Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 giugno 2020, n. 10407
Riconoscimento della qualifica superiore, CCNL dei lavoratori
domestici, Pagamento di differenze retributive, Ricorso in Cassazione,
Anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, Vizio risultante dal testo della sentenza impugnata, a prescindere
dal confronto con le risultanze processuali
Rilevato
che la Corte territoriale di Roma, con sentenza
pubblicata il 23.4.2014, ha accolto parzialmente l’appello interposto da L.F.,
nei confronti di C.S., quale erede di A.S., avverso la pronunzia del Tribunale
di Latina n. 1262/2010, depositata il 25.5.2010, con la quale era stato
respinto il ricorso della F., diretto ad ottenere il riconoscimento della
qualifica superiore nella prima categoria super del CCNL dei lavoratori
domestici, nonché il pagamento di differenze retributive, in relazione al
rapporto di lavoro asseritamente intercorso con la S. dal 14.11.1994 al
27.6.2002, data del decesso di quest’ultima; che, pertanto, in parziale riforma
della gravata pronunzia, la Corte di merito ha condannato C.S. al versamento,
in favore della F., della quota di sua spettanza, quale erede di A.S., pari ad
Euro 18.230,93, oltre accessori, come per legge, per le differenze retributive
relative al periodo dal 28.5.1997 al 27.8.1998, dichiarando assorbito l’appello
incidentale interposto dal S. relativamente alla compensazione delle spese
disposte dal giudice di primo grado; che per la cassazione della sentenza ricorre
L.F., articolando due motivi contenenti più censure;
che C.S., in proprio, e nella qualità di erede di
A.S., resiste con controricorso, spiegando, altresì, ricorso incidentale
affidato a due motivi ; che il P.G. non ha formulato richieste
Considerato
che, con il ricorso principale, si deduce: 1) in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.,
l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, in relazione al mancato godimento di riposi,
permessi, ferie e festività; nonché, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione
e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per
avere i giudici di seconda istanza erroneamente dato risalto alla sola
testimonianza di S.L. relativamente al riposo settimanale ed inoltre, per avere
gli stessi affermato, senza un valido riscontro probatorio, che <<nessuno
dei testimoni escussi aveva confermato le allegazioni della ricorrente circa il
lavoro svolto durante le ferie e le festività>>; 2) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti in relazione alla qualifica superiore richiesta dalla
ricorrente; nonché, in riferimento all’art. 360,
primo comma, n. 5, c.p.c., per avere i giudici di appello erroneamente
rigettato il gravame, ritenendo non provato lo svolgimento di mansioni
riconducibili alla prima categoria super del CCNL dei lavoratori domestici,
omettendo ogni valutazione circa la sussistenza dei presupposti per poter
riconoscere una qualifica diversa, comunque superiore a quella attribuita dal
datore di lavoro nell’ambito delle stesse mansioni; e ciò, <<perché la
ricorrente non aveva espressamente denunciato con il gravame l’omessa pronuncia
sul punto del giudice di primo grado>>; pertanto, a parere della lavoratrice,
la Corte di merito, avrebbe erroneamente ritenuto che, esaminando la domanda
implicita di inquadramento in una categoria comunque superiore a quella
attribuita, sarebbe incorsa nella violazione dell’art.
112 c.p.c., considerando tale domanda rinunciata ai sensi dell’art. 346 c.p.c.;
che, con il ricorso incidentale, si censura: 1) in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.,
la violazione e falsa applicazione degli artt. 167,
primo comma, 416, terzo comma, 115 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c., per avere la Corte di merito
ritenuto erroneamente che il S. non avesse dimostrato l’avvenuto pagamento
delle retribuzioni relative al periodo 28.5.199727.8.1998, per un totale di
Euro 18.230,93, né avesse contestato i conteggi in modo specifico,
<<invertendo, così, l’onere della prova, in violazione dell’art. 2697 c.c., secondo cui: chi intende fare
valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento>> e <<giustificando l’accoglimento della domanda con una
incongrua, contrastante ed illogica motivazione>>; 2) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione
e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione agli artt. 167, primo comma, 416,
terzo comma, c.p.c. e 2697 c.c., nella
parte in cui la Corte di merito ha condannato il S. al <<pagamento di un
terzo delle spese processuali del doppio grado, liquidate per l’intero -quanto
al primo grado- in complessivi Euro 2.100,00 e -quanto al presente grado-
liquidate, sempre per l’intero, in complessivi Euro 1.800,00, oltre IVA e
C.p.A., come per legge>>, poiché tale pronunzia sarebbe stata emessa,
secondo il S., sull’errato presupposto che dovesse essere il convenuto a
provare di avere corrisposto la retribuzione ai sensi degli artt. 167, primo comma, e 416, terzo comma, c.p.c., con la conseguente falsa
applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.; che il primo motivo del ricorso
principale non è meritevole di accoglimento, in quanto teso, all’evidenza, ad
ottenere un nuovo esame del merito attraverso una nuova valutazione degli
elementi delibatori, pacificamente estranea al giudizio di legittimità (cfr.,
ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass.
n. 14541/2014), poiché <<il compito di valutare le prove e di
controllarne l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al
giudice di merito>>; per la qual cosa, <<la deduzione con il
ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per
omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, o per mancata
ammissione delle stesse, non conferisce al giudice di legittimità il potere di
riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio,
bensì solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza
giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal
giudice di merito> (cfr., ex multis, Cass.,
S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass. n. 2056/2011); e,
nella fattispecie, la Corte distrettuale è pervenuta alla decisione impugnata,
anche in relazione al dedotto mancato godimento di riposi, permessi, ferie e
festività, tenendo conto di tutte le emergenze processuali, sia testimoniali
che documentali (si veda, in particolare, pag. 4 della sentenza impugnata),
attraverso un iter motivazionale del tutto condivisibile dal punto di vista
logico-giuridico, anche in ordine alla valutazione dei mezzi istruttori addotti
dalle parti; che, inoltre, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa
Corte (con la sentenza n. 8053/2014), per
effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo
l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della
motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata,
a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si
esaurisce nella <<mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico>>, nella <<motivazione apparente>>, nel
<<contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili> > e nella
<<motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile>>, esclusa
qualunque rilevanza del semplice difetto di <<sufficienza>> della
motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio
specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione
tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe
determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poiché la sentenza
oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come riferito in
narrativa, il 23.4.2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il
nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come
sostituito dall’art. 54, comma 1,
lettera b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con
modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134,
a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione
per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che
denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n.
21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di
discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare;
né, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite,
ad un vizio della sentenza <<così radicale da comportare>>, in
linea con <<quanto previsto dall’art. 132, n.
4, c.p.c., la nullità della sentenza per mancanza di motivazione;»>. E,
dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione
relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di
legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei
giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n.
25229/2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale,
come innanzi riferito, con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue
poste a fondamento della decisione impugnata;
che neppure il secondo motivo del ricorso principale
può essere accolto; al riguardo, va premesso che perché possa utilmente dedursi
in sede di legittimità un vizio di <connessa pronunzia>> o di
<<ultrapetizione>> – fattispecie riconducibile ad una ipotesi di
error in procedendo ex art. 360, n. 4, c.p.c.
-, sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, l’omesso esame di una domanda o la
pronunzia su una domanda non proposta (cfr., tra le molte, Cass. nn.
13482/2014; 9108/2012; 7932/2012; 20373/2008);
ipotesi, questa, che non ricorre nel caso di specie, in cui non è stata
riproposta in sede di appello la domanda di riconoscimento della qualifica
intermedia tra quella riconosciuta dal datore di lavoro (terzo livello del CCNL
dei lavoratori domestici) e quella pretesa (prima categoria super del medesimo
CCNL), in ordine alla quale il giudice di primo grado non si è pronunziato: per
la qual cosa, la Corte di merito ha reputato correttamente che la F. vi avesse
rinunziato ai sensi dell’art. 346 del codice di
rito; e ciò, conformemente agli arresti giurisprudenziali di legittimità nella
materia (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 413/2017; 3863/2008;
14755/2006; 11557/2003), secondo cui <<La
domanda di accertamento del diritto del lavoratore ad essere inquadrato,
anziché nella qualifica richiesta, in una qualifica diversa ed inferiore, ma
pur sempre superiore alla qualifica attribuita dal datore di lavoro, può
ritenersi domanda implicitamente inclusa in quella proposta, purché vi sia la
corrispondente prospettazione degli elementi di fatto e, segnatamente, della
declaratoria contrattuale che sorregga la qualifica intermedia>>;
pertanto, <<qualora il giudice di merito, rigettando espressamente la
domanda di inquadramento nella qualifica superiore, ometta l’esame della
domanda in relazione alla qualifica immediatamente inferiore a quella rivendicata,
incorre nel vizio di omessa pronunzia, che deve essere specificamente
denunziato in appello, potendo il giudice del gravame pronunziare sul
riconoscimento della qualifica intermedia solo ove ciò sia stato oggetto di uno
specifico motivo di impugnazione ed incorrendo, invece, nella violazione del
principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, in caso di
pronunzia sulla domanda non espressamente riproposta e da intendersi rinunziata
ex art. 346 c.p.c.>>, operando, in tale
ipotesi, <<il principio desumibile dall’art.
329, secondo comma, c.p.c., secondo cui l’effetto devolutivo dell’appello
non si verifica per i capi della sentenza di primo grado che non siano
investiti dai motivi di impugnazione, con relativa formazione del
giudicato>>;
che, pertanto, il mezzo di impugnazione non è idoneo
a scalfire le argomentazioni cui è pervenuta la Corte di merito; che il primo
mezzo di impugnazione del ricorso incidentale non è fondato, poiché la Corte
territoriale è pervenuta alla decisione oggetto del presente giudizio (cfr.
pag. 5 della sentenza) uniformandosi ai consolidati arresti giurisprudenziali
della Suprema Corte nella materia, del tutto condivisi da questo Collegio, che
non ravvisa ragioni per discostarsene -ed ai quali, ai sensi dell’art. 118 Disp. att. c.p.c., fa espresso richiamo
(cfr., in particolare e tra le molte, Cass. nn.
29236/2017; 10116/2015; 4051/2011;
945/2006; 9285/2003)-, secondo cui, nel
processo del lavoro, l’onere di <<contestare specificamente i conteggi
relativi al quantum sussiste anche quando>>, analogamente al caso di specie,
<<il convenuto contesti in radice la sussistenza del credito, poiché la
negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente
l’affermazione dell’erroneità della loro quantificazione, mentre la
contestazione dell’esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma,
dovendosi escludere una generale incompatibilità tra il sostenere la propria
estraneità al momento genetico del rapporto ed il difendersi sul quantum
debeatur>>; peraltro, la contestazione soltanto generica dei conteggi di cui
si tratta, da parte del S., si evince anche dalla trascrizione della parte
della memoria difensiva riportata nel controricorso con ricorso incidentale,
nella parte che riguarda il primo mezzo di impugnazione, in cui si legge:
<<… si respinge ogni richiesta economica….nonché i conteggi allegati
al ricorso introduttivo…. >>;
che il secondo motivo del ricorso incidentale è
inammissibile, perché, alla stregua dei costanti arresti giurisprudenziali di
legittimità, la statuizione sulle spese di lite è sindacabile in questa sede
esclusivamente nell’ipotesi in cui le stesse vengano poste a carico della parte
totalmente vittoriosa (la qual cosa non è avvenuta nella fattispecie) ed
esulando dal potere di controllo della Suprema Corte la valutazione dell’opportunità
di compensarle in tutto o in parte, sia nel caso di soccombenza reciproca che
in quello in cui sussistano altri giusti motivi, in quanto tale valutazione
rientra nel potere discrezionale del giudice di merito (cfr., ex plurimis,
Cass. nn. 13273/2019; 24502/2017; 8421/2017; 15317/2013; 2736/2012);
che, per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso
principale e quello incidentale devono essere entrambi rigettati;
che le spese del presente giudizio vanno interamente
compensate tra le parti, data la reciproca soccombenza;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002, nei termini specificati in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale ed il ricorso
incidentale. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di
legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso principale ed il ricorso incidentale, a norma del comma 1 -bis
dello stesso articolo 13.