Il licenziamento intimato prima della scadenza del periodo di comporto è nullo e, quando non sia applicabile la tutela reale, comporta il diritto al ripristino del rapporto di lavoro secondo le norme di diritto comune.
Nota a Trib. Busto Arsizio (ord.) 11 marzo 2020, n. 956
Kevin Puntillo
Il licenziamento intimato prima dello spirare del termine del periodo di conservazione del posto di lavoro (c.d. periodo di comporto) è nullo.
Lo ribadisce il Tribunale di Busto Arsizio (ord.11 marzo 2020, n. 956) in relazione al licenziamento in corso di comporto di un dipendente affetto da grave patologia tumorale di origine professionale.
Quanto alle conseguenze di tale nullità, i giudici precisano che, nei rapporti di lavoro nei quali non si applica l’art. 18 Stat. Lav., gli effetti del licenziamento dichiarato nullo, ai sensi dell’art. 2110, co. 2, c.c., non sono regolati, in via di estensione analogica, dalla disciplina dettata dall’art. 8, L. n. 604/1966, bensì, in assenza di una espressa regolamentazione, da quella generale del codice civile. Infatti, dal momento che il licenziamento nullo è tamquam non esset (poiché non produce alcun effetto per cui perdura il rapporto di lavoro), ne consegue il ripristino del rapporto, con conseguente riammissione nel posto di lavoro e condanna al pagamento dell’intero trattamento economico e contributivo dalla data della risoluzione del rapporto fino alla concreta ricostituzione dello stesso, oltre alla “rivalutazione monetaria e agli interessi legali dalle singole scadenze al saldo e dedotto l’eventuale aliunde perceptum”.
Relativamente all’imputabilità dello stato morbile al datore di lavoro, il Tribunale, nell’accogliere il ricorso del lavoratore, specifica che per detrarre l’assenza per malattia dal periodo di comporto, non è sufficiente che questa abbia origine professionale (vale a dire che sia meramente connessa alla prestazione lavorativa), essendo invece necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. (v. Cass. n. 1592/2017), tenuto conto del tipo di attività espletata dall’azienda e della probabilità che nell’ambiente di lavoro siano presenti materie nocive.