Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 giugno 2020, n. 11006

Licenziamento disciplinare, Violazione dell’obbligo di
fedeltà, Divieto di operare in concorrenza, Genericità della contestazione,
Violazione del principio di immutabilità, Obblighi per legge gravanti sul
lavoratore ed espressamente puntualizzati nel contratto individuale

 

Fatti di causa

 

Con sentenza del 28 giugno 2018, la Corte d’Appello
di Milano confermava la decisione resa dal Tribunale di Como e rigettava la
domanda proposta da M.P. nei confronti di Sistemi Ufficio TLC avente ad oggetto
la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato al P. per
violazione dell’obbligo di fedeltà ed in particolare del divieto di operare in
concorrenza.

La decisione della Corte territoriale discende
dall’aver questa ritenuto infondate le eccezioni formali relative alla
genericità della contestazione ed alla violazione del principio di immutabilità
della stessa, legittimo il controllo sul computer in dotazione al P.,
irrilevante il riferimento agli artt.
45 e 48 del CCNL per il
settore telecomunicazioni per essere stato il licenziamento intimato con
riferimento agli obblighi per legge gravanti sul lavoratore e comunque
espressamente puntualizzati nel contratto individuale, la cui violazione
risultava provata con conseguente ricorrenza dell’invocata giusta causa..

Per la cassazione di tale decisione ricorre M.P.,
affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la
Società.

 

Ragioni della decisione

 

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare
la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, I. n. 300/1970 lamenta
a carico della Corte territoriale la violazione del principio di specificità
della contestazione.

Nel secondo motivo |a violazione e falsa
applicazione della medesima norma di legge è prospettata con riguardo al
rigetto da parte della Corte territoriale dell’eccepita inosservanza del
principio di immutabilità della contestazione Con il terzo motivo, denunciando
la violazione e falsa applicazione dell’art. 2105
c.c. in relazione agli artt.
45 e 48 del CCNL di
categoria, il ricorrente imputa alla Corte territoriale l’aver formulato il
proprio giudizio sulla sussistenza dell’invocata giusta causa di recesso
prescindendo dal riferimento alle fattispecie astratte considerate dal codice
disciplinare di cui al CCNL di categoria come punibili con la massima sanzione,
in base alle quali andrebbe esclusa la riconducibilità ad esse del fatto
addebitato.

Con il quarto motivo, rubricato con riferimento al
vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, il ricorrente
lamenta a carico della Corte territoriale l’incongruità logica della
valutazione dalla stessa operata con riguardo alla mancanza addebitata basata
su elementi di fatto non coincidenti con quanto risultante dalla lettera di
contestazione.

Passando all’esame della proposta impugnazione va
rilevata come la stessa ruoti essenzialmente intorno all’imprecisione degli
elementi di fatto su cui la Società datrice ha costruito, nel formulare la
lettera di contestazione, l’attribuzione al ricorrente dell’addebito dato dal
suo operare in concorrenza con la Società medesima, assunto che il ricorrente
valorizza sotto una pluralità di profili: per sostenere, con il primo motivo,
la non specificità della contestazione, per addebitare alla Corte territoriale,
con il quarto motivo, una valutazione della sussistenza della mancanza
contestata fuorviata dalla mancata considerazione dell’inesattezza degli
elementi assunti a base del giudizio, per affermare, con il secondo motivo,
l’incongruità tra l’originaria approssimativa contestazione e la circostanziata
successiva lettera di licenziamento tale da fondare la censurata violazione del
principio di immutabilità della contestazione.

Sennonché il ricorrente, da un lato, non dà conto
dell’effettività delle asserite inesattezze, limitandosi a ribadire la propria
versione in ordine alla lettura da dare alla lettera di contestazione,
dall’altro non sottopone a specifica impugnazione l’affermazione di cui alla
motivazione dell’impugnata sentenza per cui quello stesso giorno al ricorrente
l’addebito veniva contestato verbalmente, spiegato in cosa consistesse,
ottenendo dal medesimo una piena ammissione, sicché si deve ritenere corretta
la lettura operata dalla Corte territoriale della lettera di contestazione come
chiaramente riferibile all’addebito consistente nella violazione del divieto di
operare in concorrenza e derivare da qui non solo la congruità tra la lettera
di contestazione e la successiva lettera di licenziamento ma altresì la
correttezza logica e giuridica del giudizio formulato dalla Corte territoriale
in ordine alla sussistenza della mancanza addebitata. Quanto poi alla
proporzionalità della sanzione, conclusione cui perviene la Corte territoriale
e che il ricorrente censura con il terzo motivo, si deve ritenere
l’infondatezza del medesimo per non essere il giudice vincolato alle previsioni
rese in materia disciplinare in sede collettiva, tanto più quando, come nel
caso di specie, la condotta da apprezzare alla stregua del parametro dato dalla
nozione legale di giusta causa, ovvero in relazione alla sua idoneità a ledere
il vincolo fiduciario che connota il rapporto di lavoro, si concreti in una
ipotesi pure legalmente tipizzata di inadempimento degli obblighi contrattuali.

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro
200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15%
ed altri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

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