Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 giugno 2020, n. 11023

Successione di appalti, Proposta formulata dalla nuova
datrice di lavoro, Assunzione a tempo determinato, con una retribuzione lorda
mensile inferiore, Trasferimento di azienda o di un suo ramo

 

Rilevato che

 

con ricorso ex art. 414
c.p.c. la signora L.F. ha agito davanti 
il tribunale di Roma nei confronti di S.S. SRL e P. srl Servizi
Fiduciari quali società facenti parte dell’A., subentrante alla ex C. Onlus C.
nell’appalto bandito da Roma Capitale per il servizio di custodia non armata e
servizio di portierato. Sosteneva la ricorrente di aver lavorato a Roma presso
diverse strutture residenziali di Roma Capitale per 14 anni (dal 12.7.2002 fino
al 30.9.2016) essendo stata socia per lo stesso periodo della Cooperativa
C.alla quale era stato affidato da Roma Capitale il servizio di portierato;
affermava inoltre di essere stata licenziata dalla Cooperativa C. con lettera
del 17.8.2016 in ragione del subentro di altro soggetto nell’esecuzione del
servizio di portierato in esame. Aggiungeva di avere ricevuto, come tutti gli
ex lavoratori della Cooperativa C., l’offerta di assunzione dalla subentrante
P. srl a condizione che accettasse la proposta formulata dalla nuova datrice di
lavoro la quale prevedeva un’assunzione a tempo determinato, con una
retribuzione lorda mensile di soli euro 797,14 ed un aumento delle ore
lavorative complessivamente dovute, laddove in precedenza la retribuzione
percepita era di € 1438,15 e l’orario svolto inferiore, con un notevole
peggioramento del precedente trattamento.

La signora F. deduceva quindi la violazione dell’articolo 2112 c.c., dell’articolo 23 del decreto legislativo 27/2003
come modificato dall’art. 30 della legge 122/2016,
dell’articolo 1411 c.c. e dell’articolo 36 della Costituzione e chiedeva che il
tribunale di Roma dichiarasse che nell’appalto fosse intervenuto un
trasferimento di azienda o di ramo di azienda e che quindi condannasse in
solido ai sensi dell’art. 2112 c.c. S.S. SRL e
P. Servizi Fiduciari ad assumerla con contratto di lavoro a tempo indeterminato
con applicazione del CCNL cooperative sociali e con il mantenimento della
medesima retribuzione in precedenza goduta.

Le società convenute si sono costituite in giudizio
ed hanno contestato la fondatezza delle domande della F. nel contempo eccependo
l’incompetenza per territorio del tribunale adito.

All’udienza del 01/02/2019 dopo la discussione della
causa il giudice ha ritenuto che le eccezioni preliminari sollevate dalla
convenute non fossero idonee a definire la causa ed ha fissato l’udienza per
l’assunzione delle prove testimoniali.

Contro detta ordinanza ha proposto ricorso per
regolamento di competenza ex art. 43 c.p.c.
S.S. SRL sostenendo che l’ordinanza, con cui nei fatti il giudice del lavoro di
Roma aveva rigettato l’eccezione di incompetenza per territorio e risolto
questioni istruttorie, fosse errata per violazione dell’articolo 413 c.p.c. Ciò in quanto essa non aveva
alcuna sede, filiale o ufficio in Roma e la ricorrente non era dipendente della
S.S. SRL per avere rinunciato alla assunzione; il giudice competente era quindi
il tribunale di Torre Annunziata ( Na) avendo S.S. SRL un’unica sede in Torre
del Greco; rilevava altresì che ben sei ordinanze rese da giudici del lavoro
del tribunale di Roma, in altri giudizi afferenti sempre l’appalto in discorso,
per liti introdotte da altri lavoratori, avevano tutti, concordemente alle
disposizioni legislative, dichiarato la propria incompetenza in favore del
tribunale di Torre Annunziata, F.L. ha resistito al ricorso per regolamento
chiedendo il rigetto del ricorso.

Il P.M. ha concluso per la dichiarazione di
inammissibilità del ricorso sostenendo che il tribunale avesse semplicemente
ritenuto che le eccezioni preliminari non fossero idonee a definire la causa,
mentre l’istanza per regolamento di competenza presuppone che il giudice adito
si sia pronunciato sulla competenza con un provvedimento con cui abbia risolto
irrevocabilmente, anche per implicito, la relativa questione in maniera che non
possa più tornare sulla stessa. Secondo il P.M. nella fattispecie si trattava
invece di un provvedimento di natura meramente ordinatoria, pur sempre revocabile,
e che comunque non pregiudicava la decisione definitiva sulla competenza per
territorio.

 

Ritenuto che

 

1.- va precisato anzitutto che il regolamento di
competenza si configura come un mezzo di impugnazione previsto dal codice di
rito allo scopo di fissare in maniera certa e definitiva la competenza
attraverso l’intervento regolatore della Corte di Cassazione. Con le riforme
introdotte dall’art. 4 della
legge 26 novembre 1990, n. 353, che ha modificato l’art. 38 c.p.c., e dall’art. 45, comma 5 della l. 18.6.2009
n. 69, che ha modificato l’art. 43 c.p.c.,
il legislatore ha inteso perseguire il fine di accelerare al massimo la
risoluzione delle questioni di competenza, il cui rilievo, anche d’ufficio, va
operato in limine liti s,. e la decisione sulle quali va emanata in base a
quanto risulta dagli atti, o, al più, previa assunzione di sommarie
informazioni. L’art. 43 c.p.c. prevede inoltre
oggi che “il provvedimento” (e non più la sentenza) che ha
pronunciato sulla competenza insieme col merito possa essere impugnato
(ovviamente limitatamente alla questione di competenza) con l’istanza di
regolamento di competenza (oppure olte nei modi ordinari quando insieme con la
pronuncia sulla competenza si impugna quella sul merito). Pertanto quando il
giudice del lavoro pronuncia, in limine, solo sulla competenza il regolamento
diventa necessario e deve essere proposto ai sensi dell’art.42 c.p.c. Quando invece il giudice decide su
una questione di competenza unitamente al merito il regolamento non è
necessario ma solo facoltativo ai sensi dell’art.43
c.p.c. ; ma nondimeno una volta proposto è opportuno che, in tale sede
naturale, la Corte di Cassazione risolva definitivamente la questione di
competenza controversa a nulla rilevando che in teoria il giudice di merito
potrebbe in seguito rivedere la propria decisione sul punto.

2. E’ poi ius receptum che un
“provvedimento” sulla competenza possa essere anche implicito, ossia
contenuto in una pronuncia con la quale il giudice, dopo aver invitato le parti
a discutere la causa, disattende l’eccezione di incompetenza e risolve
questioni di merito che implicano in maniera sicura ed inconfutabile
l’affermazione (implicita) della sua competenza. Si v. ad es. da ultimo Cass.
Ordinanza n. 8 del 13/11/2014 secondo cui” Il provvedimento del giudice
che, dopo aver rinviato la causa per la discussione sull’eccezione
d’incompetenza, ritualmente proposta, disponga per l’istruzione della
controversia nel merito, comporta dichiarazione implicita sulla competenza
territoriale, dovendosi ritenere tale soluzione coerente con l’esigenza di
definire in tempi solleciti quale sia l’autorità giudiziaria alla quale sia
demandata la decisione della controversia e rispondente al principio
costituzionale di ragionevole durata del processo, con il quale, per contro,
contrasta lo svolgimento di un’istruttoria destinata a rimanere inutile”.

3.- Ciò è quanto si è verificato nel caso in esame
in cui il giudice del lavoro di Roma, dopo aver fissato l’udienza di
discussione, ha disatteso l’eccezione preliminare di incompetenza sollevata dai
convenuti (ritenendo, in sostanza, che non fosse idonea a definire la
controversia davanti a sé) ed ha fissato l’udienza per l’assunzione delle prove
testimoniali. Tale provvedimento implicito sulla competenza può essere
impugnato appunto con il regolamento previsto dall’art.
42 c.p.c. in modo da definire una volta per tutte ed in modo sollecito la
medesima questione controversa (Cass. 21/9/2016, n. 18535; cass. 26/10/2017, n.
25511)

4.- Ciò posto, per quanto attiene il merito, appare
evidente l’infondatezza del regolamento di competenza proposto dalla ricorrente
S.S. srl dato che, secondo la regola fondamentale della materia, desumibile
dall’art. 5 c.p.c., la competenza anche per
territorio ex art. 413 c.p.c. si determina di
regola in base al contenuto della domanda giudiziale, senza che ovviamente
rilevino le deduzioni del convenuto circa la inesistenza del rapporto (Cass. n.
22816/2016). E nel caso in esame la ricorrente ha affermato in fatto di aver
lavorato in Roma e di dover continuare a lavorare in Roma; ed ha invocato in
proposito, sotto il profilo giuridico, l’art. 2112
c.c. il quale dispone che in caso di trasferimento di azienda (o di un suo
ramo) il rapporto di lavoro (esiste e) continua con il cessionario ed il
lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. E quindi anzitutto lo
stesso rapporto esiste, anche nei confronti del cessionario. E ciò vale
ovviamente anche ai fini della competenza per territorio la quale si radica
perciò in relazione al luogo in cui il rapporto di lavoro già eseguito deve
continuare ad eseguirsi in base all’oggetto ed allo scopo della precipua domanda
proposta dalla lavoratrice. A nulla rileva, invece, ai fini in discorso, che,
secondo l’eccezione del convenuto, non risulti un rapporto di lavoro in atto
col cessionario o che questi non abbia una sede nello stesso luogo (Roma) in
cui il rapporto di lavoro deve essere ripristinato ed eseguito. Vale nella
fattispecie il criterio affermato da questa Corte (v. da ultimo Sez. 6 – L,
Ordinanza n. del 05/02/2015) secondo cui ” qualora un rapporto di lavoro
si configuri come presupposto per il sorgere del diritto alla costituzione di
un successivo rapporto, i criteri di identificazione della competenza
territoriale, previsti in modo alternativo e concorrente dall’art. 413 cod. proc. civ., vanno riferiti al
rapporto in essere, stante il collegamento funzionale sussistente tra questo e
quello da costituire”.

5.- D’altra parte va considerato che il ricorso in
oggetto sarebbe infondato quand’anche si volesse applicare alla fattispecie l’art. 413, 3° comma c.p.c. Questa norma prevede che
la competenza (come determinata in base ai tre fori alternativamente
concorrenti del contratto, dell’azienda e della dipendenza di cui al 2° comma)
permane dopo il trasferimento dell’azienda o la cessazione di essa o della sua
dipendenza purche la domanda sia proposta entro sei mesi dal trasferimento o
dalla cessazione. Nel caso in esame risulta che il rapporto col cedente sia
venuto meno il 30/09/2016, il contratto tra Roma Capitale e RTI P. sia avvenuto
il 29.9.2016 e che la domanda sia stata proposta con ricorso depositato in data
24 febbraio 2017; e quindi entro il termine di sei mesi previsto dalla legge.

6.- Per i motivi esposti il ricorso va quindi
rigettato, con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese
processuali. Va dato pure atto che sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello ove dovuto, per il ricorso a norma di legge.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali liquidate in favore di F.L. in complessivi €
2000, di cui € 1800 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali
ed oneri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello ove dovuto per il ricorso a norma del comma
1 bis, dello stesso art. 13.

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