Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 giugno 2020, n. 11530

Contratto di apprendistato professionalizzante, Mancata
stabilizzazione del rapporto di lavoro, Discriminazione basata sul sesso e
sullo status di madre di figlio minore

 

Fatti di causa

 

1. R.S. adiva ai sensi dell’art. 38 d. Igs n. 198 del 2006 il
giudice del lavoro denunziando la discriminazione basata sul sesso e sullo
status di madre di figlio minore realizzata in suo danno attraverso la mancata
stabilizzazione del rapporto di lavoro da parte della P. s.r.l. – con la quale
aveva sottoscritto, in data 8.9.2011, un contratto di apprendistato
professionalizzante della durata di 36 mesi – a fronte dell’assunzione a tempo
indeterminato di colleghi di sesso maschile che avevano stipulato nello stesso
giorno il medesimo contratto di apprendistato.

2. La domanda, respinta con decreto, era accolta dal
Tribunale in esito all’opposizione della lavoratrice.

3. La Corte di appello di Catanzaro, in riforma
della decisione di primo grado, ha respinto la originaria domanda. Ha ritenuto
il giudice di appello, all’esito di analitica ricostruzione delle risultanze di
causa, che la lavoratrice non avesse fornito un quadro probatorio connotato da
precisione e concordanza in ordine alla denunziata discriminazione, in
relazione ad entrambi i profili denunziati, di talché non vi era spazio per la
verifica ex art. 40 d. Igs n. 198
del 2006 dell’assolvimento da parte della società datrice dell’onere
probatorio inteso alla dimostrazione della insussistenza della denunziata
discriminazione.

4. Per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso R.S. sulla base di sei motivi; la parte intimata ha resistito con
tempestivo controricorso; l’ufficio Consigliere di Parità della provincia di
Catanzaro, che aveva spiegato intervento volontario ai sensi dell’art. 36 d. Igs n. 198 del 2006,
non ha svolto attività difensiva.

4.1. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi
dell’art. 378 cod. proc. civ.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
deduce violazione e falsa applicazione degli artt.
3 e 37 Cost., degli artt. 25, 27 e 40 d. Igs n. 198 del 2006, del d. Igs n. 5 del 2010, dell’art. 3 d. Igs n. 151 del 2001,
della Direttiva comunitaria CE n. 54/2006,
della Direttiva CEE n. 76/207 “aggiornata” dal d. Igs n. 145 del 2005, degli artt. 115 e 132 cod.
proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ. e dei
principi giurisprudenziali in materia. Deduce, inoltre, omesso esame di un
fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti. Evocati i principi
giurisprudenziali in tema di comportamenti discriminatori sul luogo di lavoro
ed in materia di licenziamenti discriminatori assume la violazione delle norme
richiamate sul rilievo di avere dato piena prova della discriminazione legata
al sesso ed alla sua condizione di madre, unico genitore affidatario di figlio
minore rispetto ai lavoratori maschi assunti con contratto di apprendistato
professionalizzante nella medesima data – 8 settembre 2011 -, ulteriormente
evidenziando con riferimento al quadrimestre settembre/dicembre 2011 che le
uniche donne stabilizzate non erano madri né genitori affidatari di figlio
minore.

2. Con il secondo motivo di ricorso deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e
37 Cost., degli artt. 25, 27 e 40 d. Igs n. 198 del 2006, del d. Igs n. 5 del 2010 dell’art. 3 d. Igs n. 151 del 2001,
della Direttiva comunitaria CE n. 54/2006,
della Direttiva CEE n. 76 /207 e dei principi giurisprudenziali in materia.
Censura la sentenza impugnata in quanto adottata in violazione dei principi in
tema di attenuazione del regime probatorio e dei principi che conferiscono
rilievo oggettivo, disancorato dalla verifica di una volontà del datore di
lavoro finalizzata alla realizzazione della discriminazione, al trattamento
deteriore subito dal lavoratore e ribadisce di avere offerto prova di essere
stata discriminata in quanto donna/madre ed in quanto genitore unico
affidatario di figlia minore.

2.1. In particolare, con il motivo indicato come 2
a) assume la illogicità della sentenza impugnata laddove questa aveva escluso
che il dato statistico rilevante ai fini della verifica della discriminazione
ai sensi dell’art. 40 d. Igs n. 198
del 2006 potesse essere tratto su un limitato orizzonte temporale
rappresentato dalla data di stipula dei contratti di apprendistato
professionalizzante; denunzia sotto questo profilo la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. per assoluta carenza di
motivazione sul punto.

2.2. Con il motivo indicato come 2 b), richiamato l’art. 40 d. Igs n. 198 del 2006 in
tema di utilizzabilità del dato statistico al fine di dimostrazione della
denunziata discriminazione, deduce di avere offerto prova a riguardo mediante
il riferimento ai colleghi maschi assunti nella medesima data con contratto di
apprendistato professionalizzante e poi stabilizzati.

2.3. Con il motivo indicato come 2 c) deduce il
violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e
37 Cost., degli artt. 25, 27 e 40 d. Igs n. 198 del 2006, del d. Igs n. 5 del 2010 dell’art. 3 d. Igs n. 151 del 2001,
della Direttiva comunitaria CE n. 54/2006,
della Direttiva CEE n. 76 /207, degli artt. 115
e 132 cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi
giurisprudenziali in materia. Deduce, inoltre, omesso esame di un fatto
decisivo oggetto di discussione fra le parti evidenziando come, limitando
l’indagine al mese di settembre 2011, la stabilizzazione della lavoratrice M.,
non genitore unico affidatario di figlio minore e tanto meno madre, confermava
la discriminazione; analogamente a voler estendere l’indagine al periodo
settembre/dicembre 2011 in quanto le tre stabilizzazioni femminili verificatesi
concernevano lavoratrici non madri.

2.4. Con il motivo indicato come 2 d) deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e
37 Cost., degli artt. 25, 27 e 40 d. Igs n. 198 del 2006, del d. Igs n. 5 del 2010 dell’art. 3 d. Igs n. 151 del 2001, della Direttiva comunitaria CE n. 54/2006, della
Direttiva CEE n. 76/207 ” aggiornata” dal d.
Igs n. 145 del 2005, degli artt. 115 e 132 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi giurisprudenziali
in materia. Deduce, inoltre, omesso esame di un fatto decisivo oggetto di
discussione fra le parti rappresentato, in sintesi, dal risultare sia con
riguardo al settembre 2011 sia con riguardo al quadrimestre settembre/dicembre
2011 essere essa Sacco l’unica donna, madre unica affidataria di figlio minore,
a non essere stata stabilizzata; assume, quindi, di avere in tal modo assolto
l’onere su di essa gravante in base al regime attenuato di cui all’art. 40 d. Igs n. 198 del 2006.

2.5. Con il motivo indicato come 2 e) deduce
violazione e falsa r applicazione degli artt. 3
e 37 Cost., degli artt. 25, 27 e 40 d. Igs n. 198 del 2006, del d. Igs n. 5 del 2010 dell’art. 3 d. Igs n. 151 del 2001,
della Direttiva comunitaria CE n. 54/2006,
della Direttiva CEE n. 76 /207, degli artt. 115
e 132 cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi
giurisprudenziali in materia. Deduce, inoltre, omesso esame di un fatto
decisivo oggetto di discussione fra le parti. Assume la illogicità e assenza di
motivazione della sentenza impugnata per avere ritenuto dato insufficiente a
fondare una concordante e precisa presunzione, come richiesto dall’art. 40 d. Igs. n. 198 del 2006,
la mancata stabilizzazione sia rispetto ai colleghi maschi assunti nella
medesima data sia rispetto alle colleghe stabilizzate nel più ampio periodo
considerato dalla Corte di merito, colleghe delle quali nessuna era madre.

2.6. Con il motivo indicato come 2 f) deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e
37 Cost., degli artt. 25, 27 e 40 d. Igs n. 198 del 2006, del d. Igs n. 5 del 2010 dell’art. 3 d. Igs n. 151 del 2001,
della Direttiva comunitaria CE n. 54/2006,
della Direttiva CEE n. 76 /207, degli artt. 115
e 132 cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi
giurisprudenziali in materia. Deduce, inoltre, omesso esame di un fatto
decisivo oggetto di discussione fra le parti.

Censura di illogicità la sentenza impugnata laddove,
pur dando atto correttamente che nel periodo settembre/dicembre 2011 la Sacco
era stata l’unica donna madre non stabilizzata,
<<contraddittoriamente>> e in assenza di elementi probatori di
riscontro aveva affermato che altri apprendisti genitori non erano stati stabilizzati;
evidenzia che dagli elementi in atti non era mai emerso che altri genitori
apprendisti non fossero stati assunti.

2.7. Con il motivo indicato come 2 g) deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e
37 Cost., degli artt. 25, 27 e 40 d. Igs n. 198 del 2006, del d. Igs n. 5 del 2010 dell’art. 3 d. Igs n. 151 del 2001,
della Direttiva comunitaria CE n. 54/2006,
della Direttiva CEE n. 76 /207, degli artt. 115
e 132 cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi
giurisprudenziali in materia. Deduce, inoltre, omesso esame di un fatto
decisivo oggetto di discussione fra le parti. Censura di illogicità la sentenza
di appello per non avere spiegato le ragioni dell’estensione del periodo di
riferimento anche al gennaio 2012 e le ragioni per le quali, nonostante il
regime probatorio attenuato, avesse ritenuto gravare su di essa Sacco la prova
che le lavoratici B. e P., assunte nel gennaio 2012 e successivamente
stabilizzate, non fossero madri, con inversione, quindi, dell’onere probatorio
di legge, che doveva ritenersi gravare, nel regime probatorio attenuato, sulla
parte datoriale.

2.8. Con il motivo indicato come 2 h) deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e
37 Cost., degli artt. 25, 27 e 40 d. Igs n. 198 del 2006, del d. Igs n. 5 del 2010, dell’art. 3 d. Igs n. 151 del 2001,
della Direttiva comunitaria CE n. 54/2006,
della Direttiva CEE n. 76/2007, degli artt. 115
e 132 cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi
giurisprudenziali in materia. Deduce, inoltre, omesso esame di un fatto
decisivo oggetto di discussione fra le parti. Censura, in sintesi, la sentenza
impugnata per non avere indicato le ragioni della estensione anche al gennaio
2012 del periodo di valutazione al fine della verifica della denunziata
discriminazione lamentando la mancata applicazione dei principi in tema di
onere probatorio attenuato per la mancata considerazione del fatto che tutti i
lavoratori stabilizzati erano uomini e donne privi dello status di genitori e
unici affidatari di figlio minore.

3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 3 e 37 Cost., degli artt. 25, 27 e 40 d. Igs n. 198 del 2006, del d. Igs n. 5 del 2010, dell’art. 3 d. Igs n. 151 del 2001,
della Direttiva comunitaria CE n. 54/2006, della
Direttiva CEE n. 76 /207, degli artt. 115 e 132 cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi
giurisprudenziali in materia. Deduce, inoltre, omesso esame di un fatto
decisivo oggetto di discussione fra le parti. Censura, in sintesi, di
illogicità la sentenza impugnata per avere affermato, in contrasto con il
principio secondo il quale in base al regime probatorio attenuato il lavoratore
doveva solo provare il trattamento deteriore da parte del datore di lavoro, che
era necessaria l’allegazione e prova che il datore di lavoro mal sopportasse
l’esercizio o la espressa volontà di non prestare lavoro notturno come dalla
legge consentito in favore del genitore unico affidatario di figlio minore.

4. Con il quarto motivo deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 3 e 37 Cost., degli artt. 25, 27 e 40 d. Igs n. 198 del 2006, del d. Igs n. 5 del 2010, dell’art. 3 d. Igs n. 151 del 2001,
della Direttiva comunitaria CE n. 54/2006,
della Direttiva CEE n. 76 /207, degli artt. 115
e 132 cod. proc. civ., dell’art. 2697 cod. civ. e dei principi
giurisprudenziali in materia. Deduce, inoltre, omesso esame di un fatto
decisivo oggetto di discussione fra le parti. Censura la sentenza impugnata
deducendo che era stata offerta prova del trattamento discriminatorio e
deteriore; il fatto del quale assume omesso esame è costituito dalla prova
dell’essere stata oggetto di trattamento discriminatorio.

5. Con il quinto motivo deduce che la sentenza è
illogica ed immotivata sul rilievo che a fronte della mancata stabilizzazione
di essa Sacco – donna, madre e genitore unico affidatario di figlio minore – ed
a fronte della stabilizzazione di altre donne non madri, la prova dell’assenza
di discriminazione ricadeva sulla parte datoriale, risultando per tabulas che
la ricorrente era lavoratrice capace e diligente e non emergendo che la mancata
stabilizzazione era collegata a ragioni di tipo economico.

6. Con il sesto motivo deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ.
sul rilievo della mancanza assoluta di motivazione e, comunque, di motivazione
apparente. Si duole, in particolare, della mancata esplicitazione delle ragioni
secondo le quali era inidoneo a suffragare il rilievo statistico il dato
ancorato alla assunzione avvenuta in data 8.9.2011 ed alla comparazione con i
lavoratori maschi assunti in quella medesima data e della ritenuta irrilevanza,
sotto il profilo statistico, del fatto che nell’ambito del quadrimestre
settembre/dicembre 2011 le uniche tre donne assunte non erano madri.

7. Il ricorso è da respingere.

8. Occorre, in primo luogo, premettere, al fine
della corretta delimitazione della materia del contendere, che la sentenza
impugnata ha ritenuto ritualmente dedotti con l’originario ricorso i soli
profili di discriminazione attinenti al sesso ed alla maternità (sentenza pag.
6, quinto cpv) ed ha escluso che con l’atto introduttivo la originaria
ricorrente avesse prospettato una specifica discriminazione fondata sullo stato
di genitore unico affidatario di figlio minore (sentenza, pag. 9, quinto cpv);
in ordine a quest’ultimo profilo ha argomentato anche nel merito e, premesso il
diritto, ex art. 25, comma 2 bis,
d. Igs n. 198 del 2006, del genitore affidatario di figlio minore di
rifiutare la prestazione di lavoro notturno fino al compimento del 12° anno di
età del minore, ha ritenuto che nel caso concreto non fosse possibile porre in
relazione l’eventuale esercizio di tale facoltà da parte della lavoratrice con
la mancata stabilizzazione, in assenza di prova da parte della lavoratrice che
il datore di lavoro mal sopportasse l’esercizio o quanto meno la espressa
volontà di esercitare la facoltà di non prestare lavoro notturno; ha
ulteriormente evidenziato che dagli atti di causa emergeva, anzi, che la
ricorrente aveva formulato espressa richiesta di trasformare l’originario
orario di lavoro da part time orizzontale in part time verticale con
prestazione di lavoro notturno in determinati giorni della settimana.

8.1. Tanto premesso, in relazione alla
discriminazione prospettata con riferimento allo stato di madre, unica
affidataria di figlio minore, si rileva che il ricorso per cassazione non
investe in alcun modo l’affermazione della Corte di merito, configurante
autonoma ratio decidendi, idonea, quindi, di per sé sola a giustificare la
statuizione di rigetto, in ordine alla tardività, con implicita valutazione di
inammissibilità della stessa, della deduzione di discriminazione riferita a
tale condizione (madre unica affidataria di figlio minore).

8.2. Da tanto consegue il passaggio in giudicato
della statuizione sul punto e la conseguente inammissibilità (per difetto di
interesse ad impugnare – cfr. Cass. Sez. Un. n. 10374 del 2007, Cass. n. 21431
del 2007, Cass. n. 3881 del 2006, Cass. Sez. Un. n. 16602 del 2005) delle
censure sviluppate nei motivi di ricorso destinate ad investire, essenzialmente
sotto il profilo del malgoverno delle risultanze istruttorie, della violazione
del regime probatorio attenuato ex art.
40 d. Igs n. 198 del 2006 e della omessa motivazione, la ritenuta
insussistenza in concreto della discriminazione legata a tale specifica
situazione.

8.3. In ordine ai profili di discriminazione
denunziati con l’originario ricorso e riferiti sia al sesso sia alla condizione
di madre tout court, la Corte di merito, avuto riguardo al periodo temporale di
riferimento per come sviluppatosi in corso di causa, e cioè il quadrimestre
settembre/dicembre 2011, ha premesso che in detto quadrimestre la P. s.r.l.
aveva assunto 20 apprendisti, 13 uomini e 7 donne e che, al netto delle
dimissioni in corso di rapporto e di un licenziamento per giusta causa,
l’azienda aveva stabilizzato cinque uomini e a tre aveva comunicato il recesso;
aveva inoltre stabilizzato due donne e per tre aveva preferito non convertire a
tempo indeterminato il rapporto lavorativo. Ha, quindi, osservato che il fatto
che le stabilizzazioni avevano riguardato sia uomini che donne e altrettanto le
mancate stabilizzazioni minava in radice la originaria doglianza di
discriminazione legata al sesso, ulteriormente precisando che la limitazione
della verifica ai lavoratori assunti in uno specifico giorno (quello nel quale
la S. aveva stipulato il contratto di apprendistato professionalizzante con
altri colleghi maschi poi stabilizzati ) o al solo mese di settembre dell’anno
2011 non era idonea a conferire particolare valenza al dato statistico; ha
evidenziato che, in ogni caso, anche in relazione al mese di settembre vi era
stata stabilizzazione di una lavoratrice (S.M.).

8.4. Quanto alla discriminazione fondata sulla
maternità, la circostanza che nel quadrimestre settembre/dicembre 2011 le sole
due lavoratrici stabilizzate <<sembravano>> non essere madri è
stata ritenuta dato insufficiente ad integrare le precise e concordanti
presunzioni idonee a sorreggere l’assunto di una discriminazione fondata sulla
maternità; ciò tanto più in presenza di un dato pacifico costituito dal fatto
che gli assunti nel quadrimestre di riferimento, ad eccezione della Sacco, non
erano genitori mentre nonostante lo fossero diversi apprendisti, sia uomini che
donne non vennero stabilizzati mentre quanto alle dipendenti B. e P. assunte
nel gennaio 2012 e stabilizzate non era dato sapere in assenza di prova da parte
della lavoratrice se fossero o meno madri (sentenza, pag. 8, quarto cpv).

8.5. Tanto premesso, procedendo in via prioritaria,
per il carattere dirimente collegato all’eventuale accoglimento, all’esame
della dedotta violazione dell’art. 132 cod. proc.
civ. denunziata in tutti i motivi di ricorso ed alla quale è riconducibile
anche la censura sviluppata con il quinto motivo nella quale si denunzia
illogicità di motivazione, si rileva che tale violazione è insussistente.

8.6. La esposizione sopra effettuata, sia pure in
forma sintetica, delle argomentazioni della sentenza impugnata alla base del
rigetto nel merito della domanda intesa a far valere la discriminazione legata
al sesso ed alla condizione di madre, esclude in radice la configurabilità
della violazione dell’art. 132 cod. proc. civ.,
per omessa motivazione e/o motivazione apparente, ripetutamente denunziata
dalla odierna ricorrente, per lo più in relazione a specifiche affermazioni
della sentenza impugnata. Innanzitutto, risulta priva di pregio la deduzione
(v. illustrazione del sesto motivo di ricorso) della mancanza assoluta di
motivazione, già sotto l’aspetto materiale e grafico, assunto smentito
dall’esame della sentenza impugnata e dalle sei pagine di essa dedicate alla
motivazione della decisione. Neppure è configurabile una motivazione apparente
– che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla
motivazione in tutto o in parte mancante – la quale sussiste allorquando pur
non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non
contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel
senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il
percorso logico -giuridico alla base del decisum. E’ stato, in particolare,
precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché
affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non
renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante
argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito
dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare
all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture
(Cass. Sez. Un. n. 22232 del 2016), oppure allorquando il giudice di merito
ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento
ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica,
rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla
logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017) oppure, ancora,
nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente
contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come
giustificazione del decisum (Cass. n. 20112 del 2009). Tali carenze, che
l’odierna parte ricorrente assume sulla base di considerazioni del tutto
generiche ed assertive, non sono riscontrabili nella sentenza in esame della
quale sono agevolmente ricostruibili i percorsi argomentativi che hanno
condotto la Corte di merito, sulla base di ricostruzione fattuale emergente
dagli atti di causa, ad escludere che gli elementi offerti dalla odierna
ricorrente sulla quale, sia pure nei termini attenuati delineati dall’art. 40 d. Igs n. 198 del 2006,
gravava il relativo onere probatorio, presentassero quanto meno quei caratteri
di precisione e concordanza idonei a sorreggere sotto il profilo statistico
l’esistenza delle denunziate discriminazioni.

8.7. Il percorso logico giuridico della Corte di
merito risulta esplicitato in termini che ne consentono la piena comprensione,
anche con riferimento all’ambito del contraddittorio sviluppatosi nelle
precedenti fasi, mentre esula dalla verifica dell’osservanza dell’obbligo ex art. 132 cod. proc. civ., la critica alle concrete
conclusioni attinte in ordine alla valutazione degli elementi fattuali
acquisiti sui quali, invece, si sofferma ripetutamente la odierna parte
ricorrente nell’illustrare il vizio di omessa motivazione.

8.8. E’ in particolare da escludere ogni carenza e/o
illogicità di motivazione con riguardo al più ampio arco temporale di
riferimento (essenzialmente il quadrimestre settembre/dicembre 2011) preso in
considerazione dal giudice di appello rispetto a quello preteso dalla odierna
ricorrente (limitato al giorno della stipula del contratto di apprendistato
professionalizzante o al più al mese di settembre 2011) in quanto
l’affermazione della Corte di merito in ordine alla maggiore valenza statistica
dei dati acquisiti in relazione ad un arco temporale più ampio è corretta e
congrua; da un punto di vista logico, infatti, ed in generale della scienza
statistica l’estensione dell’arco temporale di riferimento, implicando
l’acquisizione di un maggior numero di dati da comparare, conferisce maggiore
attendibilità alla ricostruzione statistica di un determinato fenomeno.

9. Le censure che denunziano violazione e falsa applicazione
di norme di diritto (motivi primo, secondo, terzo e quarto) sono, invece,
inammissibili in quanto non incentrate sul significato e sulla portata
applicativa delle norme indicate. Parte ricorrente non procede, infatti, come
pure avrebbe dovuto, ad una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica
diretta a ricostruire la portata precettiva delle numerose norme invocate, nè
della correttezza della sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito
nell’ipotesi normativa (Cass. n. 24756 del 2007); neppure specifica le
affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata motivatamente
assunte in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con
l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla
prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione
comparativa fra opposte soluzioni, come prescritto, risultandone altrimenti
pregiudicato il compito proprio della corte regolatrice di istituzionale
verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. n. 287 del 2016,
Cass. n. 16038 del 2013, Cass. n. 3010 del 2012, Cass. n. 12984 del 2006).

9.1. Parte ricorrente non individua alcuna
affermazione in diritto della sentenza impugnata in contrasto con il regime
probatorio delineato dall’art. 40
d. Igs n. 198 del 2006, del quale ripetutamente denunzia la violazione.
Anzi, la sentenza impugnata risulta del tutto coerente con tale previsione la
quale non stabilisce un’inversione dell’onere probatorio, ma solo
un’attenuazione del regime probatorio ordinario, prevedendo a carico del
soggetto convenuto, in linea con quanto disposto dall’art. 19 della Direttiva CE n. 2006/54
(come interpretato da Corte di Giustizia Ue 21
luglio 2011, C-104/10), l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della
discriminazione, ma ciò solo dopo che il ricorrente abbia fornito al giudice
elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, relativi ai
comportamenti discriminatori lamentati, purché idonei a fondare, in termini
precisi (ossia determinati nella loro realtà storica) e concordanti (ossia
fondati su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del
fatto ignoto), anche se non gravi, la presunzione dell’esistenza di atti, patti
o comportamenti discriminatori in ragione del sesso (Cass. n. 14206 del 2013) o, come nel caso di
specie, in ragione dello stato di maternità. Nella sentenza impugnata, infatti,
l’esclusione di un onere probatorio a carico della parte datoriale scaturisce
dal rilievo del mancato assolvimento da parte della lavoratrice dell’onere su
di essa gravante non avendo la Sacco offerto, neppure sul piano statistico, elementi
precisi e concordanti, significativi della denunziata discriminazione.

9.2. Vero è che parte ricorrente con la formale
denunzia di violazione dell’art. 40
d. Igs n. 198 del 2006, mira a contestare in realtà l’accertamento e la
valutazione di significatività dei dati fattuali considerati da giudice di
merito, in particolare sotto il profilo della idoneità degli stessi
all’integrazione del dato statistico necessario a far scattare l’onere
probatorio a carico della parte datoriale.

9.3. Sotto il primo profilo la ricostruzione
fattuale alla base del decisum non risulta incrinata dalla denunzia del vizio
di motivazione articolata dalla ricorrente. Invero, le censure con le quali si
deduce omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti,
sono inammissibili in quanto non articolate in coerenza con l’attuale
formulazione del vizio motivazionale che esige la deduzione di omesso esame di
un <<fatto>> inteso nella sua accezione storico fenomenica,
principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo
del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria),
evocato nel rispetto degli oneri di allegazione e produzione posti a carico del
ricorrente ai sensi degli artt. 366, co. 1, n. 6
e 369, co. 2, n. 4 cod. proc. civ. (Cass. Sez. Un. n. 8053 del 2014). Di tale fatto
parte ricorrente omette la specifica individuazione nei termini prescritti;
tantomeno illustra la decisività dello stesso alla luce del complessivo
accertamento del giudice di merito.

9.4. Le critiche intese a censurare la valutazione
di non idoneità degli elementi acquisiti a configurare un dato statistico
rilevante ai fini dell’art. 40, d.
Igs n. 198 del 2006, e, più in generale, di inadeguatezza degli elementi
fattuali acquisiti a sorreggere l’assunto della discriminazione legata al sesso
ed allo status genitoriale sono inammissibili. Premesso che la sentenza
impugnata è pervenuta ad escludere la denunziata discriminazione, in relazione
ad entrambi i profili, sulla base di un complesso accertamento di fatto che ha
posto in relazione i dati acquisiti secondo una linea argomentativa logica e
congrua, le critiche articolate dalla odierna ricorrente si risolvono nella
sollecitazione di una generale rivisitazione del materiale di causa del quale è
chiesto un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di
legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione, alla
stregua del novellato art. 360, n.5 cod.proc.civ.
(applicabile, ratione temporìs, alla fattispecie qui scrutinata), come interpretato
dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass. Sez.
Un. n. 8053/2014 cit.).

10. A tanto consegue il rigetto del ricorso.

11. La novità e complessità delle questioni
trattate, in assenza di consolidati orientamenti del giudice di legittimità
all’epoca dell’introduzione del giudizio di primo grado, la obiettiva
controvertibilità dell’accertamento fattuale dimostrata dagli esiti alterni del
giudizio di merito, giustificano la integrale compensazione delle spese di lite.

12. Sussistono i presupposti processuali per
l’applicabilità dell’art. 13, comma
1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre
2012, n. 228.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Compensa le spese.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 giugno 2020, n. 11530
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