Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 giugno 2020, n. 11990
Tributi, IRPEF, Prestazione capitale erogata da fondo di
previdenza complementare, Settore bancario, Trattamento pensionistico
integrativo cd. “zainetto”, Regime fiscale
Svolgimento del processo
1. La Commissione Tributaria Provinciale di
Forlì-Cesena accoglieva il ricorso proposto da G.V. avverso il provvedimento di
rigetto dell’istanza di rimborso avente ad oggetto la ritenuta Irpef pari ad €
15.631,95 trattenuta (in eccesso) dal Fondo Pensioni dipendenti della Banca
Commerciale Italiana accogliendo l’assunto del ricorrente che riteneva
illegittima la ritenuta operata dal Fondo in qualità di sostituto d’imposta,
senza la deduzione dei contributi versati nella misura del 4% annua quale quota
esente da ritenuta Irpef come previsto dall’art. 17 comma 2 del TUIR per il
periodo di riferimento.
2. La Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia
Romagna con sentenza n. 2322/17, pronunciata il 6.7.2017 e depositata il
17.7.2017, in riforma della decisione anzidetta accoglieva l’appello interposto
dall’Agenzia delle entrate.
3. Il G. ha quindi proposto ricorso per cassazione
affidandolo ad un motivo cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
4. Il ricorso è stato fissato nella camera di
consiglio del 9.10.2019, ai sensi degli artt. 375,
ultimo comma, e 380 bis 1, c.p.c.;
5. In data 2.10.2019 il ricorrente depositava una
memoria ex art. 378 c.p.c. nella quale ribadiva
le doglianze contenute nell’atto introduttivo e sollecitava la rimessione del
ricorso alle Sezioni Unite di questa Corte.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente va disattesa l’istanza di
rimessione del ricorso alle Sezioni Unite che ai sensi dell’art. 376 c.p.c. può essere proposta al Primo
Presidente con l’indicazione delle le ragioni su cui si fonda la istanza medesima. All’udienza della sezione semplice,
viceversa, la rimessione può essere disposta soltanto su richiesta del pubblico
ministero o d’ufficio, con ordinanza inserita nel processo verbale. È pacifico
che a tal fine la Corte esercita un potere discrezionale, come tale non
sindacabile.
2. Con un unico articolato motivo il ricorrente
deduce “ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3
c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.
2696 c.c.; violazione e falsa applicazione dell’art. 17 del D.P.R. 917/86;
violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 124/93;
violazione e falsa applicazione dell’art. 18 dello statuto del Fondo;
violazione e falsa applicazione della circolare n. 96 del Fondo Pensioni per il
Personale della Banca Commerciale Italiana del 6 ottobre 1975; violazione e
falsa applicazione dell’art. 47
comma 1, lett. Il- bis del TUIR del D.P.R. 917/86; violazione e falsa
applicazione dell’art. 19 (già 17)
comma 2 del TUIR del D.P.R. 917/86; violazione e falsa applicazione dell’art. 52 (già 48) del TUIR del D.P.R.
917/86; violazione e falsa applicazione dell’art. 7 del D.Lgs. 546/1992; e
comunque, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5
c.p.c., omessa, insufficiente motivazione circa un punto decisivo della
controversia; omessa valutazione di prove decisive”.
3. Occorre preliminarmente rilevare come le Sezioni
Unite di questa Corte abbiano statuito che, in tema di motivi cd. misti, la
formulazione, con un unico motivo di ricorso, di plurime censure, ciascuna
delle quali avrebbe potuto essere prospettata come un autonomo motivo, non è,
di per sé sola, ragione
d’inammissibilità dell’impugnazione se non quando «nell’ambito della
parte argomentativa del mezzo d’impugnazione non risulti possibile scindere le
ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una
situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile
l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure»; così che, se tale
scindibilità sia possibile, ovvero la formulazione del ricorso consenta «di
cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, onde consentirne, se
necessario, l’esame separato», «deve ritenersi ammissibile la formulazione di
unico articolato motivo, nell’ambito del quale le censure siano tenute distinte
» (cfr. Cass. Sez. U., 24 luglio 2013, n. 17931 cui adde, ex plurimis, Cass.,
23 ottobre 2018, n. 26790; Cass., 17 marzo 2017, n. 7009; Cass. Sez. U., 6 maggio 2015, n. 9100; con
riferimento ai cd. motivi misti formulati in relazione all’art. 360, c. 1, nn. 3 e 5, v., poi, Cass., 5
ottobre 2018, n. 24493; Cass., 11 aprile 2018, n. 8915; Cass., 24 agosto 2017,
n. 20335; Cass., 23 aprile 2013, n. 9793; Cass. Sez. U., 31 marzo 2009, n.
7770).
4. Ora è indubbio che nella specie il ricorrente,
oltre al difetto di motivazione ex art. 360, comma
1, n. 5 c.p.c., con le molteplici censure rubricate come violazioni di
legge ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.,
lamenta che la Banca Commerciale Italiana, quale sostituto d’imposta, all’atto
dell’erogazione delle somme corrisposte dal Fondo Pensioni per il personale
dipendente, pur assoggettando dette somme a tassazione separata, non abbia
tenuto conto del fatto che le somme versate erano rappresentative del provento
di una prestazione periodica ed erano state erogate in sostituzione delle
rendite già tassate.
4.1. Tale doglianza appare infondata.
4.2. Questa Corte infatti con sentenza n. 7587 del
2017, resa in controversia analoga alla presente, ha affermato che “in
tema di IRPEF, la prestazione di capitale che un fondo di previdenza
complementare per il personale di un istituto bancario effettui,
forfetariamente a saldo e stralcio, in favore di un ex dipendente, in forza di
un accordo transattivo risolutivo di ogni rapporto inerente al trattamento
pensionistico integrativo in godimento (cosiddetto “zainetto”),
costituisce, ai sensi dell’art. 6,
comma 2, del D.P.R. n. 917 del 1986, reddito della stessa categoria della
“pensione integrativa” cui il dipendente ha rinunciato e va, quindi,
assoggettato al medesimo regime fiscale cui sarebbe stata sottoposta la
predetta forma di pensione. La base imponibile su cui calcolare l’imposta è
costituita dall’intera somma versata dal fondo, senza che sia possibile
defalcare da essa i contributi versati, in quanto, ai sensi dell’art. 48, lett. a) del D.P.R. n. 917 del
1986, (nel testo vigente fino al 31 dicembre 2003), gli unici contributi
previdenziali e/o assistenziali che non concorrono a formare il reddito sono
quelli versati in ottemperanza a disposizioni di legge (Sez. 6, n. 23030 del 29.10.2014; Sez. 5, n. 11156 del 7.5.2010)”.
4.3. Correttamente pertanto solo i contributi
obbligatori I.N.P.S. hanno goduto dell’esenzione fiscale in quanto contributi
effettivamente a carico del lavoratori, mentre i contributi relativi alla
previdenza complementare, interamente a carico del datore di lavoro e solo
formalmente a carico dei lavoratori (sino al 1994), non potevano godere
dell’agevolazione fiscale di cui al citato art. 17 T.U.I.R.
5. Quanto al difetto di motivazione circa un punto
decisivo della controversia, ai sensi dell’art.
360, comma 1, n. 5 c.p.c., tale censura è inammissibile.
5.1. Trattandosi di sentenza pubblicata il
22.11.2012 deve essere applicato l’art. 360 primo comma n. 5 riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n.
83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134,
il quale deve essere interpretato come riduzione al “minimo
costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto,
è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in
violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente
all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della
sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”,
nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella
“motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa
qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della
motivazione. (Sez. U, Sentenza n. 8053 del
7.4.2014).
5.2. Nel caso in esame il ricorrente non denuncia
alcun omesso esame di un fatto storico ma censura globalmente ed
indistintamente la motivazione con cui la C.T.R. ha fornito un’interpretazione
normativa in senso diverso da quello da lui auspicato, denunciandone
l’insufficienza; vizio non più deducibile secondo il “riformato” art. 360 primo comma n. 5 c.p.c.
6. Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese
seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti
per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
rimborso delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate che
liquida in 2.300,00 Euro, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.