Qualora più prestatori commettano illeciti analoghi, l’irrogazione di provvedimenti disciplinari diversi è legittima, anche se tale circostanza potrà essere valutata dal giudice per verificare la proporzionalità della sanzione.
Nota a Cass. 7 maggio 2020, n. 8621
Sonia Gioia
Ai fini della sussistenza della giusta causa di licenziamento, laddove risulti accertato che l’inadempimento di un lavoratore sia stato tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario “è di regola irrilevante che un’analoga inadempienza, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro”, anche se l’identità di situazioni riscontrate può essere apprezzata dal giudice “per verificare la proporzionalità della sanzione adottata”.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione (7 maggio 2020, n. 8621, conforme ad App. Roma n. 3126/2018) in relazione al licenziamento intimato dalla società datrice ad un lavoratore con mansioni di Responsabile del reparto, per non aver comunicato ai superiori gerarchici e al Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione la sistematica disattivazione, da parte dei dipendenti dallo stesso coordinati, dei sistemi di sicurezza di rallentamento di velocità dei carrelli.
Il prestatore, in particolare, lamentava sia l’illegittimità del recesso per giusta causa che la disparità di trattamento subita dal momento che per una condotta analoga ad altro dipendente (il Responsabile dell’officina) era stata irrogata una sanzione meramente conservativa.
In merito, la Corte ha precisato che il datore di lavoro ha l’onere di comunicare i motivi che lo abbiano indotto a ritenere il comportamento di un prestatore meritevole di licenziamento laddove per condotte analoghe, tenute da altri prestatori, egli abbia inflitto sanzioni meramente conservative. Ciò in quanto l’asserita inesistenza di un principio di parità di trattamento non esclude che il recesso non ad nutum debba essere motivato “in modo completo e coerente”.
In sede di accertamento della legittimità del provvedimento, peraltro, la differente valutazione, sul piano sanzionatorio, di illeciti identici da parte del datore di lavoro può indurre il giudice a ritenere sproporzionato il licenziamento, laddove non sorretto da “specifiche ragioni di diversificazione” (v. Cass. n. 10640/2017, annotata in questo sito da F. BELMONTE, Manomissione di raccomandata e licenziamento disciplinare; Cass. n. 10550/2013; Cass. n. 5546/2010).
Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto giustificata l’applicazione di provvedimenti disciplinari di diversa natura, atteso che le due infrazioni non potevano considerarsi identiche in ragione del diverso ruolo dei dipendenti, dell’elemento soggettivo e della esistenza di precedenti inadempienze.
In particolare, la condotta del Responsabile del reparto che, pur consapevole delle manomissioni, aveva omesso di informare i superiori, configurava una violazione degli obblighi contrattuali tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro. Ciò in quanto l’inadempienza presentava “lo stesso grave disvalore” della fattispecie esemplificata dalle parti sociali di “danneggiamento volontario o messa fuori opera di dispositivi antinfortunistici”, considerata causa di recesso senza preavviso (art. 70, ccnl Industria Alimentare), e non poteva essere ricondotta nell’ambito delle fattispecie che puniscono con sanzione conservativa la “colpa lieve” del prestatore che ometta di comunicare tempestivamente ai superiori eventuali guasti o malfunzionamenti del macchinario (art. 69, ccnl cit.).
Per la Cassazione, quindi, la Corte distrettuale, nel dichiarare la legittimità del provvedimento espulsivo, ha correttamente attuato i principi che regolano i rapporti tra licenziamento disciplinare e tipizzazioni collettive in base a cui il giudice di merito, ai fini della valutazione della sussistenza della giusta causa, deve verificare che la condotta contestata sia riconducibile alla nozione legale di cui all’art. 2119 c.c., quale “causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, tenendo conto, nell’ambito di tale attività valutativa e sussuntiva, anche della “scala valoriale espressa dalle parti sociali”, ai sensi dell’art. 30, co. 3, L. n. 183/2010 (v. Cass. n. 14063/2019, in questo sito con nota di S. GIOIA, Licenziamento per giusta causa e tipizzazioni del ccnl; Cass. n. 13865/2019; Cass. n. 9396, annotata in questo sito da F. DURVAL, Licenziamento disciplinare e autonomia collettiva).