Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 maggio 2020, n. 9286
Contratto di apprendistato professionalizzante, Assenza degli
elementi costitutivi del rapporto negoziale, Onere di depositare il testo
integrale dei contratti collettivi di diritto privato, Improcedibilità del
ricorso per cassazione
Rileva che
con ricorso depositato l’otto luglio 2013 R.A.P.
conveniva in giudizio davanti al giudice del lavoro di Teramo la M. s.n.c. di
D.L.G. & C., assumendo di aver prestato attività lavorativa alle dipendenze
di tale società, pressoché ininterrottamente dal 14 marzo del 2005 sino al 30
novembre del 2012, inizialmente in forza di contratto a tempo determinato per
la durata di tre mesi, quindi prorogato sino a 14 settembre 2005, con la
qualifica di operaia generica di quinto livello. In seguito, la R. era stata
nuovamente assunta dalla medesima convenuta il 24 ottobre 2005 mediante
contratto di apprendistato professionalizzante volto al conseguimento della
qualifica di elettricista, quinto livello C.C.N.L. imprese artigiane del
settore metalmeccanico, per la durata di 60 mesi, risolto il 15 ottobre 2010
per decorrenza del periodo e con il conseguimento della qualifica di
elettricista; in seguito, era stato stipulato un nuovo contratto di lavoro
subordinato a tempo determinato, con decorrenza dal 30 novembre 2010 sino alla
30 novembre 2011, quindi prorogato fino al 30 novembre 2012, data di cessazione
definitiva del rapporto. L’attrice aveva, quindi, lamentato la nullità del
contratto di apprendistato per assenza degli elementi costitutivi del rapporto
negoziale, nonché per la violazione del diritto di precedenza e del superamento
dei limiti quantitativi;
con successivo ricorso del 24 gennaio 2014 la
medesima R., premesso quanto già richiesto con il ricorso di luglio 2013, aveva
reiterato l’istanza d’invalidazione del contratto di apprendistato, con
richiesta, inoltre, di condanna della società convenuta, datrice di lavoro, al
pagamento delle differenze retributive in relazione al trattamento economico
previsto a regime per i lavoratori a
tempo indeterminato titolari della qualifica assegnata dalla stessa convenuta,
ovvero in via subordinata con riferimento alle differenze retributive correnti
tra il trattamento economico previsto per gli apprendisti dal contratto
collettivo e quello corrisposto dalla società datrice di lavoro;
disposta la riunione delle due cause, con sentenza
n. 790 pubblicata il 20 dicembre 2016 e notificata il successivo 10 febbraio
2017, il Tribunale di Teramo accertava che tra le parti era intercorso un
ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal 24 ottobre 2005 al 15
ottobre 2010. Condannava la società convenuta al pagamento in favore della
ricorrente della somma di euro 22.569,26, oltre accessori di legge. Dichiarava
la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra la ricorrente e la
società convenuta il 30 novembre 2010, accertando per l’effetto l’esistenza tra
le stesse parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con
la medesima decorrenza, e con il diritto dell’attrice alla riammissione in
servizio, per l’effetto condannando la società a ripristinare il rapporto di
lavoro nonché a corrispondere all’attrice un’indennità risarcitoria pari a sei
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, quantificata in
complessivi euro 7788,72 oltre accessori, nonché infine al rimborso delle spese
processuali all’uopo liquidate;
la parte rimasta soccombente appellava l’anzidetta
sentenza, deducendo erroneo e/o
illegittimo rigetto della sollevate eccezioni di inammissibilità del
ricorso depositato il 24 gennaio 2014, stante la violazione del principio
generale del divieto di frazionamento del credito, nonché del conseguente abuso
della tutela giurisdizionale, la erronea e/o illegittima applicazione del decreto legislativo n. 276/2003 e la conseguente
erronea e/o illegittima ritenuta trasformazione del contratto di apprendistato
a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato, con la conseguente
condanna alla riammissione nel posto di lavoro, l’erroneo riconoscimento dei
conteggi esposti ed infine l’illegittima condanna di essa appellante alla
riammissione in servizio nel posto di lavoro, avendo la società cessato la
propria attività il 31 gennaio 2014, concedendo in affitto l’azienda alla
S.r.l. M. Elettronica, donde comunque l’assoluta impossibilità materiale e
giuridica della riammissione in servizio;
la Corte d’Appello di L’Aquila con sentenza n. 826
in data 9 novembre 2017 rigettava l’interposto gravame, con la condanna inoltre
dell’appellante al pagamento delle ulteriori spese di lite. Disattesa la
preliminare l’eccezione d’inammissibilità del ricorso depositato nel corso
dell’anno 2014, la Corte aquilana riteneva in parte inammissibile ed in parte
infondato il secondo motivo di gravame: inammissibile laddove era stato
sostenuto che la mancata forma scritta del contratto di apprendistato non
comportava alcuna sanzione, ovvero che nello specifico non vi sarebbe stata
alcuna violazione del principio di precedenza, o che il contratto collettivo
metalmeccanico del 1997 non prevedeva alcun numero minimo di apprendisti,
trattandosi ad ogni modo di argomentazioni non sviluppate dal giudice di primo
grado, che aveva fondato l’illegittimità del contratto di apprendistato in base
alla rilevata mancata formazione professionale, donde l’inconferenza di tali
motivi a sostegno dell’impugnazione.
Parimenti inammissibile risultava la commistione tra
contratto di apprendistato e contratti a termine, laddove la lettera di
assunzione richiamava le esigenze tecnico-produttive derivate da incremento di
commesse, «per inferirne la legittimità del contratto a termine e la erroneità
della decisione nella parte in cui afferma la nullità del contratto di
apprendistato».
Per il resto la doglianza risultava infondata
laddove aveva sostenuto l’inapplicabilità del decreto
legislativo n. 276 del 2003, in luogo del contratto collettivo
metalmeccanico del 1997, che rimandava in pratica alla legge n. 25 del 1955. Infatti, essendo stato il
contratto di apprendistato stipulato dalle parti in epoca successiva
all’entrata in vigore del suddetto decreto n.
276/03, il rapporto restava soggetto alla disciplina dettata da
quest’ultima fonte normativa, secondo cui il contratto scritto di apprendistato
deve contenere il piano formativo individuale con l’indicazione di un monte ore
di formazione, formazione costituente l’elemento caratterizzante la tipologia
contrattuale distinta dall’ordinario rapporto di lavoro. L’assenza del piano
formativo e, comunque, la provata mancata formazione consentivano di
qualificare il rapporto come ordinario e di ritenere simulato quello indicato
come apprendistato. Non solo i testi escussi avevano chiaramente riferito di
una mancanza di formazione, ma le stesse deposizioni riportate nell’atto di
appello per dimostrarla confermavano l’assunto, dove in particolare le parole
della teste C.T. stavano ad identificare una normale attività di controllo e di
coordinamento, piuttosto che d’insegnamento dell’attività da intraprendere. Il
terzo motivo poi risultava del tutto defatigatorio, avendo il giudice adito già
escluso dalla complessiva somma, richiesta dalla lavoratrice, lo straordinario,
l’indennità sostitutiva per ferie, la 13a mensilità e la quota di t.f.r.
eccedente l’importo versato al termine del rapporto. Circa, infine, il quarto
motivo di appello, la Corte territoriale non poteva che rilevare come il
trasferimento di azienda non costituisse una ipotesi di preclusione alla
riammissione in servizio del dipendente illegittimamente estromesso e del
soddisfacimento dei crediti dal medesimo vantati, attese le tutele di cui all’articolo 2112 c.c. godute dal lavoratore
nell’ipotesi di cessioni, avverso la sentenza di appello ha proposto tempestivo
ricorso per cassazione M. s.n.c. di D.L.G. & C., in persona del I.r.p.t.
G.D.L., affidato ad un solo articolato motivo, cui ha resistito la sig.ra
A.P.R. mediante controricorso notificato a mezzo p.e.c. il 23-03-2018.
Considerato che
parte ricorrente ha denunciato violazione e/o falsa
applicazione del comma 5 bis dell’articolo
49 del decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276, aggiunto dall’articolo 13 del decreto legge 14 marzo
2005 numero 35, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005 n. 80, in relazione all’articolo 360, primo comma, nn. 3 e 5 c.p.c.,
nonché del contratto collettivo nazionale di lavoro
del 27 novembre 1997 per le aziende artigiane metalmeccaniche. In proposito
la ricorrente ha sostenuto l’erronea applicazione nella specie del decreto legislativo n. 276/03, nei sensi ritenuti
dalla Corte territoriale, che aveva però del tutto ignorato le modifiche
introdotte all’articolo 49 del
decreto 276 dall’articolo 13,
co. 13 bis, della legge n. 80/2005, per cui era stato inserito il comma 5
bis, secondo cui fino all’approvazione della legge regionale prevista dal comma
cinque, la disciplina dell’apprendistato professionalizzante era rimessa ai
contratti collettivi nazionali di categoria stipulati da associazioni dei
datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale. Di conseguenza, la succitata norma aveva riconosciuto alla
contrattazione collettiva un ruolo di supplenza temporanea e transitoria nella
determinazione dei profili formativi dell’apprendistato fino all’emanazione
delle apposite leggi regionali, però non ancora intervenute nel caso di specie,
rientrando quindi nella disciplina del vecchio apprendistato di apprendisti
appartenenti a settori che come quello in esame al momento della stipula del
contratto individuale non avevano disciplinato contrattualmente l’apprendistato
ai sensi del decreto n. 276/2003. La Regione
Abruzzo, poi, soltanto con legge 24 dicembre 2009 aveva regolamentato
l’apprendistato professionalizzante, stabilendo in particolare con l’articolo
34 che nelle more dell’adozione delle norme attuative il contratto di
apprendistato era disciplinato ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo
n. 276 e dalla legge 24 giugno 1997 n. 196,
con il conseguente richiamo all’applicabilità del contratto collettivo di
riferimento, risalente al 27 novembre 1997. Invece, il piano formativo
individuale era stato previsto soltanto della legge
n. 167 del 2011, che aveva disciplinato il contratto di apprendistato
professionalizzante, applicabile per il settore metalmeccanico artigiani a far
tempo dal 16 giugno 2011. Era stato, inoltre, dimostrato con le deposizioni
testimoniali e le dichiarazioni dello stesso D.L. che la formazione era stata
svolta dalle dipendenti C. e dal medesimo datore di lavoro, mentre non derivava
alcuna nullità del contratto dalla mancanza della forma scritta, per la quale
era prevista semmai la mera sanzione amministrativa; tanto premesso, le
doglianze di parte ricorrente vanno comunque disattese in forza delle seguenti
ragioni;
in primo luogo, parte ricorrente non ha depositato
il testo integrale del c.c.n.l. 27-11-1997
(mancante nella relativa produzione – cfr. altresì l’estrema genericità
dell’indice della documentazione in calce al ricorso per cassazione,
segnatamente per quanto concerne i “fascicoli di parte dei precedenti
gradi”), del quale la società istante però assume la violazione e/o falsa
applicazione, con conseguente improcedibilità dell’impugnazione, a norma di
quanto previsto sul punto dall’art. 369 del codice
di rito (invero, nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i
contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilità del
ricorso, dall’art. 369, secondo comma, n. 4, cod.
proc. civ., nella formulazione di cui al d.lgs.
2 febbraio 2006, n. 40 – può dirsi soddisfatto solo con la produzione del
testo integrale del contratto collettivo, adempimento rispondente alla funzione
nomofilattica di questa S.C. e necessario per l’applicazione del canone
ermeneutico previsto dall’art. 1363 cod. civ..
Né, a tal fine, può considerarsi sufficiente il mero richiamo, in calce al
ricorso, all’intero fascicolo di parte del giudizio di merito, ove manchi una
puntuale indicazione del documento nell’elenco degli atti – Cass. lav. n. 4350
del 04/03/2015. V. in senso analogo pure Cass. I civ. ordinanza n. 15580 del
15/03 – 14/06/2018 – Rv. 649273 – 01. Cfr. altresì Cass.
lav. n. 15495 del 02/07/2009, secondo cui l’onere di depositare i contratti
e gli accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda – imposto, a pena di
improcedibilità, dall’art. 369, secondo comma, n.
4, cod. proc. civ., nella nuova formulazione di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 – non può dirsi
soddisfatto con la trascrizione nel ricorso delle sole disposizioni della cui
violazione il ricorrente si duole attraverso le censure alla sentenza
impugnata, dovendosi ritenere che la produzione parziale di un documento sia
non solamente incompatibile con i principi generali dell’ordinamento e con i
criteri di fondo dell’intervento legislativo di cui al citato d.lgs. n. 40 del 2006, intesi a potenziare la
funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di
ermeneutica contrattuale dettati dagli artt. 1362
cod. civ. e seguenti e, in ispecie, con 2006, intesi a potenziare la
funzione nomofilattica della Corte di cassazione, ma contrasti con i canoni di
ermeneutica contrattuale dettati dagli artt. 1362
cod. civ. e seguenti e, in ispecie, con la regola prevista dall’art. 1363 cod. civ., atteso che la mancanza del
testo integrale del contratto collettivo non consente di escludere che in altre
parti dello stesso vi siano disposizioni indirettamente rilevanti per
l’interpretazione esaustiva della questione che interessa. Conformi Cass. n.
28306 del 31/12/2009, n. 3894 del 18/02/2010,
n. 6732 del 19/03/2010, nonché n. 7891 del 06/04/2011.
V. ancora Cass. lav. n. 27876 del 30/12/2009:
l’onere di depositare il testo integrale dei contratti collettivi di diritto
privato, previsto a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione dall’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.,
non è limitato al procedimento di accertamento pregiudiziale sull’efficacia,
validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali i cui
all’art. 420-bis cod. proc. civ., ma si estende
al ricorso ordinario ex art. 360, primo comma, n.
3, cod. proc. civ., avuto riguardo alla necessità che la S.C. sia messa in
condizione di valutare la portata delle singole clausole contrattuali alla luce
della complessiva pattuizione, e dovendosi ritenere pregiudicata la funzione
nomofilattica della S.C. ove l’interpretazione delle norme collettive dovesse
essere limitata alle sole clausole contrattuali esaminate nei gradi dì merito.
Conformi id. n. 2742 – 08/02/2010, n. 3459 del 15/02/2010. Cass. lav. n. 4373
del 23/02/2010: l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi –
imposto, a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 369, secondo comma, n.4, cod. proc. civ.,
nella formulazione di cui al d.lgs. 2 febbraio
2006, n. 40 – è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente
dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, senza che
possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo
di parte del giudizio di merito in cui sia stato già effettuato il deposito di
detti atti. In senso analogo v. ancora Cass. lav. ordinanza n. 11614 del 13/05/2010,
secondo cui, in particolare, non può essere considerata sufficiente la mera
allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia
stato effettuato il deposito di detti atti o siano state allegate per estratto
le norme dei contratti collettivi. In tal caso, ove pure la S.C. rilevasse la
presenza dei contratti e accordi collettivi nei fascicoli del giudizio di
merito, in ogni caso non potrebbe procedere al loro esame, non essendo stati
ritualmente depositati secondo la norma richiamata.
Parimenti, v. Cass. VI sez. – L, ordinanza n. 21366
del 15/10/2010, con principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis, primo comma, cod. proc. civ. ed
analogamente come da ordinanza n. 21358 del 15/10/2010, secondo la quale
l’anzidetto deposito deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le
singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del
contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente tali
disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica
assegnata alla Corte di Cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità
sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale);
risulta, altresì, preclusa nel caso di specie la
possibilità di poter denunciare il vizio di cui all’art.
360 n. 5 c.p.c., operando ad ogni modo lo sbarramento di cui all’art. 348-ter, ultimo comma, c.p.c. per effetto
della doppia conforme, visto che la sentenza di primo grado, risalente al 20
dicembre 2016 ed impugnata nell’anno 2017, risulta integralmente confermata
mediante il rigetto dell’interposto gravame e senza, peraltro, che la
ricorrente abbia in qualche modo precisato diversità di valutazioni in punto di
fatto tra la decisione di primo e quella di secondo grado del giudizio di
merito;
né sono, evidentemente, ammissibili in questa sede
di legittimità sindacati di sorta sulle valutazioni e sugli apprezzamenti in
ordine alle circostanze fattuali operati dalla Corte di merito, esclusivamente
competente al riguardo;
ad ogni modo ed indipendentemente dalla questione
della forma scritta circa il piano formativo individuale, la Corte distrettuale
ha comunque rilevato che nel caso di specie era da ritenersi accertata la
mancata formazione professionale, quale elemento caratterizzante l’impugnato
rapporto di apprendistato, il cui difetto consentiva di qualificarlo quindi
come ordinario rapporto di lavoro, ritenendo per contro simulato quello indicato
come di apprendistato;
tale ratio decidendi, pertanto, si appalesa del
tutto corretta alla luce del conforme orientamento della giurisprudenza di
questa Corte in materia (cfr., infatti, Cass. lav.
n. 14754 del 30/06/2014, secondo cui nel contratto di apprendistato il dato
essenziale è rappresentato dall’obbligo del datore di lavoro di garantire un
effettivo addestramento professionale finalizzato all’acquisizione, da parte
del tirocinante, di una qualificazione professionale, sicché il ruolo
preminente che la formazione assume rispetto all’attività lavorativa esclude
che possa ritenersi conforme a tale speciale figura contrattuale un rapporto
avente ad oggetto lo svolgimento di attività assolutamente elementari o routinarie,
non integrate da un effettivo apporto didattico e formativo di natura teorica e
pratica, con accertamento rimesso al giudice di merito ed incensurabile in
cassazione, se congruamente motivato. Analogamente, secondo Cass. lav. n. 6787/11.5.2002, nel contratto di
tirocinio il dato essenziale è rappresentato dall’obbligo del datore di lavoro
di garantire un effettivo addestramento professionale finalizzato
all’acquisizione, da parte del tirocinante, di una qualificazione
professionale. Il ruolo preminente che la formazione assume rispetto
all’attività lavorativa – che non solo spiega una serie di interventi del
legislatore nazionale diretti a renderne effettiva la realizzazione -v. art. 2, comma secondo, legge n. 25 del 1955,
introdotto dalla legge n. 424 del 1968, art. 16,
comma primo, legge n. 196 del
1997, art. 2, lett. a e b, del D.L. n. 214 del
1999, convertito nella legge n. 263 del 1999,
di modifica di alcune disposizioni della legge n.
25 del 1955- ma che è particolarmente sentito anche nel diritto comunitario,
come si desume dall’art. 127
del trattato istitutivo della Comunità Europea dal Regolamento
del Consiglio n. 2081/93 del 20 luglio 1993, esclude che possa ritenersi
conforme alla speciale figura contrattuale voluta dal legislatore un rapporto
avente ad oggetto lo svolgimento di attività assolutamente elementari o
routinarie, non integrate da un effettivo apporto didattico e formativo di
natura teorica e pratica. Conforme Cass. lav. n.
13013 del 5/9/2003. Cfr. altresì Cass. lav. n.
11265 del 10/05/2013: l’apprendistato è un rapporto di lavoro speciale, in
forza del quale l’imprenditore è obbligato ad impartire nella sua impresa
all’apprendista l’insegnamento necessario perché questi possa conseguire la
capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato, occorrendo a tal fine lo
svolgimento effettivo, e non meramente figurativo, sia delle prestazioni
lavorative da parte del dipendente sia della corrispondente attività di
insegnamento da parte del datore di lavoro, la quale costituisce elemento
essenziale e indefettibile del contratto di apprendistato, entrando a far parte
della causa negoziale. Spetta al giudice di merito verificare, con valutazione
non censurabile in sede di legittimità se congruamente motivata, la ricorrenza
di una attività formativa, pur modulabile in relazione alla natura e alle
caratteristiche delle mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere, purché
adeguata ed effettivamente idonea a raggiungere lo scopo di attuare una sorta
di ingresso guidato del giovane nel mondo del lavoro. In senso analogo anche
Cass. nn. 11482/2002 e n. 2015/12);
il ricorso, pertanto, deve ritenersi inammissibile,
con conseguente condanna della parte rimasta soccombente al pagamento delle
relative spese, dovendosi, per altro verso, anche rilevare la sussistenza dei
presupposti processuali inerenti al versamento dell’ulteriore contributo
unificato, stante l’esito del tutto negativo della proposta impugnazione;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte
ricorrente al pagamento delle spese, che liquida, a favore della
controricorrente, in euro 4500,00 (quattromilacinquecento/00) per compensi
professionali ed in euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali
al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115/2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da
parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.