Con riguardo alla decorrenza del termine prescrizionale rileva il momento di “esteriorizzazione” del danno e cioè il momento in cui la malattia può essere percepita usando l’ordinaria diligenza.

 Nota a Cass. 3 giugno 2020, n. 10539

 Giuseppe Catanzaro

In tema di risarcimento del danno cagionato dall’inosservanza da parte del datore di lavoro dei doveri di protezione delle condizioni di lavoro posti a suo carico dall’art. 2087 c.c., “la prescrizione decennale, operante nel caso in cui sia stata esercitata l’azione contrattuale, decorre dal momento in cui il lavoratore ha potuto acquisire la piena consapevolezza non solo della malattia, con un danno alla salute apprezzabile, ma anche dell’origine professionale della stessa, indipendentemente da valutazioni meramente soggettive”.

Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione (3 giugno 2020, n. 10539, conforme ad App. Venezia 23 gennaio 2017; v. anche Cass. n. 13284/2010) relativamente ad una fattispecie in cui si richiedeva ai giudici di verificare la fondatezza dell’eccezione di prescrizione dell’azione di risarcimento del danno presentata iure proprio dagli eredi dopo trentotto anni dal decesso del lavoratore.

Secondo la Corte, nel caso concreto, almeno dall’entrata in vigore della L. n.  277/1991 che ha predisposto cautele per i lavoratori esposti all’amianto, l’oggettiva diligenza avrebbe dovuto imporre di percepire la malattia come conseguenza del comportamento del datore di lavoro che aveva esposto il dipendente all’inalazione di polveri così pericolose da esserne vietata la lavorazione.

In particolare, le specifiche e particolari cautele per i lavoratori esposti all’amianto introdotte per la prima volta con L. n. 277/91 nonché la circostanza che tutti i familiari, per loro stessa ammissione, fossero a conoscenza che il lavoratore deceduto era stato da sempre esposto alle polveri di amianto avendo lavorato per tanto tempo presso le Ferrovie dello Stato come macchinista, avrebbero dovuto suggerire ai ricorrenti di collegare la malattia del congiunto a quella esposizione quanto meno dal 1990.

I giudici hanno perciò escluso che la conoscibilità dell’esposizione all’amianto potesse configurarsi soltanto nel 2011 per la mancanza di conoscibilità di essa nell’ambiente di lavoro. Ciò, in quanto persino lo stesso de cuius, svolgendo mansioni di macchinista di elettromotrici ed eseguendo anche lavori di manutenzione, doveva sapere, in base all’ordinaria diligenza, di essere esposto a polveri di amianto. Così come dovevano saperlo gli eredi, visto che anche il figlio dello scomparso svolgeva il medesimo lavoro ed aveva subito controlli per verificare la sua esposizione alle polveri di amianto.

Come noto, secondo la giurisprudenza, il “dies a quo” per la decorrenza del termine triennale di prescrizione dell’azione per conseguire dall’INAIL la rendita per inabilità permanente al momento in cui l’interessato abbia avuto consapevolezza dell’esistenza della malattia, della sua origine professionale e del suo grado indennizzabile, va inteso in termini non strettamente soggettivi bensì in un ambito di oggettività scientifica. Più specificamente, la manifestazione della malattia, quale momento di “esteriorizzazione” del danno, si estrinseca nell’oggettiva possibilità che il fatto sia conosciuto dal soggetto interessato e, cioè, nella sua “conoscibilità” dello stato morboso. Tale conoscibilità (che “coinvolge l’esistenza della malattia ed i suoi caratteri di professionalità ed indennizzabilità”) “postula, infatti, la possibilità che un determinato elemento (l’origine professionale della malattia) sia riconoscibile in base alle conoscenze scientifiche del momento, restando invece irrilevante, pena lo sconfinamento nel campo della pura soggettività, il grado di conoscenze e di cultura del soggetto interessato dalla malattia” (cfr. Cass. n. 2486/2019 e Cass. n. 4181/2003).

Natura professionale della malattia e prescrizione del diritto degli eredi
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