Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 giugno 2020, n. 11541

Lavoro, Trasferimento, Assegno ad personam non riassorbibile
– Spettanza

 

Fatti di causa

 

Con sentenza in data 23 gennaio 2017, la Corte
d’appello di Cagliari rigettava l’appello proposto da A. s.p.a. avverso la
sentenza di primo grado, di reiezione della sua opposizione al decreto dello
stesso Tribunale, con il quale l’ex dipendente A.B. l’aveva ingiunta al
pagamento, in proprio favore, della somma di € 22.656,00, a titolo di assegno
personale non riassorbibile per il periodo aprile – agosto 2009, consistente
nella differenza tra il trattamento economico percepito presso l’Ente sardo acquedotti
e fognature (E.), suo precedente datore e quello spettantele presso la società,
nuova gestrice del servizio idrico regionale.

A motivo della decisione, la Corte territoriale
condivideva l’interpretazione data dal Tribunale all’art. 2, secondo comma l.r.
Sardegna 10/2005, di inclusione nel trattamento economico da raffrontare nel
trasferimento della dipendente da E. a E. s.p.a. (e quindi al nuovo soggetto
gestore del servizio idrico integrato) anche della retribuzione accessoria,
indipendentemente dalle vicende successive (in particolare di revoca
dell’incarico o di sua scadenza, avvenuta nel gennaio 2006): e pertanto
dell’assegno ad personam non riassorbibile in parola, come in effetti mantenuto
alla lavoratrice nel suindicato passaggio (agosto 2005), senza violazione dell’art. 36 Cost.

Avverso tale sentenza, con atto notificato il 24
(25) luglio 2017, la società ricorreva per cassazione con unico motivo, cui la
lavoratrice resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con unico motivo, la società ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 2, secondo comma L.R. 10/2005, 101,
secondo comma CCRL Sardegna, 3, 36, 41 Cost., per
la spettanza dell’assegno personale non riassorbibile alla lavoratrice
esclusivamente a titolo di indennità per l’incarico conferito, non conglobabile
nel trattamento economico da garantire nel trasferimento della gestione del
servizio idrico regionale sardo da un ente ad un altro: diversamente operando
un trattamento disparitario tra personale non trasferito (percipiente
l’emolumento soltanto in funzione dell’incarico e fino alla sua scadenza) e
personale trasferito (percipiente comunque l’emolumento).

2. Il motivo è inammissibile.

2.1. La lavoratrice controricorrente ha, infatti,
dedotto la preclusione dell’esame della questione, per il giudicato esterno
formatosi sulla sentenza del Tribunale di Cagliari 11 maggio 2012, n. 1123 tra
le stesse parti, che ha accertato il diritto di A.B., nei confronti di A.
s.p.a., all’inclusione dell’assegno personale non riassorbibile nel trattamento
economico spettantele dalla società, cui era passata, quale dipendente, per
effetto del trasferimento da E. a E. s.p.a. e quindi ad essa, nuova gestrice
del servizio idrico integrato. E ciò ha fatto con la debita trascrizione del
giudicato (a pgg. da 11 a 14 del controricorso), così osservando il principio
di specificità prescritto dall’art. 366, n. 4 e n.
6 c.p.c., da rispettare anche nel caso di specie (di interpretazione del
giudicato, sia pure regola del caso concreto e pertanto questione di diritto
oggetto di accertamento diretto), in modo da consentire al giudice di
legittimità l’esercizio dell’attività nomofilattica, ad esso propria, possibile
soltanto se la sentenza da esaminare sia messa in tal guisa a disposizione
(Cass. 13 dicembre 2006, n. 26627; Cass. 16 luglio
2014, n. 16227).

2.2. Ora, è noto che, in considerazione
dell’inscindibile rapporto di connessione che viene a crearsi tra oggetto del
giudicato e oggetto del processo nel quale questo si sia formato, l’efficacia
del giudicato si estenda alle questioni che costituiscono presupposti
logicamente e giuridicamente ineliminabili della statuizione finale, sicché
l’effetto preclusivo riguarda il successivo giudizio, ma solo entro i limiti
oggettivi dati dai suoi elementi costitutivi, ovvero della causa petendi,
intesa come titolo dell’azione proposta, e del bene della vita che ne forma
l’oggetto (petitum mediato), a prescindere dal petitum immediato, ossia dal
tipo di sentenza adottata (Cass. 22 settembre
2011, n. 19310; Cass. 30 ottobre 2017, n. 25798); mentre è da escludere il
giudicato sul punto di fatto, ossia sul puro e semplice accertamento dei fatti
storici contenuto nella motivazione e compiuto dal giudice esclusivamente per
pronunciare sulla situazione di vantaggio dedotta in giudizio (Cass. 11
febbraio 2011, n. 3434; Cass. 7 febbraio 2019, n. 3669).

2.3. Sicché, qualora due giudizi tra le stesse parti
si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito
con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla
soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale
comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione
contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso
punto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità
diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass.
12 aprile 2010, n. 8650; Cass. 9 dicembre 2016, n.
25269). E ciò senza necessità, al fine di formazione del giudicato esterno
sullo stesso, di una domanda di parte volta ad ottenere la decisione di una
questione pregiudiziale con efficacia di giudicato, come previsto dall’art. 34 c.p.c., posto che tale norma è intesa a
disciplinare il profilo dell’individuazione della competenza per materia o per
valore del giudice dell’intera causa in caso di pregiudizialità in senso
tecnico e non già soltanto in senso logico giuridico (Cass. 15 maggio 2018, n.
11754).

2.4. Nel caso di specie, essendosi il giudicato
suindicato formato proprio in ordine all’accertamento tra le parti del medesimo
diritto (inclusione nel trattamento economico spettante alla lavoratrice
dell’assegno personale non riassorbibile), oggetto della presente controversia,
sia pure per un periodo diverso (le mensilità da aprile ad agosto 2009) da
quello del suddetto giudicato (mensilità da gennaio a marzo 2009), l’esame
della questione è precluso per le superiori argomentazioni.

3. Dalle superiori argomentazioni discende coerente
l’inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio
secondo il regime di soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società
alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che
liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre
rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 giugno 2020, n. 11541
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: