Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 maggio 2020, n. 9308

Contratti di prestazione d’opera ex art.
2222 c.c., Qualificazione quali rapporti di collaborazione coordinata e
continuata, Ordinanza-ingiunzione, Sanzioni per varie violazioni connesse
all’assunzione

 

Rilevato che

 

1. Il Tribunale di Bergamo, con la pronuncia n. 595
del 2013, ha respinto l’opposizione proposta da V.G. in proprio e quale legale
rappresentante della V. di V.G. & C. snc avverso l’ordinanza-ingiunzione n.
241/2000 emessa dalla D.T.L. di Bergamo, per l’importo complessivo di euro
44.808,00 a titolo di sanzioni per varie violazioni connesse all’assunzione,
senza assicurazione, di n. 4 lavoratori, formalmente artigiani.

2. La Corte di appello di Brescia, con la sentenza
n. 272 del 2014, ha confermato la decisione di primo grado rigettando il
gravame presentato da V.G. nelle qualità indicate.

3. I giudici di secondo grado hanno precisato che,
nella fattispecie in esame, i rapporti intercorsi con i quattro lavoratori non
potevano essere qualificati né come contatti di appalto né come contratti di
prestazione d’opera ex art. 2222 cc, bensì
andava ritenuta corretta, in mancanza di impugnazione della D.T.L., la qualificazione
data dal giudice di prime cure quali rapporti di collaborazione coordinata e
continuata a carattere personale (o di parasubordinazione).

Sotto il profilo delle conseguenze, dovendosi i
contratti di collaborazione coordinata e continuata, dopo la cd. legge Biagi,
identificare con quelli cd. “a progetto” e, mancando o non essendo
stato dimostrato nel caso de quo un valido progetto, i rapporti ricadevano
automaticamente nell’ambito della subordinazione e, quindi, legittima era stata
l’iscrizione a ruolo delle somme di cui all’impugnata ordinanza-ingiunzione. I
giudici di seconde cure hanno, infine, rilevato la novità della questione,
proposta solo in appello, circa la non debenza della maxi-sanzione applicata
dalla D.T.L.

4. Avverso la decisione della Corte di appello ha
proposto ricorso per cassazione G.V., in proprio e nella qualità di cui sopra,
affidato a sei motivi, illustrati con memoria.

5. La Direzione Territoriale del Lavoro di Bergamo
non ha svolto attività difensiva.

6. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la
falsa applicazione dell’art. 1655 cc, in
relazione all’art.360 n. 3 c.p.c., per non
avere la Corte territoriale rilevato che, nel caso di specie, i quattro
artigiani erano intercorsi dei contratti di “mini appalto”, così come
prevede il codice civile per opere di modeste dimensioni e con l’organizzazione
di modesti mezzi strettamente necessari per l’esecuzione delle opere.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione
dell’art. 1362 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per non avere la Corte di
merito preso in considerazione la effettiva volontà delle parti nella
qualificazione dei rapporti di cui è processo.

4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della
violazione e falsa applicazione dell’art. 2222 c.c.,
in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., perché
senza alcun riscontro i giudici di seconde cure avevano ritenuto che non
fossero ravvisabili, quanto meno, dei contratti di lavoro autonomo
identificando erroneamente tale tipologia di lavoratori con quelli esercenti la
“piccola impresa”.

5. Con il quarto motivo si lamenta l’omesso esame e
contraddittorietà circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto
di discussione tra le parti, ex art. 360 n. 5
c.p.c., per non avere la Corte territoriale spiegato la ragione per la
quale l’attrezzatura dei quattro artigiani non era sufficiente a consentire
l’esplicitazione della loro attività produttiva atta a garantire il risultato
al loro committente, quali lavoratori autonomi.

6. Con il quinto motivo si sostiene l’omesso esame
circa più fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione
tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c., perché la
Corte di merito, oltre a non avere svolto alcuna argomentazione rilevante ai
fini della differenza tra le tipologie di rapporti (contratto d’opera,
contratto di lavoro subordinato e contratto di parasubordinazione) ha omesso di
considerare una serie di elementi che sarebbero stati decisivi nella
qualificazione quali l’assenza per ferie e malattie e ha effettuato solo un
accenno, peraltro non significativo, all’orario e alle assenza dal lavoro.

7. Con il sesto motivo il ricorrente deduce la
violazione dell’art. 61 co. 1
e dell’art. 69 co. 1 e 2 del
D.lgs. 10.9.2003 n. 276, per avere la Corte, territoriale erroneamente
affermato che dovevano considerarsi contratti a progetto tutti i contratti non
di natura subordinata, tranne quelli riconducibili ai casi esclusi dalla legge
(ma senza specificarli) e per non avere considerato che il corrispettivo
erogato agli artigiani era di gran lunga superiore a quello dei lavoratori
subordinati, di talché, potendosi ipotizzare sia la sussistenza di rapporti di
lavoro autonomo o di lavoro subordinato, i requisiti di questo andavano
dimostrati in concreto a fronte di una diversa qualificazione data dalle parti.

8. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente
per connessione logico-giuridica, sono inammissibili.

9. Infatti, le denunciate violazioni di legge (il
cui vizio ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.
presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata, che non
ricorre nel caso di specie) sono insussistenti in difetto degli appropriati
requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta
regolata dalle disposizioni di legge, mediante specificazione delle
affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si
assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o
dalla prevalente dottrina (Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).

10. In realtà i due motivi scrutinati sono
essenzialmente intesi alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della
vicenda e alla contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte
territoriale, sostanziante il suo accertamento in fatto, di esclusiva spettanza
del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 27197
del 2011; Cass. n. 6288 del 2011; Cass. n. 6694 del 2009).

11. E ciò per la corretta ed esauriente
argomentazione, senza alcun vizio logico col ragionamento decisorio, delle
ragioni, per cui non era ravvisabile né un contratto d’opera ex art. 2222 c.c. né un contratto di appalto,
rappresentate da: a) continuità della prestazione esclusivamente in favore
della società; b) durata annuale delle prestazioni eseguite; c) pagamenti a
cadenza mensile che coprivano l’intero anno; d) quotidianità della prestazione
lavorativa; f) coordinazione e connessione funzionale con l’organizzazione
aziendale.

12. Il terzo motivo è infondato. La Corte
territoriale non ha affermato la equiparazione “lavoro autonomo – piccola
impresa”, ma attraverso il riscontro degli indici sintomatici sopra
esposti ha ritenuto che la prestazione era rigorosamente coordinata e
continuata. Anzi, la Corte di merito ha reputato possibile la coesistenza della
qualità di “piccolo imprenditore – lavoratore subordinato” (pag. 8,
3° cpv della sentenza gravata) ma ha dato correttamente prevalenza, più che al
dato formale, alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro
(cfr. Cass. n. 4884 del 2018).

13. Il quarto ed il quinto motivo, con i quali si
lamenta il vizio ex art. 360 n. 5 c.p.c., sono
inammissibili, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.,
perché relativi a questioni di fatto in una fattispecie decisionale di
“doppia conforme”.

14. Il sesto motivo, infine, è infondato.

15. L’affermazione dei giudici di seconde cure,
secondo cui – nel vigore del D.lgs n. 276 del 2003
e salvi i casi previsti dalla legge- non erano più possibili rapporti di
collaborazione coordinata e continuativa senza progetto- è conforme al
condivisibile orientamento di legittimità (cfr. Cass.
n. 17127 del 2016 per esteso) in virtù del quale il combinato disposto di
cui agli artt. 61 e 69 D.lgs. citato palesa
l’intenzione del legislatore delegato di vietare, in armonia con la finalità
enunciata dall’art. 4 comma 1 lett.
c) n.n. 1-6 della legge n. 30/2003 (e fatte salve le specifiche eccezioni
ivi previste e poi trasfuse nell’art.
61 commi 1-3 D.lgs. n. 276 del 2003) il ricorso a collaborazioni coordinate
e continuative che non siano riconducibili ad uno o più progetti o programmi di
lavoro o fasi di esso, allo scopo di porre un argine all’abuso della figura
della collaborazione coordinata e continuativa, in considerazione della
frequenza con cui giudizialmente ne veniva accertata la funzione simulatoria di
rapporti di lavoro subordinato.

16. Il resto delle doglianze attiene, invece, a
valutazioni di fatto sulla individuazione della natura del rapporto di lavoro
che, come prima evidenziato, in quanto adeguatamente e logicamente argomentate
dai giudici del merito, sono insindacabili in sede di legittimità.

17. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve,
pertanto, essere rigettato.

18. L’infondatezza del ricorso rende superflua la
rinnovazione della notifica del ricorso all’intimata, per eventuali vizi
dell’atto, atteso che essa è stata effettuata presso l’Avvocatura Distrettuale
e non presso l’Avvocatura Generale dello Stato (cfr. Cass. n. 20890 del 2018).

19. Come già statuito a riguardo da questa S.C.
(cfr. Cass. n. 15106/13; cfr. altresì, Cass. n. 6826/2010; Cass. n. 2723/2010; Cass.
n. 18410/2009), il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata
del processo impone al giudice (ai sensi degli artt.
175 e 127 c.p.c.) di evitare comportamenti
che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali
rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività
processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura
dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio
del contraddittorio e delle garanzie di difesa e dal diritto a partecipare al
processo in condizioni di parità.

20. Ne deriva che, acclarata l’infondatezza del
ricorso in oggetto alla stregua delle considerazioni sopra svolte, sarebbe
comunque vano disporre la fissazione di un termine per la rinnovazione di una
notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe,
oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei tempi di definizione
del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio in termini di
garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.

21. Nulla va disposto, conseguentemente, in ordine
alle spese del presente giudizio di legittimità.

22. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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