Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 giugno 2020, n. 11528

Licenziamento, Differenze retributive, Documentazione
relativa alla trasformazione del dedotto rapporto di lavoro da tempo pieno a
tempo parziale, Onere probatorio

Rileva che

 

la Corte d’Appello di Cagliari con sentenza n. 421
del 12 novembre 2014 – 27 gennaio 2015 rigettò il gravame interposto da S.R.
avverso la pronuncia del locale giudice del lavoro, emessa il 15 maggio 2012,
con la quale era stata accolta per quanto di ragione, nella misura di
complessivi 5710,20 euro, la domanda dell’attrice I.M. in ordine a differenze
retributive, ferie non godute, saldo t.f.r. e indennità di mancato preavviso di
cui alla missiva di licenziamento in data 20 agosto 2008; la sentenza
d’appello, non notificata, veniva impugnata dal S. come da ricorso per
cassazione del 26 marzo 2015, affidato a due motivi;

I.M. è rimasta intimata;

è stata quindi fissata l’adunanza in camera di
consiglio della Corte per il giorno 8 maggio 2019, con rituale avviso al ricorrente
(v. in particolare la p.e.c. diretta all’avv. A.R.O., procuratore speciale
designato dal ricorrente, in data 26 febbraio 2019);

 

Considerato che

 

con il primo motivo il ricorrente lamenta la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 co. 1 c.c., 421 2 e 437 2 co c.p.c.in relazione all’art. 134 dello stesso codice di rito ed all’art. 111 co. 1 Cost.;

con la seconda doglianza la sentenza qui impugnata
viene censurata per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio;

in sintesi, premesso che il S., convenuto in
giudizio, vi si era costituito tardivamente producendo documentazione relativa
alla trasformazione, con decorrenza 3 febbraio 2007, del dedotto rapporto di
lavoro da tempo pieno a tempo parziale, i giudici di merito hanno rilevato la
conseguente decadenza del resistente anche dalla prova documentale. Visto,
inoltre, che i testi escussi non avevano fatto menzione dell’allegata
trasformazione di orario, il ricorrente ha lamentato il mancato ricorso da
parte dell’organo giudicante ai suoi poteri istruttori di ufficio per la
ricerca della verità materiale dei fatti dedotti in giudizio, all’uopo
richiamando i principi affermati da Cass. sez. un. n. 11353 del 17 giugno 2004,
laddove inoltre nel caso di specie il menzionato documento risultava
indispensabile ai fini della decisione, tanto più poi che il Tribunale aveva
disposto c.t.u. contabile, sebbene in assenza di richiesta di parte, nonostante
l’attrice avesse per giunta integralmente disatteso il contenuto dell’ordinanza
emessa il 12 aprile 2011. Peraltro, la Corte d’Appello aveva errato nella
valutazione delle prove, che diversamente avrebbero dovuto comportate il
rigetto della domanda per mancato assolvimento dell’onere probatorio incombente
alla lavoratrice. Nemmeno si era tenuto conto sia della dichiarazione del consulente,
che aveva accertato la formalizzazione dal primo febbraio 2007 al 20 agosto
2008 di un contratto di trasformazione dell’orario di lavoro da 4° a 24 ore
settimanali, né delle dichiarazioni rese dal resistente nell’interrogatorio
formale senza alcuna contestazione di sorta. Inoltre, il ragionamento della
Corte distrettuale aveva giustificato una illegittima inversione dell’onere
probatorio, condividendo il percorso argomentativo del primo giudicante,
secondo cui vi era stato rapporto full time perché il resistente non aveva
dimostrato la trasformazione di orario, omettendo però di considerare che la
prova dell’orario a tempo pieno andava fornita dall’attrice ai sensi dell’art. 2697. Era, poi, sufficiente esaminare i
verbali di udienza per rendersi conto della totale difformità delle
dichiarazioni rese dai testi, i quali avevano riferito circostanze inerenti ad
un periodo anteriore ai fatti di causa-, tanto premesso, le succitate censure
vanno disattese, siccome inammissibili ed infondate;

in via preliminare, il ricorrente ha omesso di
riprodurre compiutamente le risultanze processuali ed istruttorie, cui per
contro fa generico riferimento (non è stato neppure riprodotto nel suo
contenuto testuale il documento con il quale sarebbe stata contrattualmente
pattuita la riduzione di orario. Non sono stati sufficientemente indicati gli
atti difensivi di primo e secondo grado per il S., di cui si ignora pure
l’esatto tenore del ricorso d’appello, di guisa che non è dato nemmeno conoscere
la portata, limitatamente devolutiva, del gravame a suo tempo interposto. Né il
ricorrente chiarisce il significato della menzionata ordinanza 12 aprile 2011,
e lo stesso dicasi per quanto concerne le dichiarazioni attribuite al c.t.u.,
ed anche per quanto concerne il non meglio richiamato interrogatorio formale,
che, peraltro in quanto tale, siccome finalizzato alla confessione ex art. 228 e ss. c.p.c., perciò alla
“dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli
e favorevoli all’altra parte” ex artt. 2730
e 2733 c.c., forma piena prova contro colui che
l’ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti non disponibili, sicché
non potrebbe assumere alcun valore probatorio favorevole allo stesso
confitente, non essendo state per altro verso nemmeno ritualmente allegate, né
dimostrate dichiarazioni aggiunte, che ai sensi dell’art.
2734 c.c. sono quelle che si accompagnano alla dichiarazione, perciò contra
sé, indicata dall’art. 2730 riguardo ad altri
fatti o circostanze tendenti a infirmare l’efficacia del fatto confessato,
ovvero a modificarne o a estinguerne gli effetti, le quali di conseguenza fanno
piena prova nella loro integrità se l’altra parte non contesta la verità dei
fatti o delle circostanze aggiunte); risultano, pertanto, palesi difetti di
specificità e di autosufficienza, con conseguenti inammissibilità ex art. 366, comma I, nn. 3, 4 e 6 c.p.c.;

d’altro canto, sussiste ulteriore profilo
d’inammissibilità in relazione al preteso, secondo, vizio, denunciato
evidentemente ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.,
laddove a parte il non più attuale riferimento alla motivazione (se non per
violazione del c.d. minimo costituzionale, ma in tal caso come error in
procedendo ex art. 360 n. 4 c.p.c., riguardo
agli artt. 111 Cost. e 132 n. 4 c.p.c., univocamente in termini di
nullità), la questione è preclusa dalla doppia conforme ex art. 348-ter u.co. c.p.c., visto che in effetti
non risultano dedotte diversità di valutazioni in punto di fatto tra la
sentenza di primo grado, impugnata con ricorso del 25 marzo 2013, e quella di
secondo grado; ulteriore palesi profilo d’inammissibilità è ancora ravvisabili
nelle censure di parte ricorrente, laddove irritualmente pretendono di
sindacare in questa sede di legittimità le valutazioni in punto di fatto,
operate dalla Corte di merito, in base alle acquisite risultanze testimoniali;

né d’altronde è ravvisabile l’ipotizzata errata
applicazione dell’art. 2697 c.c., non
riscontrandosi alcuna violazione dell’onere probatorio in danno di parte
ricorrente, la quale nel costituirsi in giudizio aveva dedotto la
trasformazione di orario, perciò in effetti riconoscendo che inizialmente (da
giugno 2006, come accertato dal primo giudicante) vi era stato full-time,
sicché dovendosi di regola presumere l’osservanza del tempo pieno da parte del
lavoratore subordinato, con conseguente corrispondente messa a disposizione delle
proprie energie lavorative, era il convenuto datore di lavoro a dover
dimostrare, ex art. 2697 co. 2 c.c., l’asserita
riduzione della prestazione con conseguente connessa diminuzione della
corrispettiva retribuzione a carico dello stesso (v. Cass. lav. n. 1375 del 19/01/2018: il rapporto di
lavoro subordinato, in assenza della prova di un rapporto part-time, nascente
da atto scritto, si presume a tempo pieno; è, pertanto, onere del datore di
lavoro, che alleghi la durata limitata dell’orario, fornire la prova della
riduzione della prestazione lavorativa, né la sua diminuzione può essere
unilateralmente disposta dal datore di lavoro, potendo conseguire soltanto ad
accordo tra le parti. Prova tuttavia dalla quale il convenuto -nel caso di
specie qui in esame- era, pacificamente decaduto, per effetto della sua tardiva
costituzione in giudizio). Peraltro, la Corte di merito ha pure rilevato,
quanto all’espletata istruttoria orale, che dalle deposizioni dei testi escussi
nessuno di essi aveva fatto menzione della trasformazione asserita dal
resistente – appellante, laddove d’altro canto il fatto storico della pretesa
trasformazione doveva considerarsi insussistente a causa della inammissibilità
della produzione tardiva del menzionato documento, sicché a nulla rilevava che
i testi escussi si sarebbero riferiti nelle loro dichiarazioni ad un periodo
anteriore all’anno 2007;

va ancora rilevato come nella specie non sono siano
state debitamente riportate le doglianze fatte valere in sede di appello, di
modo che non è nemmeno noto se ed in quali termini il S. abbia nell’occasione
sollecitato l’esercizio dei poteri istruttori di ufficio (v. tra le altre Cass. lav. n. 6023 del 12/03/2009, secondo cui
nel rito del lavoro il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri
ufficiosi ex art. 421 cod. proc. civ.,
preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio
fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione
ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta
in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori. V. parimenti Cass. lav. n. 25374 del 25/10/2017, nonché id. n.
22534 del 23/10/2014), tanto più poi che nella specie dall’esame testimoniale
non emergeva nemmeno alcuna seria “pista probatoria”, favorevole alle
tesi di parte appellante;

pertanto, il ricorso va respinto, ma nonostante la
conseguente soccombenza, non va disposto alcun regolamento delle spese di
questo giudizio, visto che la sig.ra I. è rimasta intimata, senza ad ogni modo
svolgere alcuna difesa nel suo interesse; sussistono, tuttavia, i presupposti
processuali di cui all’art. 13, co.
1 quater, d.P.R. n. 115/2002, atteso l’esito interamente negativo della qui
proposta impugnazione;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello (ove dovuto) per il ricorso principale, a
norma del comma 1-bis dello stesso articolo
13.

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