Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 maggio 2020, n. 9783
Contratti di appalto stipulati dalla società con lavoratori
artigiani, Assenza di organizzazione di impresa, Contratti a progetto, in
difetto del progetto, convertiti in rapporti di lavoro subordinato, Schema
negoziale tendenzialmente esclusivo con il quale acquisire prestazioni
lavorative connotate dalla coordinazione, dalla continuità e dalla prevalente
personalità
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Bergamo rigettava i ricorsi
proposti da V. di V. G. & c s.n.c. in opposizione alle cartelle esattoriali
emesse dall’INPS e dall’INAIL per contributi e premi dovuti in relazione alle
prestazioni rese nel periodo 2004-2007 da n. 4 lavoratori, formalmente
artigiani. La sentenza rigettava anche il ricorso avente ad oggetto
l’accertamento negativo rispetto al provvedimento di variazione del rapporto
assicurativo presupposto del credito iscritto a ruolo dall’INAIL.
2. Le pretese impositive recepivano l’esito
dell’accertamento congiunto DPL, INAIL e INPS del 11/11/2009 – che traeva
origine dal verbale di constatazione del nucleo di Polizia Tributaria di
Bergamo del 28/5/2008 – secondo il quale i contratti di appalto stipulati dalla
società con i quattro artigiani pavimentisti dovevano in realtà essere ritenuti
contratti di lavoro a progetto ai sensi dell’articolo 61 del d.lgs n. 276 del 2003
e, in difetto del progetto, convertiti in rapporti di lavoro subordinato, con
la conseguente fondatezza delle pretese per contributi e premi e relativi
accessori.
3 La Corte d’appello di Brescia confermava la
sentenza del Tribunale, argomentando che nella fattispecie in esame non era
configurabile un appalto, stante l’assenza di organizzazione di impresa degli
artigiani piastrellisti. Alla luce delle risultanze di causa, argomentava la
Corte, i rapporti oggetto di causa si dovevano ritenere concretati secondo lo
schema negoziale della cosiddetta parasubordinazione o meglio della
collaborazione coordinata e continuativa prevalentemente personale; tuttavia,
in assenza di specifico progetto, la prestazione doveva essere ritenuta ex art. 69 comma 1 del d.lgs n. 276 del
2003 di lavoro subordinato alle dipendenze della committente.
4. Per la cassazione della sentenza V. s.n.c. ha
proposto ricorso, affidato a 7 motivi, cui hanno resistito con controricorso
l’Inps e l’INAIL.
5. V. di V. G. & c s.n.c. ha depositato memoria
ex art. ex art. 380-bis. 1 c.p.c.
Ragioni della decisione
6. Con il primo motivo di ricorso la società deduce
la falsa applicazione dell’art. 1655 del codice
civile e lamenta che la Corte bresciana abbia ritenuto preclusa
all’artigiano piccolo imprenditore la possibilità di stipulare contratti di
appalto.
7. Come secondo motivo deduce la violazione dell’art. 1362 c.c. e lamenta che la Corte territoriale
non abbia considerato la volontà delle parti di porre in essere un contratto di
appalto.
8. Come terzo motivo lamenta l’omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti
e la nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c.
in relazione alla comune intenzione delle parti quale risultante anche dalle
dichiarazioni dei quattro artigiani.
9. Come quarto motivo deduce la violazione e falsa
applicazione dell’articolo 2222 c.c. e lamenta
che la prestazione non sia stata fatta rientrare nel contratto d’opera.
10. Come quinto motivo lamenta l’omesso esame e la
contraddittorietà della motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio
nella parte in cui la sentenza non avrebbe spiegato la ragione per la quale il
lavoratore autonomo debba essere titolare di piccola impresa, avendo ritenuto
che l’attrezzatura della quale i piastrellisti disponevano (flessibile,
taglierina, martello, mazzette, miscelatore) non fosse sufficiente a consentire
lo svolgimento dell’attività produttiva atta a garantire il risultato pattuito
con la committente.
11. Come sesto motivo deduce l’omesso esame circa
più fatti decisivi per il giudizio e lamenta che la Corte non abbia motivato
sul perché la prestazione dei piastrellisti, che erano gli unici artigiani a
svolgere tale attività specialistica, non avendo la V. dipendenti addetti a
tale mansione, non sia stata ritenuta di lavoro autonomo, non essendo stato
svolto un esame circostanziato sull’obbligo di rispettare un determinato orario
e sulle assenze per ferie e malattie.
12. Come settimo motivo deduce la violazione dell’articolo 61 comma 1 e dell’art. 69 commi 1 e 2 del d.lgs n. 276
del 2003 e sostiene che la sussistenza del contratto d’opera, nel caso
configurabile, escluderebbe l’applicazione della norma richiamata.
13. Tutti i motivi di ricorso possono essere
esaminati congiuntamente in quanto connessi, attenendo alla qualificazione dei
rapporti di lavoro operata dal giudice di merito ed alle conseguenze di tale
qualificazione.
14. Essi devono essere disattesi, risultando
infondati sotto i lamentati profili che attengono alla violazione di legge e
inammissibili nella parte in cui censurano la ricostruzione delle risultanze
fattuali operata dal giudice di merito.
15. Occorre premettere che la Corte territoriale,
confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto che i contratti realizzati
da V. con gli artigiani pavimentisti dovessero essere sussunti nella
fattispecie contrattuale del lavoro a progetto, introdotta dagli artt. 61 ss. del decreto legislativo
n. 276 del 2003 (e successivamente eliminata dall’art. 52 del d.lgs n. 81/2015,
che ha abrogato gli artt. da 61 a
69 bis del d.lgs. 276/2003) che ha circoscritto la categoria dei rapporti
previsti dall’art. 409, n. 3 cod. proc. civ.,
ed ha assunto il ruolo di schema negoziale tendenzialmente esclusivo con il
quale acquisire prestazioni lavorative connotate dalla coordinazione, dalla
continuità e dalla prevalente personalità.
16. La qualificazione come parasubordinata
dell’attività svolta è risultata la prima e fondamentale ratio decidendi,
adottata dal giudice di merito, che ha dunque applicato il principio secondo il
quale con il D.Lgs 276/03, c.d. riforma Biagi,
dal 24 ottobre 2003, operante ratione temporis, non era possibile, fatte salve
alcune eccezioni che qui non rilevano, instaurare rapporti di
parasubordinazione, ovvero di collaborazione coordinata e continuativa,
prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, se non
riconducibili ad un progetto, programma di lavoro o fase di esso.
17. Nel qualificare le prestazioni rese dai
piastrellisti nell’ambito della c.d. parasubordinazione – figura introdotta a
fini processuali dall’art. 409 comma 1 n. 3 c.p.c
(di recente modificato dall’art.
15, comma 1, lett. a) della I. n. 81 del 2017) e richiamata a fini
sostanziali dal surrichiamato art.
61 del d.lgs n. 276 del 2003 – la Corte territoriale si è attenuta ai
principi elaborati da questa Corte, secondo i quali «Perché sia configurabile
un rapporto di cosiddetta parasubordinazione ai sensi dell’art. 409 n. 3 cod. proc.civ., devoluto alla
competenza del giudice del lavoro, è necessario che la prestazione d’opera del
collaboratore autonomo con l’ente preponente sia continuativa e personale, o
prevalentemente personale, e che l’attività si svolga in connessione o
collegamento con il preponente stesso, per contribuire al conseguimento delle
finalità cui esso mira» (Cass. n. 24361 del 01/10/2008, Cass. n. 23744 del 17/09/2008).
18. Requisiti della c.d. parasubordinazione sono
stati così ritenuti la continuatività, che ricorre quando la prestazione non
sia occasionale ma perduri nel tempo ed importi un impegno costante del
prestatore a favore del committente (Cass. 23 dicembre 2004, n. 23879), la
coordinazione, intesa come connessione e collegamento funzionale con l’attività
del preponente stesso, per contribuire alle finalità cui esso mira (Cass. 6
maggio 2004, n. n.8598) e la natura prevalentemente personale della prestazione
svolta.
19. Tali indici la Corte territoriale ha ravvisato
nella fattispecie in esame: ha infatti rilevato che i quattro pavimentisti
avevano reso una prestazione personale, non essendosi avvalsi di alcun
collaboratore e possedendo unicamente attrezzature minime, quali taglierina,
martello, mazzette, miscelatore, che custodivano nel garage di casa, in cantina
o in automobile. Essi avevano lavorato con continuità esclusivamente in favore
della società appellante, unica loro committente per l’intero periodo di causa
e soltanto a carico della quale essi avevano emesso fatture.
Inoltre, le prestazioni erano eseguite per l’intera
durata dell’anno, lavorando gli artigiani tutti i giorni nei cantieri della
società a fronte di un corrispettivo pagato mensilmente e calcolato sulla base
della metratura eseguita. La loro prestazione, infine, era rigorosamente
coordinata e funzionalmente connessa con l’organizzazione aziendale della V.
che, oltre a consegnare i materiali per la posa (piastrelle e colla), dava ai
quattro le direttive necessarie. Gli artigiani in pratica erano i piastrellisti
fissi della V. e lavoravano all’interno del cantiere, coordinati dal capo
cantiere.
20. Tali elementi risultavano quindi idonei a
ricondurre la prestazione alla fattispecie delineata dagli artt. 61 ss. del decreto legislativo
n. 276 del 2003 secondo gli indici elaborati da questa Corte e sopra
richiamati.
21. Allo scopo di rendere applicabile la disciplina
del co.co .pro., del resto, non ostava la natura formalmente artigiana
dell’attività svolta dai lavoratori, che non ne contraddiceva il carattere
prevalentemente personale, considerato che ai sensi dell’art.
2 della L. 08/08/1985, n. 443 è imprenditore artigiano «colui che
esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa
artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi
inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il
proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo».
22. Neppure ostava la tipologia contrattuale
(contratto di appalto) formalmente adottata, che presuppone, secondo quanto ha
chiarito la giurisprudenza di questa Corte, un’organizzazione di media o grande
impresa cui l’obbligato è preposto (v. Cass. 16 novembre 2017 n. 27258 ed anche
Cass. 29 maggio 2001, n. 7307; Cass. 21 maggio 2010, n. 12519), del tutto
assente nel caso in assenza di fattori produttivi esterni, quali capitale
investito e/o dipendenti.
23. Occorre comunque ribadire anche a tale proposito
che ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, il «nomen iuris»
adottato dalle parti, pur essendo elemento necessario di valutazione, non
costituisce fattore assorbente, in quanto può rilevare solo in concorso con
altri validi elementi differenziali o in caso di non concludenza degli altri
elementi di valutazione, occorrendo dare prevalenza alle concrete modalità di
svolgimento del rapporto di lavoro (v. Cass. n.
4884 del 01/03/2018, Cass. n. 1717 del
23/01/2009).
24. L’accertamento fattuale compiuto dal giudice di
merito infine non è stato censurato ai sensi del novellato art. 360 n. 5 c.p.c., né poteva esserlo in ragione
dell’operare dell’applicabilità, nel giudizio di cassazione, del quinto comma
dell’art. 348 ter cod. proc. civ. (introdotto
dall’art. 54 comma 1 lett. a) del
D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif, nella L.
n. 134 dello stesso anno) applicabile, a norma dell’art. 54 comma 2 del medesimo
decreto, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione
di cui sia stata richiesta la notificazione a far data dal 11 settembre 2012
(come chiarito da Cass. n. 26860 del 18/12/2014 e Cass.
ord., 24909 del 09/12/2015), il quale prevede che la disposizione contenuta
nel precedente comma quarto – ossia l’esclusione del vizio di motivazione dal
catalogo di quelli deducibili ex art. 360 cod.
proc. civ. – si applica, fuori dei casi di cui all’art. 348 bis, secondo comma, lett. a), anche al
ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che conferma la decisione
di primo grado (cosiddetta “doppia conforme”, v. Cass. n. 23021 del 29/10/2014).
25. Nel caso, poiché la ricostruzione delle
emergenze probatorie effettuata dal Tribunale è stata confermata dalla Corte
d’appello, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del
motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.,
avrebbe dovuto indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di
primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello,
dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 10/03/2014, n.
26774 del 22/12/2016), ciò che nel caso non è stato fatto.
26. In relazione alle conseguenze della
qualificazione così operata del rapporto, basta qui ribadire che l’art. 69, comma 1, del d.lgs n. 276
del 2003 (anche nel testo “ratione temporis” applicabile,
anteriore alle modifiche apportate dalla I. n. 92
del 2012) ha previsto per il contratto di lavoro che rientri nella
previsione degli artt. 61 ss.,
ma manchi di specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso,
l’automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato sin dalla data di costituzione (Cass.04/04/2019
n. 9471, Cass.06/05/2019, n. 11778), con
applicazione quindi delle garanzie del lavoro dipendente, anche sotto il
profilo contributivo e assicurativo, senza necessità di accertamenti giudiziali
sulla natura del rapporto. Sicché neppure rilevava nel caso l’accertamento,
della cui mancanza si duole la ricorrente, di uno stringente controllo
sull’orario di lavoro o sulle assenze per ferie e malattie, e dunque di
elementi dai quali desumere la natura subordinata della prestazione quali
l’eterodirezione datoriale.
27. La qualificazione che deriva ex lege
dall’assenza di progetto supera e assorbe il rilievo dell’Inail, che ricorda
come per effetto dell’art. 5 del
D.Lgs. 23/02/2000, n. 38, operante ratione temporis, la sussunzione del
rapporto nell’alveo della subordinazione avrebbe comunque determinato la
sussistenza dell’obbligo assicurativo, con tutti i relativi adempimenti a
carico del committente.
28. Segue coerente il rigetto del ricorso.
29. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono
la soccombenza.
30. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, ove
dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore di
ciascuno dei controricorrenti in complessivi € 8.000,00 per compensi
professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali
nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, ove
dovuto.