Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 giugno 2020, n. 11002
Cessione del ramo d’azienda, Trattamento retributivo erogato
dal cedente, Responsabilità in via solidale a prescindere dalla conoscenza o
conoscibilità dei crediti da parte del cessionario, Presupposto di vigenza del
rapporto di lavoro al momento del trasferimento d’azienda, Garanzia della
conservazione di tutti i diritti derivanti dal rapporto lavorativo con
l’impresa cedente
Fatti di causa
Con sentenza in data 27 gennaio 2017, la Corte
d’appello di Cagliari rigettava l’appello proposto da A. s.p.a. avverso la
sentenza di primo grado, che l’aveva condannata al pagamento, a titolo di
incentivo a norma dell’art. 18 I. 9/1994 (legge quadro in materia di lavori
pubblici): in via solidale ai sensi dell’art. 2112
c.c. con la Regione Sardegna (subentrata nei rapporti giuridici di E., ai
sensi dell’art. 21, quinto comma
L.R. 4/2006), della somma di € 926,35 oltre accessori di legge, per i
lavori eseguiti da F.P. quale dipendente dell'(…) (E.) fino alla data di
cessione del ramo d’azienda alla prima società; in via esclusiva, della somma
di € 2.885,97, oltre accessori di legge, per i lavori eseguiti dal predetto in
epoca successiva.
A motivo della decisione, la Corte territoriale
riteneva la responsabilità di A. s.p.a., ai sensi dell’art. 2112 c.c., quale incorporante per atto di
fusione 22 dicembre 2005 di E. s.p.a., cessionaria da E. del ramo d’azienda
relativo alla gestione del servizio idrico integrato, per ogni voce del
trattamento retributivo percepito dal cedente, compreso il compenso
incentivante richiesto; così escluso il prospettato difetto di legittimazione
passiva della predetta società in ordine a tutti i crediti maturati alle
dipendenze di E..
Inoltre, neppure poteva esserne negata la
legittimazione per i crediti del lavoratore riguardanti l’intervento presso i
collettori fognari (asseritamente sorti il 3 agosto 2006), in applicazione di
una disciplina normativa (Regolamento per la ripartizione del fondo interno
approvato con Delibera E. n. 24 del 20 luglio 2000, non più vigente all’epoca
di insorgenza del credito) di natura privatistica, relativa in particolare ai
crediti accessori, cui non erano pertinenti le categorie giuridiche
dell’illegittimità derivata e della disapplicazione (invece proprie degli atti
di normazione secondaria o espressione di pubbliche potestà): atto, in ogni
caso, riconosciuto valido sia dal responsabile del procedimento (ex E.), autore
della liquidazione, sia dal destinatario dell’obbligo di fare condizionante la
detta liquidazione, recepita da A. s.p.a. il 4 agosto 2006.
Infine, la Corte sarda negava alla società la
legittimazione di sindacare né la validità, né l’applicabilità alla fattispecie
del Regolamento per la ripartizione del fondo interno in merito alla
distribuzione degli incentivi, siccome atto interno a E., rilevante quale mero
fatto nei confronti della prima.
Avverso tale sentenza la società, con atto
notificato il 27 e 28 luglio 2017, ricorreva per cassazione con tre motivi, cui
resistevano il lavoratore e la Regione Autonoma della Sardegna con distinti
controricorsi e memorie ai sensi dell’art. 378
c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la società ricorrente deduce
violazione o falsa applicazione degli artt. 2112
c.c., 2, 18, 19 I. 109/1994, per erronea
condanna in via esclusiva di A. s.p.a. al pagamento di € 2.885,97 per crediti
esigibili dopo il 18 luglio 2005 (per attività svolte da F.P. in opere
pubbliche di “adeguamento di alcune sezioni di trattamento dell’impianto
di depurazione di Dolianova”, per interventi di “risanamento
ambientale mediante realizzazione di un impianto di depurazione centralizzato e
relativi collettori fognari nei Comuni di Barisardo, Loceri, Cardedu e relative
zone a mare” e di risanamento degli stagni di Cabras, Santa Giusta, S’Ena
Arrubbia, Marceddì, del tratto vallivo e montano del Rio Mogoro e del tratto
vallivo del fiume Tirso, mediante realizzazione di nuove opere
fognario-depurative del completamento di opere esistenti. Comparto 2),
riguardanti opere ricevute in carico in forza dell’atto di conferimento di ramo
d’azienda da E. a E. s.p.a. del 18 luglio 2005, del contratto di Service tra le
stesse parti del 1° dicembre 2005 e dell’atto di fusione di E. s.p.a. in A.
s.p.a. del 22 dicembre 2005, in particolare risultando l’esclusione del
compenso accessorio aggiuntivo ed incentivante (stabilito dall’art. 18 I. 109/1994 e
riconosciuto al lavoratore), a norma dell’art. 2, secondo comma, lett. b) I.
cit. ” … alle società con capitale pubblico, in misura anche non
prevalente, che abbiano ad oggetto della propria attività la produzione di beni
o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera
concorrenza” , quali appunto la società ricorrente e l’attività dalla
stessa realizzata.
1.1. Esso è inammissibile.
1.2. In via di premessa, la Corte isolana ha
correttamente ritenuto la responsabilità della società, incorporante la
cessionaria del ramo di azienda cui era addetto il lavoratore rivendicante il
compenso incentivante a norma dell’art. 18 I. 109/1994, in
applicazione dell’art. 2112 c.c. Esso prevede,
infatti, la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal
lavoratore al momento del trasferimento d’azienda, a prescindere dalla
conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario, sul
presupposto di vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento
d’azienda (Cass. 29 marzo 2010, n. 7517; Cass. 6 marzo 2015, n. 4598), introducendo a favore
dei dipendenti dell’imprenditore, che trasferisce l’azienda o un suo ramo, la
garanzia della conservazione di tutti i diritti derivanti dal rapporto
lavorativo con l’impresa cedente, in funzione della tutela dei crediti già
maturati dal lavoratore ed al rispetto dei trattamenti in vigore (pur senza
garantire l’omogeneità dei trattamenti retributivi e normativi all’interno del
complesso aziendale risultante dal trasferimento: Cass. 23 dicembre 2003, n.
19681; Cass. 12 novembre 2019, n. 19291).
1.3. Tuttavia, occorre rilevare la novità della
questione prospettata, che non risulta trattata dalla sentenza impugnata
(essendo anzi stata dedotta nel diverso senso dell’avvenuta abrogazione dell’art. 18 I. 109/1994, in
riferimento all’inapplicabilità del Regolamento per la ripartizione del fondo
interno approvato con delibera E. 20 luglio 2000, n. 24, redatto in attuazione
della predetta norma: così agli ultimi due capoversi di pg. 11 della sentenza),
neppure avendo la ricorrente indicato specificamente, né trascritto gli atti
nel quali l’avrebbe posta nei gradi di merito: ciò riflettendosi sulla
genericità del motivo, in violazione del principio prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c. (Cass.
11 gennaio 2007, n. 324; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; Cass. 13 giugno 2018,
n. 15430).
2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce
violazione o falsa applicazione degli artt. 2112
c.c., 1 e 2 L. R. Sardegna 10/2005, per esclusione della responsabilità,
invece riconosciutale in via solidale (con quella principale della Regione
Sardegna), di A. s.p.a. per i crediti del lavoratore da compenso accessorio
incentivante, anteriori al suo subentro per effetto dell’incorporazione per
fusione di E. s.p.a., attesa la previsione di liquidazione da parte dell’ente
di provenienza di tutti i crediti esigibili maturati dal prestatore all’atto
del trasferimento (art. 1, terzo comma L.R. cit.), né integrando trasferimento
d’azienda un’operazione dipendente da un provvedimento autoritativo, come nel
caso di soppressione di enti pubblici, né in ogni caso potendo dal lavoratore
essere mantenuto un trattamento economico non connotato da fissità e continuità
nel passaggio per mobilità tra due amministrazioni pubbliche.
3. Con il terzo, essa deduce violazione o falsa
applicazione degli artt. 16,
18 I. 109/1994 ed omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti,
quale la titolarità esclusiva di E. in liquidazione dell’ordine dei pagamenti
per i lavori eseguiti da F.P. negli anni 2003/05, essendo ad essa indirizzate
le comunicazioni delle relative ripartizioni dei fondi da A. s.p.a., in
mancanza da parte del primo ente, né di pagamento, né di trasferimento alla
società dei finanziamenti pubblici per provvedervi (come non contestato dalla
Regione Sardegna, succeduta all’ente soppresso).
3.1. Essi sono congiuntamente esaminabili, per
ragioni di stretta connessione ed entrambi infondati.
3.2. E’ innanzi tutto priva di alcuna conferenza la
previsione oggetto della legge regionale denunciata, in ordine alla
liquidazione da parte dell’ente di provenienza di tutti i crediti esigibili
maturati dal prestatore all’atto del trasferimento, in quanto radicante la
responsabilità (principale, siccome diretta) dell’ente datore all’epoca di
maturazione del diritto retributivo del prestatore, rispetto a quella solidale
a carico della parte cessionaria del ramo d’azienda, a norma dell’art. 2112 c.c. E tale norma è ben applicabile, nel
testo modificato dall’art. 47 I.
428/1990, che ha recepito la direttiva
comunitaria 77/187/CE (successivamente modificato dall’art. 1 d.lg. 18/2001, in
applicazione del canone di interpretazione adeguatrice della norma di diritto
nazionale alla norma di diritto comunitario ed in considerazione
dell’orientamento espresso dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee con
le sentenze 20 novembre 2003, C-340/01, 25
gennaio 2001, C-172/99, 26 settembre 2000, C-175/99 e 14 settembre 2000,
C-343/98), anche nei casi in cui il trasferimento dell’azienda non derivi
dall’esistenza di un contratto tra cedente e cessionario, ma sia riconducibile
ad
un atto autoritativo della P.A.: con il conseguente
diritto dei dipendenti dell’impresa cedente alla continuazione del rapporto di
lavoro subordinato con l’impresa subentrante, purché sia accertata l’esistenza
di una cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese (Cass. 15 ottobre 2010, n. 21278; Cass. 13 aprile 2011, n. 8460; Cass. 25 novembre
2019, n. 30663).
3.3. Quanto al vizio motivo denunciato (neppure
ricorrendo alcuna omissione di esame, sul deliberato assunto di assorbimento
delle ulteriori questioni: al primo capoverso di pg. 17 della sentenza),
ricorre nel caso di specie l’ipotesi di cd. “doppia conforme”
prevista dall’art. 348 ter, quinto comma c.p.c.,
applicabile ratione temporis, in difetto di indicazione dalla parte ricorrente,
per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., delle ragioni
di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della
sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità (Cass. 10 marzo
2014, n. 5528; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 17 gennaio 2019, n.
1197).
4. Dalle superiori argomentazioni discende il
rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il
regime di soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società alla
rifusione, in favore delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio,
che liquida per ciascuna in € 200,00 per esborsi e € 3.000,00 per compensi
professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13,
se dovuto.