App. Bologna 10 febbraio 2016; v. anche Cass. nn. 21158/2019 e 17784/2019).
Nello specifico, la Corte afferma altresì che:
– solo in caso di trasferimento d’azienda legittimo si configura una continuità del rapporto di lavoro con il cessionario ai sensi dell’art. 2112 c.c. (che, in deroga all’art. 1406 c.c., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto). Viceversa, l’unicità del rapporto (presupposto della vicenda traslativa di cui al citato art. 2112) viene meno qualora “il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare”;
– infatti, una volta accertata la suddetta invalidità, “il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale)”.
– d’altro lato, non essendosi perfezionata una fattispecie traslativa conforme al modello legale, il rapporto di lavoro con il cedente non si trasferisce e resta nella sua titolarità;
– si configura perciò una duplicità di rapporti, uno, de iure, ripristinato nei confronti dell’originario datore di lavoro (e dunque non de facto, per rifiuto ingiustificato del predetto datore), tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora del lavoratore; l’altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già cessionario, effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa;
– ne consegue che al dipendente spetta la retribuzione sia se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita, sia se il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei suoi confronti (in tal senso, anche Cass. n. 20316/2008 e Cass. n. 24886/2006). Ciò in quanto “una volta offerta la prestazione lavorativa al datore di lavoro giudizialmente dichiarato tale, il rifiuto di questi rende giuridicamente equiparabile la messa a disposizione delle energie lavorative del dipendente alla utilizzazione effettiva, con la conseguenza che il datore di lavoro ha l’obbligo di pagare la controprestazione retributiva” (così Cass. n. 17784/2019, in motivaz.)
Sul trasferimento d’azienda, v. M.N. BETTINI, Trasferimento d’azienda e consenso del lavoratore (Monotema), in questo sito.