Perché l’appalto sia genuino è necessario che l’appaltatore abbia una “reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo”.
Nota a Cass. 28 aprile 2020, n. 8256
Fabio Iacobone
La liceità di un appalto va esclusa quando “l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, mantenendo i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo”.
Lo ribadisce la Corte di Cassazione ((28 aprile 2020, n. 8256; nello stesso, Cass. n. 27105/2018 e Cass. n. 14302/2002), confermando App. Napoli n. 5549/2016, la quale, pur accertando che il rapporto tra le due società era regolato da un appalto di servizi, ha escluso che l’attività svolta dal lavoratore ricorrente (dipendente della società appaltatrice) fosse “effettivamente riferibile all’appalto”, ritenendo “dimostrato”, invece, uno stabile inserimento del lavoratore nell’organizzazione del committente.
Nello specifico, la Corte Territoriale ha accertato che il lavoratore: a) svolgeva compiti funzionali alle attività delle squadre tecniche, prendendo materiali dal magazzino e portandoli ai tecnici, con sottoposizione al potere direttivo dell’azienda committente (Trenitalia); b) non era mai stato effettivamente adibito ai “servizi di pulizia del materiale rotabile ed altre attività collegate” oggetto del contratto di appalto, avendo egli invece sempre coadiuvato i dipendenti della società committente; c) risultava stabilmente inserito nelle squadre tecniche della società committente, che lo aveva assegnato a mansioni diverse da quelle oggetto dell’appalto.
I giudici hanno inoltre ritenuto irrilevante la circostanza che il lavoratore, nel corso della prestazione, avesse indossato la divisa della società appaltatrice e ricevuto la retribuzione da quest’ultima.