Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 maggio 2020, n. 9488
Procedura di licenziamento collettivo, Mancata puntuale
indicazione nella comunicazione finale della procedura, delle modalità di
attuazione dei criteri legali di scelta, Accordo sindacale avente la sola
funzione di individuare criteri “generali, obiettivi ed astratti”,
Interpretazione dell’accordo
Fatti di causa
1. Con sentenza del 17.7.2017 il Tribunale di
Frosinone, adito secondo il rito di cui alla l. n.
92 del 2012, confermava in sede di opposizione l’ordinanza emessa nella
fase sommaria del procedimento con la quale veniva dichiarata l’inefficacia del
licenziamento intimato il 24.10.2015 a S.G. dal suo datore di lavoro società S.
s.r.l. a seguito di procedura ai sensi della l. n.
233 del 1991, veniva risolto il rapporto di lavoro e condannata la società
S. al pagamento in suo favore di un’indennità risarcitoria in misura pari a 22
mensilità dell’ultima retribuzione, compensando integralmente le spese del
giudizio di opposizione.
2. L’illegittimità del licenziamento veniva ritenuta
dal Tribunale per la mancata puntuale indicazione, nella comunicazione finale
della procedura in data 30.10.2015, delle modalità di attuazione dei criteri
legali di scelta dei lavoratori licenziati, rilevando che la comunicazione
nulla diceva sui criteri di scelta concordati in sede sindacale. In
particolare, l’accordo sindacale, concluso il 4.8.2015, aveva previsto che:
a) nel rispetto delle esigenze tecniche,
organizzative e produttive della società, venissero collocati in mobilità
prioritariamente i lavoratori in possesso dei requisiti soggettivi di età e
contribuzione tali da consentire l’accesso al trattamento pensionistico
all’atto della risoluzione del rapporto di lavoro oppure nel corso o alla
conclusione del periodo di mobilità (criterio del pensionamento);
b) successivamente, venissero collocati in mobilità
i lavoratori che avessero manifestato la volontà di non opposizione al recesso
(criterio della volontarietà);
c) in via residuale, venissero collocati in mobilità
i lavoratori in base ai criteri di cui all’art. 5, comma 1, l. n. 223 del
1991.
3. Il Tribunale riteneva applicabile non già la
tutela reintegratoria, ma quella indennitaria ritenendo infondate, anche
avvalendosi di una C.T.U. espletata in altro giudizio, le diverse doglianze del
ricorrente secondo le quali se l’azienda avesse applicato i criteri di scelta
concordati in sede sindacale, la scelta dei lavoratori da licenziare sarebbe
ricaduta su altri.
4. Avverso la citata sentenza il lavoratore
proponeva reclamo dinanzi alla Corte di appello di Roma. La S. si costituiva
per resistere all’impugnazione.
5. Con sentenza pubblicata il 4.12.2017 la Corte di
appello di Roma rigettava l’appello, condannando la parte reclamante al
pagamento delle spese del grado.
6. La Corte di appello respingeva la tesi del
lavoratore secondo la quale, quanto al criterio del pensionamento, l’accordo
sindacale dovesse interpretarsi nel senso che esso comprendesse non solo i
lavoratori suscettibili di maturare le condizioni per la pensione di vecchiaia,
ma anche coloro in possesso dei requisiti per la pensione di anzianità. La
Corte territoriale si basava sul tenore letterale dell’accordo, che richiedeva
la contemporanea presenza dei requisiti di età e di contribuzione.
L’argomento del lavoratore secondo il quale una
previsione riferita ai soli lavoratori in possesso dei requisiti per la
pensione di vecchiaia sarebbe stata inutile, non essendovi lavoratori in tale
condizione, veniva respinto sulla base della considerazione secondo la quale
l’accordo sindacale in questione aveva la sola funzione di individuare criteri
“generali, obiettivi ed astratti, coerenti con il fine dell’istituto della
mobilità”, non quello di individuare direttamente i lavoratori da
licenziare, osservandosi dalla Corte di appello che anche il criterio della
volontarietà aveva un carattere generale ed astratto, come tale suscettibile di
rimanere inattivo se neppure uno dei dipendenti dell’azienda avesse manifestato
l’intenzione di non opporsi al recesso, senza contare che i requisiti di età e
di contribuzione per accedere ai trattamenti pensionistici costituivano dati
non immediatamente percepibili. Sul piano più strettamente logico la Corte di
appello osservava che l’accomunamento sotto la medesima previsione di
trattamenti pensionistici quale quello di vecchiaia e quello anticipato, che
incidono sui beneficiari in modo assai diverso, avrebbe richiesto una
previsione chiara ed espressa, per essere opponibile ai pensionandi per
anzianità, che, al contrario di quelli per vecchiaia, avrebbero subito una
decurtazione del trattamento pensionistico loro spettante in futuro.
7. Avverso la citata sentenza della Corte di appello
di Roma S.G. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. La società
S. resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la
violazione degli art. 1362, 1363, 1366 e 1369 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ. lamentando
che la sentenza impugnata avrebbe definito la vicenda del licenziamento del
ricorrente sulla base di un’interpretazione dell’accordo aziendale del 4.8.2015
non conforme alle norme di ermeneutica richiamate, in particolare sul criterio
della pensionabilità.
3. Con il secondo motivo il lavoratore si duole
dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360,
comma 1, n. 5 cod.proc.civ., in relazione al rilievo della sentenza
impugnata concernente la diversa incidenza sui beneficiari dei trattamenti
pensionistici da una parte di vecchiaia e dall’altra di anzianità. Tale rilievo
sarebbe frutto del travisamento della realtà, giacché il raggiungimento dei
previsti limiti di età non è garanzia del trattamento pensionistico
“massimo”.
4. Il primo motivo non critica efficacemente, ad
avviso del Collegio, l’interpretazione dell’accordo aziendale del 4.8.2015
assunta dalla Corte di merito. Il ricorrente contrappone la sua lettura
dell’accordo, basata essenzialmente sulla necessità, in tesi, di intendere la
congiunzione “e”, che lega il requisito dell’età a quello
contributivo nella definizione del criterio “pensionistico” per
l’individuazione degli esuberi, come se invece si trattasse di una
“o”, a quella della Corte territoriale, che, nel ritenere necessaria
per il funzionamento del criterio “pensionistico” la compresenza del
requisito di età e di quello contributivo, si è basata sul tenore letterale
dell’accordo.
5. La doglianza consiste, infatti, in una diversa
interpretazione del contenuto dell’accordo aziendale in questione e quindi del
risultato interpretativo in sé. Ma esso spetta esclusivamente al giudice di
merito ed è pertanto insindacabile in sede di legittimità, qualora sorretto da
congrua motivazione, esente da vizi logici o giuridici (Cass. 16 dicembre 2011,
n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), come
appunto nel caso di specie (per le condivisibili ragioni illustrate a pag. 5
della sentenza). Né, d’altro canto, in presenza di un’interpretazione ben
plausibile del giudice di merito neppure essendo necessario che essa sia
l’unica possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178),
può darsi ingresso ad una sostanziale sollecitazione a revisione del merito,
discendente dalla contrapposizione di una interpretazione dei fatti propria
della parte a quella della Corte territoriale (Cass. 16 dicembre 2011, n.
27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694). E tale interpretazione contestata è stata
giustificata sulla base del “tenore letterale dell’accordo” e
pertanto del criterio ermeneutico che deve prevalere, quando riveli con
chiarezza ed univocità la volontà comune delle parti, sicché non sussistano
residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento
effettivo dei contraenti (Cass. 21 agosto 2013, n.
19357; Cass. 28 agosto 2007,n. 18180).
6. La Corte territoriale ha motivatamente escluso —
come risulta dalle ragioni della decisione della Corte territoriale più sopra
sintetizzate – che residuassero margini di ambiguità del significato
dell’espressione usata dai partecipanti all’accordo tali da giustificare il
ricorso a criteri ermeneutici diversi da quello letterale, per cui non vale
appellarsi, come fa il ricorrente, a significati diversi che l’espressione
avrebbe nell’uso corrente e anche in una sentenza della Corte costituzionale.
8. Inammissibile è il secondo motivo, che attiene ad
una considerazione – quella secondo cui l’accomunamento sotto la medesima
previsione di trattamenti pensionistici quale quello di vecchiaia e quello
anticipato, che incidono sui beneficiari in modo assai diverso, avrebbe
richiesto una previsione chiara ed espressa, per essere opponibile ai
pensionandi per anzianità, che, al contrario di quelli per vecchiaia, avrebbero
subito una decurtazione del trattamento pensionistico loro spettante in futuro
— svolta ad abundantiam dalla sentenza impugnata, per cui la doglianza non
potrebbe in ogni caso condurre alla cassazione di questa, che si regge
autonomamente sulla ragione del decidere non efficacemente censurata con il
primo motivo. In ogni caso la circostanza manca di decisività.
9. Alla luce delle considerazioni che precedono, il
ricorso è quindi complessivamente da rigettare.
10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo.
11. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13, se
dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per
esborsi, euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% e accessori di
legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13, se
dovuto.