Anche le malattie di natura psichica riconducibili al rischio del lavoro sono meritevoli di tutela.
Nota a Cass. (ord.) 14 maggio 2020, n. 8948
Fabrizio Girolami
Nel sistema delineato dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (cd. “Testo unico per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro”) sono indennizzabili tutte le malattie – di natura fisica o psichica – la cui origine sia riconducibile al “rischio del lavoro”, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, dal momento che il rapporto di lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti per la sfera fisica e/o psichica. In questo contesto, anche il mobbing sul lavoro è una malattia professionale indennizzabile dall’INAIL, a condizione che il lavoratore provi il nesso causale tra malattia e causa di lavoro.
L’importante principio di diritto è stato affermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 14 maggio 2020, n. 8948. Nel caso di specie, un lavoratore dipendente aveva agito in giudizio al fine di ottenere il riconoscimento della natura professionale della malattia causata dalla condotta vessatoria tenuta nei suoi confronti dal datore di lavoro.
Nel giudizio di merito, la Corte d’Appello di Perugia, con sentenza n. 103/2013, aveva respinto la domanda del lavoratore, ritenendo non tutelabile – nell’ambito dell’assicurazione obbligatoria gestita dall’INAIL – la malattia derivante non direttamente dalle lavorazioni elencate nell’art. 1, D.P.R. n. 1124/1965, bensì da situazioni di cd. “costrittività organizzativa”, come il mobbing.
Di diverso avviso è invece la Cassazione che, con l’ordinanza in commento, ha riformato la sentenza di merito, accogliendo le doglianze del lavoratore. La Corte ha infatti confermato e consolidato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che, in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, giudica rilevante non soltanto il “rischio specifico proprio della lavorazione”, ma anche il “cd. rischio specifico improprio”, ovverosia non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa (cfr., tra le varie, Cass. n. 13882/2016; Cass. n. 7313/2016; Cass. n. 27829/2009; Cass. n. 10317/2006; Cass. n. 16417/2005; Cass. n. 7633/2004; Cass. n. 1944/2002; Cass. n. 9556/2001).
Lo stesso principio è stato ribadito anche con la sentenza n. 3227/2011 relativa al caso di un lavoratore che aveva contratto una malattia a seguito di un’esposizione al fumo passivo di sigaretta nei luoghi di lavoro. La malattia da fumo passivo è stata ritenuta “meritevole di tutela ancorché, certamente, non in quanto dipendente dalla prestazione pericolosa in sé e per sé considerata (come “rischio assicurato”), ma soltanto in quanto connessa al fatto oggettivo dell’esecuzione di un lavoro all’interno di un determinato ambiente”.
Relativamente al mancato inserimento della malattia psichica da “mobbing” nell’elenco delle tabelle allegate al D.P.R. n. 1124/1965, la Cassazione richiama la sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, co. 1, del Testo Unico nella parte in cui non prevede che “l’assicurazione contro le malattie professionali nell’industria è obbligatoria anche per le malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata”.
L’assicurazione contro le malattie professionali è dunque obbligatoria per tutte le malattie, anche diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate al citato T.U. e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro.
Pertanto, conclude la Corte, ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa (ivi compresa la malattia causata da mobbing) risulta assicurata all’INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causalità tra la lavorazione patogena e la malattia.