Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 maggio 2020, n. 9790
Violazione del patto di non concorrenza, Pagamento del
corrispettivo, Mansioni di private banker, Attività lavorativa presso un
istituto di credito concorrente, Grave inadempimento dell’Istituto bancario ai
propri obblighi comportamentali che avevano costituito motivo di dimissione,
Inadempimento che paralizza l’azionabilità del patto di non concorrenza per
effetto dell’eccezione di inadempimento ex art.
1460 c.c., Natura non risarcitoria ma di corrispettivo di un’obbligazione
di “non facere”, ancorché erogato in vista della cessazione del rapporto,
Piena autonomia causale rispetto alla fine del rapporto, che è mera occasione
del patto
Rilevato che
1. con sentenza n. 5174 depositata il 10.7.2015, la
Corte di appello di Roma, confermando la pronuncia del Tribunale della medesima
sede, ha accolto la domanda di U. s.p.a. di pagamento del corrispettivo per
violazione del patto di non concorrenza stipulato con A.S., dipendente con
mansioni di private banker del Banco di S. s.p.a. (successivamente incorporato
da U. s.p.a.) che, a seguito di dimissioni del 30.5.2008, aveva prestato
attività lavorativa presso un istituto di credito concorrente, operando con la
clientela facente parte del portafoglio clienti di U. s.p.a.;
2. la Corte distrettuale, esclusa la formazione di
giudicato sull’accertamento della violazione del patto di non concorrenza per
acquisita esecutività del decreto ingiuntivo n. 7541/2008 (conseguita alla
declaratoria di inammissibilità dell’opposizione proposta da soggetto non
legittimato) in quanto avente ad oggetto il pagamento dell’indennità
sostitutiva del preavviso, ha ritenuto valido il patto avendo lo stesso
riguardato la medesima zona (Lazio), la medesima clientela e i medesimi generi
di prodotti per i quali era stato stipulato il contratto di lavoro, avendo
limitazione temporale ai tre anni successivi alla cessazione del rapporto e
prevedendo la corresponsione di un adeguato compenso, dovendo escludersi,
inoltre, che il mutamento di assetto aziendale (incorporazione del Banco di S.
nel gruppo U.) potesse incidere sull’efficacia del patto stesso;
3. avverso detta sentenza la S. propone ricorso
affidato a otto motivi e la Banca resiste con controricorso; entrambe le parti
hanno depositato memoria.
Considerato che
1. con il primo motivo la ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 2909
cod.civ. e 324 cod.proc.civ. nonché dell’art. 1460 cod.civ. con riferimento alla definitiva
esecutorietà ex art. 654 cod.proc.civ. del
decreto ingiuntivo n. 7541/2008 (ex art. 360, primo
comma, nn. 3 e 4 cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, escluso
rilevanza di cosa giudicata esterna alla statuizione di condanna al pagamento
dell’indennità sostitutiva del preavviso a carico del datore di lavoro in
quanto dovuta ex art. 2119 cod.civ., atteso che
la ragione di fatto e di diritto sottostante detta condanna era prima facie
riconducibile (in base al petitum sostanziale di cui al ricorso per decreto
ingiuntivo e alla causa petendi del successivo giudizio di opposizione) al
grave inadempimento dell’Istituto bancario ai propri obblighi comportamentali
che avevano costituito motivo di dimissione da parte della S., inadempimento
che paralizzava l’azionabilità del patto di non concorrenza per effetto
dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460
cod.civ.;
2. con il secondo motivo la ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 2125
cod.civ. in relazione all’art. 1421 cod.civ.
(ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte territoriale, trascurato di verificare i limiti di oggetto,
tempo e luogo posti dal patto di non concorrenza con specifico riferimento alla
maturata professionalità e alle mansioni svolte dalla S. che aveva svolto la
propria attività esclusivamente nell’ambito del private banker. Affidato al
mero arbitrio della banca risultava poi l’ambito territoriale di efficacia del patto,
individuato dalle regioni ove la stessa avesse prestato attività lavorativa per
almeno un mese;
3. con il terzo motivo di ricorso si denuncia
violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 410 e 413
cod.proc.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 4,
cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente disatteso
l’eccezione di improcedibilità del ricorso (in opposizione a decreto ingiuntivo)
per mancato esperimento del tentativo di conciliazione, essendosi limitata, U.
s.p.a. a produrre verbale negativo di mancata comparizione della S.
all’Assessorato per il lavoro della Regione S., in palese violazione del
criterio di collegamento territoriale con il luogo di attività del dipendente;
4. con il quarto motivo si denunzia violazione e
falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di presupposizione in
relazione all’art.1467 cod.civ. (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte distrettuale trascurato che l’assetto societario del datore di
lavoro era condizione non esternata del patto di non concorrenza e che, dunque,
la successiva fusione tra Banco di S.
s.p.a. e U. s.p.a. ha radicalmente stravolto l’originario assetto
sinallagmatico, proiettando la S. in una dimensione lavorativa del tutto nuova
con aggravamento dell’impegno professionale originariamente assunto;
5. con il quinto motivo si denunzia violazione e
falsa applicazione degli artt. 1384 e 1322 cod.civ. (ex art.
360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale
escluso di ridurre la penale prevista nel patto di non concorrenza (pari al
doppio del corrispettivo percepito dalla S. per l’astensione da condotte
concorrenziali) per assenza di allegazione e prova sulle condizioni di iniquità
della clausola penale, atteso che detto profilo poteva essere sollevato
d’ufficio e conseguiva alla fusione per incorporazione delle due Banche;
6. con il sesto motivo si denunzia violazione e
falsa applicazione degli artt. 414 cod.proc.civ.,
1218, 2125, 2712 e 2719 cod.civ.,
24 Cost. (ex art.
360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale,
erroneamente escluso la tardività della produzione degli originali dei
documenti da parte di U. nonostante la contestata conformità delle copie
(depositate dalla Banca all’atto della costituzione) agli originali
(depositate, sempre dalla Banca, a seguito di ordinanza adottata dal Tribunale
all’udienza del 15.6.2010);
7. con il settimo motivo si deduce omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti (ex
art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte distrettuale, basato la decisione su documenti prodotti in
copia dei quali, per stessa ammissione della banca, non è stato possibile
acquisire gli originali;
8. con l’ottavo motivo si denunzia violazione e
falsa applicazione dell’art. 92 cod.proc.civ.
(ex art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ.)
avendo, la Corte distrettuale, compensato le spese di lite di entrambi i gradi
di giudizio senza tener conto della soccombenza della banca in relazione
all’opposizione a decreto ingiuntivo e all’opposizione all’esecuzione;
9. il primo motivo di ricorso non è fondato, avendo
la sentenza impugnata rilevato, conformemente al giudice di primo grado, che il
patto di non concorrenza non formava oggetto di giudicato, neppure implicito,
avendo ad oggetto – come risulta altresì dal contenuto del ricorso per decreto
ingiuntivo riprodotto in ricorso – l’indennità di mancato preavviso sul
presupposto della sussistenza della giusta causa di dimissioni dell’agente ed
avendo acquisito, il decreto ingiuntivo opposto, definitiva esecutività a
seguito di declaratoria di inammissibilità dell’atto di opposizione per difetto
di legittimazione attiva dell’opponente (Banco di S. s.p.a.);
10. questa Corte ha affermato che il corrispettivo
del patto di non concorrenza di cui all’art. 2125
cod. civ., che non ha natura risarcitoria ma costituisce il corrispettivo
di un’obbligazione di “non facere”, ancorché erogato in vista della
cessazione del rapporto, non è finalizzato ad incentivare l’esodo del
lavoratore, né costituisce una erogazione che “trae origine dalla predetta
cessazione”, avendo piena autonomia causale rispetto alla fine del
rapporto, che è mera occasione del patto (Cass. n.
16489 del 2009; nello stesso senso Cass. n.
6618 del 1987);
11. non può, pertanto, ritenersi formato alcun
giudicato su questioni (indennità di mancato preavviso per dimissioni sorrette
da giusta causa e patto di non concorrenza) aventi una loro individualità e
autonomia, tali da integrare decisioni del tutto indipendenti;
12. il secondo motivo non è fondato avendo questa
Corte affermato che le clausole di non concorrenza sono finalizzate a
salvaguardare l’imprenditore da qualsiasi “esportazione presso imprese
concorrenti” del patrimonio immateriale dell’azienda, nei suoi elementi
interni (organizzazione tecnica ed amministrativa, metodi e processi di lavoro,
eccetera) ed esterni (avviamento, clientela, ecc.), trattandosi di un bene che
assicura la sua resistenza sul mercato ed il suo successo rispetto alle imprese
concorrenti e che l’art. 2125 cod.civ. si
preoccupa di tutelare il lavoratore subordinato, affinché le dette clausole non
comprimano eccessivamente le possibilità di poter dirigere la propria attività
lavorativa verso altre occupazioni, ritenute più convenienti, prevedendo che
esse debbano essere subordinate a determinate condizioni, temporali e spaziali,
e ad un corrispettivo adeguato, a pena della loro nullità (cfr. da ultimo Cass. n. 24662 del 2014);
13. in questa prospettiva ricostruttiva, è stato
altresì affermato che con riguardo all’estensione dell’oggetto delle clausole
di non concorrenza – in assenza di specifiche indicazioni da parte dell’art. 2125 cod.civ. – si deve aver riguardo
all’attività del prestatore di lavoro, non circoscritta alle specifiche
mansioni in concreto svolte presso il datore di lavoro nei cui confronti è
assunto il vincolo, dovendo aversi riguardo all’attività del datore di lavoro,
con la conseguenza che devono escludersi dal possibile oggetto del patto, in
quanto inidonee ad integrare concorrenza, attività estranee allo specifico
settore produttivo o commerciale nel quale opera l’azienda, ovvero al
“mercato nelle sue oggettive strutture, ove convergono domande ed offerte
di beni o servizi identici oppure reciprocamente alternativi o fungibili,
comunque, parimenti idonei ad offrire beni o servizi nel medesimo mercato”
(cfr. Cass. n. 988 del 2004; Cass., n. 7141 del
2013);
14. invero, il patto di non concorrenza, previsto
dall’art. 2125 cod. civ., può riguardare
qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del datore di
lavoro (in funzione di tutela della libertà di concorrenza che costituisce, da
un lato, espressione della libertà di iniziativa economica e persegue,
dall’altro, la protezione dell’interesse collettivo, impedendo restrizioni
eccessive della concorrenza) e non deve quindi limitarsi alle sole mansioni
espletate dal lavoratore nel corso del rapporto, ricorrendone la nullità
allorché la sua ampiezza sia tale da comprimere la esplicazione della concreta
professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità
reddituale (cfr. Cass. n. 13282 del 2003; Cass. n.
25147 del 2017);
15. le attività economiche da considerare in
concorrenza tra loro, ai fini e per gli effetti di cui all’art. 2125 cod.civ., vanno identificate in
relazione a ciascun mercato nelle sue oggettive strutture, ove convergono
domande ed offerte di beni o servizi identici oppure reciprocamente alternativi
e/o fungibili, comunque, parimenti idonei ad offrire beni o servizi nel
medesimo mercato;
16. con particolare riferimento all’ammontare e alla
congruità del corrispettivo dovuto in caso di patto di non concorrenza, è stato
altresì precisato che l’espressa previsione di nullità, contenuta nell’art. 2125 cod.civ., va riferita alla pattuizione
di compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al
sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue possibilità di
guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto
rappresenta per il datore di lavoro, come dal suo ipotetico valore di mercato
(cfr. Cass. n. 7835 del 2006);
17. correttamente la Corte territoriale, con
motivazione immune da censure e logicamente motivata, ha accertato la
conformità della pattuizione al dettato codicistico valorizzando adeguatamente,
nella previsione negoziale, la delimitazione del divieto di operare nell’unico
settore rappresentato dal “private banking” e per i medesimi generi
di prodotti per i quali aveva operato presso U. s.p.a. con la medesima clientela,
la limitazione dell’ambito territoriale (concernente la regione Lazio) e
cronologico (3 anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro), la
previsione di un adeguato compenso” (pari a euro 7.500,00 annui per tutta
la durata del rapporto di lavoro, regolarmente versati da U. s.p.a.);
15. va ancora aggiunto che il motivo con il quale
appare censurato l’erroneo apprezzamento, da parte della Corte territoriale,
della specifica professionalità vantata dalla S., risulta inammissibile nella
parte in cui si risolve, al di là della sua formale prospettazione come vizio
di violazione di legge, in una sostanziale richiesta di riesame del merito
della causa, attraverso una valutazione delle risultanze processuali, diversa e
contrapposta a quella operata dal giudice del gravame nell’esercizio della
discrezionalità ad esso riservata;
16. il terzo motivo di ricorso non è fondato avendo,
questa Corte, affermato che ai fini dell’espletamento del tentativo di
conciliazione (che, ex art. 412 cod.proc.civ.
ratione temporis applicabile, costituisce condizione di procedibilità della
domanda) è sufficiente, in base a quanto disposto dall’art. 410-bis cod.proc.civ., la presentazione
della richiesta all’organo istituito presso le Direzioni provinciali del
lavoro, considerandosi comunque espletato il tentativo di conciliazione decorsi
sessanta giorni dalla presentazione, a prescindere dall’avvenuta comunicazione
della richiesta stessa alla controparte (Cass. n.
967 del 2004; Cass. n. 16452 del 2013), e
a fronte della insufficienza del richiamo, da parte del ricorrente, del luogo
di svolgimento dell’attività lavorativa quale criterio di radicamento della
competenza per territorio ove comparato con i molteplici fori, concorrenti ed
alternativi, dettati dall’art. 413 cod.proc.civ.;
17. il quarto ed il quinto motivo sono inammissibili
posto che l’accertamento in fatto dell’asserita sproporzione tra le reciproche
prestazioni verificatasi a seguito di incorporazione del Banco di S. s.p.a. in
U. s.p.a. nonché dell’iniquità della clausola penale (elementi posti a base
dell’invocata risoluzione del patto di non concorrenza per eccessiva onerosità
e della riduzione della penale pattuita) è riservato al giudice del merito ed è
censurabile in sede di legittimità nei limiti previsti dall’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ.,
applicabile alla fattispecie nel testo riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012
e interpretato nei limiti del c.d. minimo costituzionale dalle Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014), nel caso di specie
vizio motivazionale non invocabile per la pronuncia “doppia
conforme”;
18. nella specie, la Corte distrettuale ha rilevato
che “non vi è prova che le parti avessero pattuito il venir meno del patto
in caso di mutamento dell’assetto aziendale, né si comprende quale aggravamento
dell’impegno assunto dalla S. può essere derivato dalla incorporazione della
Banco di S. net gruppo U.. Il patto era infatti delimitato allo svolgimento
delle medesime mansioni presso l’odierna appellata [U.], di conseguenza
l’aumento della compagine sociale non determina alcun aggravamento delle
condizioni del patto medesimo” ed ha aggiunto che le condizioni di
iniquità della penale “avrebbero dovuto essere espressamente allegate e
dimostrate nel giudizio di primo grado” nel rispetto del sistema di
preclusioni e decadenze che caratterizza il processo del lavoro e dei limiti di
esercizio dei poteri d’ufficio del giudice consentiti con riferimento ai fatti
allegati dalle parti;
19. la censura che invoca l’utilizzo del potere di
limitazione della penale è infondata, ” condividendo, questo Collegio,
l’orientamento più volte ribadito da questa Corte secondo cui il potere che il
giudice può esercitare d’ufficio ai sensi dell’art.
1384 cod.civ. è subordinato all’assolvimento degli oneri di allegazione e
di prova, incombenti sulla parte, in riferimento alle circostanze rilevanti per
la valutazione della eccessività della penale, che deve risultare “ex
actis” ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al
processo, senza che egli possa ricercarlo d’ufficio (cfr. Cass. n. 22747 del
2017 e Cass. n. 23272 del 2010), e rilevando, inoltre, che il ricorrente non ha
richiamato alcun atto dal quale emergeva una specifica contestazione dell’importo
previsto nella clausola di non concorrenza;
20. il sesto motivo è inammissibile risolvendosi in
una richiesta di nuova valutazione del materiale istruttorio preclusa in sede
di legittimità; invero, la Corte distrettuale ha rilevato che l’ordine del
Tribunale (rivolto alla banca) “di produzione degli originali dei
documenti è scaturito da una specifica contestazione delle copie
originariamente prodotte dalla banca e dalla necessità per la banca di
confutare i rilievi formulati dalla sig.ra S. in merito ai documenti depositati
con la memoria difensiva e alle circostanze ivi allegate” ed ha poi
aggiunto che “dai documenti prodotti è emerso che la S. ha prestato
attività lavorativa presso un istituto di credito concorrente ed ha operato con
la clientela facente parte del portafoglio clienti di U.”, con ciò
operando, al pari del giudice di primo grado, una valutazione del materiale
probatorio;
21. questa Corte ha affermato che in tema di prova
documentale, il disconoscimento, ai sensi dell’art.
2719 cod.civ., della conformità tra una scrittura privata e la copia
fotostatica, prodotta in giudizio non ha gli stessi effetti di quello della
scrittura privata, previsto dall’art. 215, comma 1,
n. 2, cod.proc.civ., in quanto, mentre quest’ultimo, in mancanza di
verificazione, preclude l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione di
cui all’art. 2719 cod.civ. non impedisce al
giudice di accertare la conformità della copia all’originale anche mediante
altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass.
n. 14950 del 2018); la doglianza della ricorrente si sostanzia, dunque,
nella esposizione di una lettura delle risultanze probatorie diversa da quella
data dal giudice del primo grado e del gravame e nella richiesta di un riesame
di merito del materiale probatorio, inammissibile in questa sede di
legittimità;
22 il settimo motivo è inammissibile operando la
modifica che riguarda il vizio di motivazione per la pronuncia “doppia
conforme”, posto che l’art. 348 ter, quinto
comma, cod.proc.civ. prescrive che la disposizione di cui al quarto comma –
ossia l’esclusione del n. 5, dal catalogo dei vizi deducibili di cui all’art. 360, primo comma, cod.proc.civ. – si applica,
fuori dei casi di cui all’art. 348 bis,
secondo comma, lett. a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza
d’appello che conferma la decisione di primo grado, con la conseguenza che il
vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d.
doppia conforme;
23. nel caso di specie, per l’appunto, la Corte
distrettuale ha confermato la statuizione del Tribunale che aveva rinvenuto la
legittimità del patto di non concorrenza stipulato tra Banco di S. e la S.
nonché l’attività posta in essere dalla S. in diretta concorrenza con quella di
U. (incorporante il Banco di S.) nell’arco del triennio successivo alle
dimissioni, né il ricorrente in cassazione ha indicato la eventuale diversità
delle ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle
poste a base della sentenza di rigetto dell’appello principale (Cass. n. 5528
del 2014);
24. l’ottavo motivo è inammissibile sia con riguardo
all’archetipo motivazionale prescelto dal ricorrente (in quanto, trattandosi di
dedotta violazione di norma sostanziale e non processuale, il vizio doveva
essere prospettato ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, cod.proc.civ.), sia con riguardo al sollecitato profilo di
rivalutazione della regolazione delle spese di lite, avendo questa Corte
affermato che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la
determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o
compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92,
comma 2, cod.proc.civ., rientrano nel potere discrezionale del giudice di
merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli
tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la
misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. n. 30592 del 2017);
25. nel caso di specie, le parti risultano parzialmente
soccombenti in entrambi i gradi di giudizio, posto che il Tribunale ha
dichiarato inammissibile (in quanto tardiva) l’opposizione a decreto ingiuntivo
e a precetto proposta da U. s.p.a. avente ad oggetto l’indennità di mancato
preavviso pretesa dalla S. e, nel contempo, ha accolto la domanda della banca
di accertamento della violazione del patto di non concorrenza (e di conseguente
condanna al pagamento della penale) e la Corte distrettuale ha confermato la
sentenza di primo grado respingendo l’appello principale proposto dalla S. e
l’appello incidentale depositato dalla banca;
26. sulla scorta delle considerazioni svolte il
ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della
soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
27. sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, previsto dal D.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano in
Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre
spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
-bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.