Il comando presso altra impresa di prestatori assegnati a mansioni inferiori è legittimo purché previsto da appositi accordi sindacali e finalizzato ad evitare una riduzione del personale, ferma restando la facoltà del dipendente di rifiutare la dequalificazione e accettare il rischio dell’esubero.
Nota a Cass. 5 marzo 2020, n. 6289
Sonia Gioia
Nel corso delle procedure di licenziamento collettivo, gli accordi sindacali, per garantire il reimpiego di almeno una parte dei lavoratori, possono attribuire all’imprenditore la facoltà di assegnare gli stessi a mansioni diverse, anche inferiori, in deroga all’art. 2103, co. 2, c.c. (art. 4, co. 11, L. n. 223/1991), anche se i prestatori interessati “non sono vincolati alla deroga” e “possono rifiutare la dequalificazione affrontando il rischio del licenziamento”. Tale principio trova applicazione anche nel caso di distacco di personale laddove sia previsto da accordi sindacali conclusi, nel corso di procedure di mobilità, nell’esclusivo interesse dei prestatori a non perdere il posto di lavoro (art. 8, co. 3, D.L. n. 148/1993, convertito con modificazioni in L. n. 236/1993).
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (20 marzo 2020, n. 6289, conforme ad App. Genova n. 460/2016) in relazione al caso di alcuni dipendenti che lamentavano l’illegittimità del distacco presso altra azienda e l’adibizione a mansioni deteriori disposti dalla società datrice all’esito di una procedura di mobilità.
In merito, la Corte ha precisato che il distacco che comporti un mutamento, anche solo parziale, delle mansioni, idoneo a ledere il patrimonio di professionalità acquisito, richiede, “quale elemento costitutivo e condizione di legittimità della fattispecie”, il consenso del lavoratore comandato (art. 30, co. 3, D.LGS. n. 276/2003), sul quale grava l’onere di opporre il proprio rifiuto ma non di esplicitare le ragioni che lo sorreggono. Ciò, poiché l’accettazione del dipendente è richiesta nei casi in cui la variazione delle funzioni assegnate sia conseguenza oggettiva dell’attuazione dell’ordine, senza che possa rilevare la rappresentazione che di esso e dei suoi effetti abbia dato il datore di lavoro nella lettera di comunicazione (Cass. n. 32330/2018, annotata in questo sito da M. N. BETTINI, Distacco e mutamento di mansioni).
Tuttavia, il generale divieto di dequalificazione del personale distaccato è ritenuto derogabile in quanto l’art. 30, co. 4, D.LGS. n. 276/2003 fa salva “l’ipotesi specifica” disciplinata dall’art. 8, co. 3, L. n. 236/1993, che consente alle organizzazioni sindacali di regolare il distacco di uno o più prestatori dall’impresa ad altra, per una durata temporanea, al fine di evitare una riduzione di personale. In tal caso, la deroga incide anche sulla previsione di carattere generale che legittima il distacco che realizzi uno specifico interesse dell’imprenditore distaccante (art. 30, co. 1, D.LGS. n. 276 cit.), nel senso che consente di qualificare il distacco “quale atto organizzativo dell’impresa che lo dispone, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa ed il conseguente carattere non definitivo del distacco stesso” (Cass. n. 9694/2009).
Pertanto, nel corso delle procedure di licenziamento collettivo, gli accordi sindacali possono prevedere l’eliminazione o la riduzione delle eccedenze di personale sia mediante l’assegnazione dei lavoratori, all’interno della stessa azienda, ad attività diverse o deteriori, compresi il trasferimento o la trasferta, che attraverso l’invio delle maestranze presso altra impresa, anche con mutamento in senso peggiorativo delle mansioni.
In entrambi i casi, i prestatori interessati hanno la facoltà di opporsi alla dequalificazione o al distacco affrontando il rischio dell’esubero e del licenziamento (Cass. n. 14944/2014).
In attuazione di tali principi, la Corte di Cassazione ha confermato la pronuncia di merito che aveva ritenuto legittimo il distacco di una parte del personale adibito a mansioni deteriori, pur nella irriducibilità della retribuzione, disposto dalla società datrice in esecuzione degli accordi sindacali che avevano previsto misure alternative al licenziamento collettivo, tra cui, oltre a tale esternalizzazione, l’implementazione di alcune attività aziendali (in particolare, del servizio porta a porta di raccolta dei rifiuti) e l’internalizzazione di servizi affidati in appalto.