Il bando di concorso che preveda un’altezza minima uniforme per i candidati di ambedue i sessi costituisce una discriminazione indiretta a sfavore delle donne, a meno che tale requisito non sia in concreto funzionale alle mansioni da svolgere.
Nota a Cass. ord. 21 aprile 2020, n. 7982
Sonia Gioia
In materia di requisiti per l’assunzione, “qualora in una norma secondaria sia prevista una statura minima identica per uomini e donne, in contrasto con il principio di uguaglianza, perché presupponga erroneamente la non sussistenza della diversità di statura mediamente riscontrabile tra uomini e donne e comporti una discriminazione indiretta a sfavore di queste ultime, il giudice ordinario ne apprezza, incidentalmente, la legittimità ai fini della disapplicazione, valutando in concreto la funzionalità del requisito richiesto rispetto alle mansioni”.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (ord. 21 aprile 2020, n. 7982, difforme da App. Roma n. 1050/2015) in relazione al caso di una lavoratrice esclusa per “deficit staturale” dalla procedura di selezione, bandita da Trenitalia S.p.A., per l’assunzione di personale con qualifica di Capo Servizio Treno.
Al riguardo, la Corte ha precisato che una norma, regolamentare o collettiva, che preveda un’altezza minima identica per gli uomini e per le donne, non tenendo conto della diversità di statura ontologicamente dipendente dal sesso, viola il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) ed è causa di discriminazione indiretta. Ciò a meno che tale requisito non sia oggettivamente giustificato o comprovato nella sua pertinenza e proporzionalità alle mansioni previste dalla qualifica.
Pertanto, il giudice ordinario, ai fini della disapplicazione della norma, è tenuto a valutarne la legittimità, verificando concretamente la funzionalità della qualità fisica richiesta rispetto alle peculiarità delle mansioni da svolgere (V. Cass. n. 3196/2019, annotata in questo sito da F. BELMONTE, Discriminazione per statura; Cass. n. 30083/2017, in questo sito, con nota di M. BONI, Discriminazione per statura e per lingua).
In attuazione di tali principi, la Corte ha cassato con rinvio ad altro giudice la pronuncia di merito per aver fondato il proprio giudizio su una CTU che aveva sancito “in via generale ed astratta” l’inidoneità della lavoratrice alle mansioni di Capo Servizio Treno per deficit staturale, omettendo, tuttavia, di apprezzare in concreto la congruità tra la condizione fisica della prestatrice e le mansioni da espletare.