Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 giugno 2020, n. 10605
Nullità del contratto a tempo determinato, Assenza di forma
scritta, Disciplina ex L. n. 230/1962
inapplicabile, Rapporti di lavoro agricolo, Non opera la prescrizione
dell’atto scritto per l’apposizione del termine al contratto di lavoro,
Ipotesi di successive ed illegittime assunzioni a termine, Conversione ex lege
dei vari rapporti di lavoro a termine in un unico rapporto a tempo
indeterminato, Termine prescrizionale, quinquennale, decorrerente dalla data
di cessazione
Rilevato
che la Corte territoriale di Bari, con sentenza
pubblicata il 30.5.2014, pronunziando sugli appelli, riuniti, proposti, con
distinti ricorsi, avverso la pronunzia del Tribunale di Lucera resa in data
11.2.2009, dalla S.n.c. Frantoio P. e da E.P. e G.A.R. – in qualità, queste
ultime, di eredi di A.R. -, nei confronti di A.M., ha rigettato il gravame
interposto dalla società ed ha accolto, <<per quanto di ragione>>,
quello interposto dalla P. e dalla R. e, pertanto, in parziale riforma della
predetta pronunzia, ha condannato queste ultime al pagamento, in favore del M.,
della complessiva somma di Euro 26.874,00, oltre accessori, anziché di quella
di Euro 32.180,53, oltre accessori, stabilita dal primo giudice;
che la Corte di Appello, per quanto ancora in questa
sede rileva, ha osservato che la somma di Euro 26.874,00 è stata così calcolata
<<sulla scorta dei conteggi del CTU (che alla Corte paiono corretti e
che, comunque, non sono stati specificamente contestati dalle parti)>>;
che per la cassazione della sentenza ricorre E.P.,
anche in qualità di procuratrice di G.A.R. (quali eredi di A.R.), articolando
quattro motivi ulteriormente illustrati da memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis del codice di rito;
che A.M. e la S.n.c. Frantoio P. sono rimasti
intimati;
che il P.G. non ha formulato richieste
Considerato
che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la
violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la
Corte di Appello pronunziato d’ufficio sulla domanda <<di nullità del
contratto a tempo determinato e sulla sua conversione, mai formulata e che
poteva essere fatta valere esclusivamente dalla parte interessata, ritenendo
sussistente un contratto di lavoro a tempo indeterminato sulla base della
irregolarità (forma scritta per il termine) di un contratto a tempo
determinato:»>, poiché, a parere della parte ricorrente, <<oggetto del
presente giudizio non è mai stato l’accertamento della legittimità o meno di un
contratto a tempo determinato bensì l’accertamento del fatto che M. Alberto
avrebbe svolto nel corso di alcuni anni determinate mansioni lavorative nel
frantoio di A.R., alle dipendenze di quest’ultimo, non ricevendo la dovuta
retribuzione>>; 2) ancora, in riferimento all’art.
360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione della I. n. 230 del 1962, <<in quanto la Corte di
Appello>> avrebbe <<errato circa la qualificazione del rapporto di
lavoro sotto il profilo della violazione di legge per il mancato rispetto delle
regole di ermeneutica volte all’accertamento della volontà delle parti>>,
nonché, in riferimento all’art. 360, primo comma,
n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto
di discussione tra le parti, avendo <<il giudice di appello ritenuto non
configurabile un contratto a termine>> privo di forma scritta
<<senza minimamente indagare la concreta volontà delle parti ed il
concreto loro atteggiarsi in riferimento al rapporto di lavoro per cui è
causa>>; 3) in riferimento all’art. 360,
primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione della
disciplina della prescrizione <<e segnatamente dell’art. 2948 n. 4 c.c.>>, poiché, avendo
<<la Corte di Appello errato circa la qualificazione del rapporto di
lavoro>>, avrebbe errato <<conseguentemente in ordine alla
decorrenza della prescrizione>>; 4) in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione
tra le parti, per avere i giudici di seconda istanza <<riconosciuto la
durata dei singoli periodi lavorativi come pari a tre mesi all’anno senza
tenere conto della documentazione prodotta dall’odierna ricorrente, nonché
sulla base di risultanze istruttorie (espletate prove testimoniali) che, in
realtà, considerata la loro portata non comprovano la durata dei singoli
periodi lavorativi, ma piuttosto la limitano ai trenta-quaranta giorni all’anno
come da sempre sostenuto dalla ricorrente>>;
che i motivi – da trattare congiuntamente per
evidenti ragioni di connessione e tesi tutti ad ottenere un nuovo esame del
merito, non consentito in questa sede – non sono meritevoli di accoglimento; ed
invero, per quanto, in particolare attiene al primo motivo, si osserva che
perché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di
<<omessa pronunzia>> o di <<ultrapetizione>> –
fattispecie riconducibile ad una ipotesi di error in procedendo ex art. 360, n. 4, c.p.c. – sotto il profilo della
mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, deve prospettarsi, in
concreto, l’omesso esame di una domanda o la pronunzia su una domanda non
proposta (cfr., tra le molte, Cass. nn. 13482/2014; 9108/2012;
7932/2012; 20373/2008); ipotesi, queste, che la parte ricorrente non ha
provato, in quanto non ha prodotto (né trascritto, né indicato tra i documenti
offerti in comunicazione unitamente al ricorso), in violazione del disposto di
cui all’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., il
ricorso introduttivo del giudizio proposto da A.M., contenente le domande dello
stesso; pertanto, questa Corte non ha potuto apprezzare la veridicità delle
doglianze mosse alla sentenza oggetto del presente giudizio dalla ricorrente,
riguardo alla presunta mancata, richiesta, da parte del lavoratore, di ottenere
<<la dichiarazione di nullità del contratto a tempo determinato e la sua
conversione;»>; a fronte di ciò, nella sentenza impugnata (v. pag. 2), si dà
atto, tra l’altro, che la richiesta del M. era altresì volta ad ottenere
l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con il
Frantoio P. S.n.c.; che, con riferimento al secondo motivo, nella parte che
attiene alla violazione di legge, si rileva che, correttamente, i giudici di
seconda istanza hanno sottolineato (v. pag. 6 della sentenza impugnata) che
E.P. e G.A.R. non hanno specificamente censurato <<la statuizione sulla
non configurabilità di un contratto a termine senza forma scritta>>,
limitandosi a sostenere <<la tesi della pluralità di rapporti sulla base
della stagionalità dell’attività lavorativa e di licenziamenti comminati di
anno in anno>> e che, pertanto, <<la mancata censura della
motivazione addotta dal Tribunale a sostegno della ritenuta unicità del
rapporto e la non provata adozione di formali provvedimenti di licenziamento
(anche questi in forma scritta) rendono le argomentazioni addotte dalle eredi
R. del tutto inidonee a contrastare l’iter motivazionale dell’impugnata
sentenza>>; al riguardo, valgano le considerazioni svolte in ordine al
primo motivo, non avendo la parte ricorrente prodotto, in violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., l’atto di
appello dal quale potessero evincersi con precisione le censure sollevate, sul
punto, alla sentenza del primo giudice; che, per ciò che attiene ai vizi
dedotti in riferimento all’art. 360, primo comma,
n. 5, del codice di rito, nel secondo e nel quarto motivo, si osserva che,
come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della
riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il
vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella
<<mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico>>, nella <<motivazione apparente>>, nel
<<contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili>> e nella
<<motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile>>,
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di <<sufficienza>>
della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un
vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un
fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo
della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene,
poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata pubblicata, come
riferito in narrativa, il 30.5.2014, nella fattispecie si applica, ratione
temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma
1, n. 5), come sostituito dall’art.
54, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83,
convertito, con modificazioni, nella legge 7
agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con
ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, i motivi
di ricorso che denunciano il vizio motivazionale non indicano il fatto storico
(Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto
di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di
esaminare; né, tanto meno, fanno riferimento, alla stregua della pronunzia
delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza <<così radicale da
comportare>>, in linea con <<quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c., la nullità della pronunzia
per mancanza di motivazione>>. E, dunque, non potendosi più censurare,
dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della
sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla
coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015) che, nella specie, è stato
condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del
tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata; che, inoltre, il
quarto motivo è all’evidenza teso ad ottenere un nuovo esame del merito
attraverso una nuova valutazione degli elementi delibatori, pacificamente
estranea al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014),
poiché <<il compito di valutare le prove e di controllarne
l’attendibilità e la concludenza spetta in via esclusiva al giudice di
merito>>; per la qual cosa, <<la deduzione con il ricorso per
cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa,
errata o insufficiente valutazione delle prove, o per mancata ammissione delle
stesse, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il
merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì solo la
facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della
coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di
merito>> (cfr., ex multis, Cass., S.U., n.
24148/2013; Cass. n. 14541/2014 citt.; Cass.
n. 2056/2011); e, nella fattispecie, la Corte distrettuale è pervenuta alla
decisione impugnata attraverso un iter motivazionale del tutto condivisibile
dal punto di vista logico-giuridico, anche in ordine alla valutazione dei mezzi
istruttori addotti dalle parti;
che, infine – e con particolare riferimento al terzo
motivo -, la Corte territoriale ha premesso che la disciplina del rapporto di
lavoro a tempo determinato, quale prevista dalla I.
n. 230 del 1962 (applicabile ratione temporis alla fattispecie), non trova
applicazione nel caso di rapporti di lavoro agricolo, né opera la prescrizione
dell’atto scritto per l’apposizione del termine al contratto di lavoro (ai
sensi dell’art. 1 della
citata legge), ma valgono, secondo l’insegnamento della Suprema Corte (v. ex
plurimis, Cass. n. 11361/2004), le formalità
procedurali e le prescrizioni dettate in tema di collocamento dei lavoratori
agricoli (ai sensi della I. n. 83 del 1970 e
successive modificazioni); ed ha correttamente affermato che, poiché le eredi
R. neppure hanno allegato che il rapporto di lavoro intercorrente tra il M. ed
il loro dante causa fosse di natura agricola, nel caso di specie, deve farsi
applicazione del principio secondo cui, nelle ipotesi di successive ed
illegittime (in questo caso, per la mancanza di forma scritta) assunzioni a
termine, si determina la conversione ex lege dei vari rapporti di lavoro a
termine in un unico rapporto a tempo indeterminato. Per la qual cosa, dovendosi
considerare unico il rapporto, <<il termine prescrizionale, quinquennale,
non poteva che decorrere dalla data di cessazione>> dello stesso (1998)
e, dunque, <<non era spirato nel 2000, alla data di proposizione del
ricorso>> (depositato il 15.9.2000);
che, per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso va
rigettato; che nulla va disposto in ordine alle spese del giudizio di
legittimità, poiché A.M. e la S.n.c. Frantoio P. non hanno svolto attività
difensiva;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; nulla spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello
stesso articolo 13.