I presupposti per la restituzione delle retribuzioni trattenute durante la sospensione.
Nota a Cass. (ord.) 18 maggio 2020, n. 9095
Fabrizio Girolami
Il dipendente pubblico destinatario della sospensione cautelare dal servizio in quanto coinvolto in un procedimento penale – laddove detto procedimento si sia concluso con una sentenza di non luogo a procedere per prescrizione del reato e l’Amministrazione abbia omesso di attivare nei suoi confronti un procedimento disciplinare – ha diritto ad ottenere la restituzione delle quote di retribuzione trattenute dall’Amministrazione durante il periodo di sospensione (cd. “restitutio in integrum”).
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9095 del 18 maggio 2020, in relazione a una fattispecie di un dipendente comunale, con qualifica di ingegnere capo dell’ufficio tecnico, sottoposto a procedimento penale per plurime fattispecie di reato (concussione, favoreggiamento personale e reale), con applicazione della misura cautelare personale degli arresti domiciliari.
A seguito dell’instaurazione del procedimento penale, il datore di lavoro aveva comminato al dipendente plurime sospensioni cautelari dal servizio, con attribuzione del solo assegno alimentare. Il procedimento penale si era poi concluso con sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione dei reati. Dopo tale pronuncia, l’Amministrazione pubblica non aveva attivato alcun procedimento disciplinare nei confronti del dipendente e, conseguentemente, quest’ultimo aveva adito le vie legali per richiedere la cd. “restitutio in integrum” delle quote di retribuzione trattenute per tutto il periodo di durata della sospensione.
Il giudice di primo grado aveva respinto il ricorso ritenendo che la misura applicata al dipendente era una sospensione cautelare e non disciplinare e che il diritto alla “restitutio in integrum” è sussistente soltanto in presenza di una sentenza di assoluzione con formula piena e che, stante la pronuncia di prescrizione, il dipendente avrebbe dovuto attivarsi durante la sospensione al fine di dimostrare l’assoluta estraneità ai fatti contestatigli.
Analogamente, il giudice d’appello riteneva che la sospensione disposta dal Comune non fosse di natura disciplinare ma cautelare, motivata dalla particolare gravità dei fatti ascritti al dipendente, confermando la tesi che il dipendente sospeso, in quanto non assolto con formula piena, avrebbe dovuto chiedere una nuova valutazione dei fatti ascrittigli al fine di ottenere la restituzione di quanto trattenuto nel periodo di sospensione cautelare.
Di diverso avviso è stata invece la Cassazione che, con l’ordinanza in commento, ha ritenuto fondate le doglianze del dipendente comunale relative alla mancata “restitutio in integrum” delle quote di retribuzione per il periodo di sospensione facoltativa alla luce delle seguenti considerazioni:
- nel lavoro pubblico contrattualizzato, la sospensione facoltativa del dipendente sottoposto a procedimento penale “in quanto misura cautelare e interinale, diviene priva di titolo qualora all’esito del procedimento penale quello disciplinare non venga attivato”;
- il diritto del dipendente alla “restitutio in integrum”, di cui va affermata la natura retributiva e non risarcitoria, sorge – diversamente da quanto sostenuto dalle sentenze di merito – “ogni qualvolta la sanzione non venga inflitta o ne sia irrogata una di natura ed entità tali da non giustificare la sospensione sofferta”;
- l’onere di attivarsi per consentire la tempestiva ripresa del procedimento disciplinare, una volta definito quello penale, grava esclusivamente sull’Amministrazione e non sul dipendente pubblico “tanto che neppure rileva, né può far escludere il diritto al pagamento delle retribuzioni non corrisposte durante il periodo di sospensione facoltativa, la circostanza che l’incolpato non abbia tempestivamente comunicato al datore di lavoro la sentenza passata in giudicato di definizione del processo penale pregiudicante”.