Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12626

Dirigente scolastico, Restituzione compenso nella qualità di
presidente del consiglio di amministrazione di azienda speciale, Incarico non
autorizzato dalla amministrazione datrice di lavoro, Elenco delle attività
espletabili senza autorizzazione, tassativo, Eccezione, Dipendente pubblico
collocato in aspettativa o fuori ruolo

 

Rivelato che

 

1. con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di
Appello di Brescia, per quanto oggi rileva, ha confermato la sentenza di primo
grado che aveva condannato V.F., dirigente scolastico del Ministero
dell’Istruzione, a pagare a quest’ultimo la somma di € 76.800,00, percepita a
titolo di gettoni percepiti dall’Azienda Speciale Comunale “Cremona Solidale”
nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione, incarico, non
autorizzato dalla Amministrazione datrice di lavoro, espletato dal 1.1.2004 al
31.12.2008;

2. la Corte territoriale ha:

3. rilevato che il V. aveva espletato negli anni dal
2004 al 2008 l’incarico di presidente del consiglio di amministrazione
dell’azienda speciale comunale “Cremona Solidale” e che
l’autorizzazione all’espletamento di tale incarico, richiesta soltanto nel
marzo 2008, era stata negata dal Ministero datore di lavoro;

4. ritenuto che l’art. 53 del d.lgs n. 165 del
2001 (nel testo applicabile “ratione temporis” prima delle
modifiche apportate dalla I. n. 190 del 2012)
vieta al pubblico dipendente di svolgere, senza autorizzazione, incarichi,
anche occasionali retribuiti in qualunque forma e non rientranti nei compiti e
nei doveri di ufficio;

5. affermato che l’elenco delle attività espletabili
senza autorizzazione anche se retribuite è tassativo e che non vi sono
ricomprese quelle relative ad incarichi pubblici elettivi o a questi
equiparati, a meno che il pubblico dipendente non sia collocato in aspettativa
o fuori ruolo;

6. aggiunto che le circolari invocate dal V. (e
dall’altro appellante) concernono gli obblighi di comunicazione imposti dal c. 13 dell’art. 53 e non
esonerano il dipendente dall’obbligo di richiedere l’autorizzazione per
l’espletamento degli incarichi estranei ai doveri di ufficio;

7. escluso la possibilità che l’incarico presso
l’azienda speciale comunale fosse equiparabile ad una carica politica elettiva
per il solo fatto di essere stato attribuito da un organo politico (il
Sindaco); tanto in considerazione della natura amministrativa della funzione
del presidente del consiglio di amministrazione dell’azienda speciale comunale,
la quale doveva essere qualificata come ente pubblico economico e del fatto che
la disciplina dettata dagli artt.
87 e 58 del d.lgs. n.
267 del 2000 non consente di attribuire natura elettiva all’incarico di
presidente del consiglio di amministrazione delle aziende speciali comunali;

8. affermato che la disposizione contenuta nel c. 5 dell’art. 53 del d.lgs .
165 del 2001 si limita a dettare le regole per l’affidamento diretto di
incarichi retribuiti;

9. avverso questa sentenza V.F. ha proposto ricorso
per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria, al
quale hanno resistito con controricorso il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca e I’ Agenzia delle Entrate;

 

Considerato

 

10. il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 cod.proc.civ., violazione e/o
comunque falsa applicazione del d.lgs n. 165 del
2001 (primo motivo), degli artt. 58 e 87 del d.lgs n. 267 del 2000
(secondo motivo), della L. 8.6.90 n. 142 in
connessione con l’art. 10 n. 27 ter
del D.P.R. 633/1972 (terzo motivo) e, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 cod.proc.civ., insufficiente e
contraddittoria motivazione circa fatti decisivi per il giudizio “sia con
riferimento alla individuazione della natura giuridica della carica espletata,
sia con riferimento alla natura giuridica del titolo relativo al percepimento
del compenso, sia con riferimento alla natura giuridica dell’Ente Comunale
Cremona Solidale” (quarto motivo);

11. il ricorrente asserisce che le circolari n. 5
del 29.5.1998, n. 333/A-9803 DI. del 21.2.2006 e n. 198 del 31.5.2001, pur non
costituendo fonti del diritto, sono vincolanti per le Amministrazioni
coinvolte, che le avevano disattese, e imputa alla Corte territoriale di non
avere tenuto conto della portata di dette circolari nella interpretazione dell’art. 53 del d.lgs n. 165 del
2001; assume che l’incarico espletato costituisce una carica pubblica
elettiva ovvero a questa equiparata avuto riguardo alle disposizioni contenute
negli artt. 87 e 58 del d, Igs. n. 267 del 2000
(primo e secondo motivo);

12. imputa alla Corte territoriale di non avere
considerato che l’ente presieduto da esso ricorrente aveva natura di ente
pubblico in ragione della natura pubblico amministrativa della carica conferita
al presidente del consiglio di amministrazione e aveva trascurato la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 89 del
12.3.2008 (terzo e quarto motivo);

13. il primo e il secondo motivo, da scrutinarsi
congiuntamente, sono infondati;

14. l’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001,
nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis, stabilisce che:

15. “I dipendenti pubblici non possono svolgere
incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati
dall’amministrazione di appartenenza. Con riferimento ai professori
universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei
disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei
casi previsti dal presente decreto” e aggiunge che “in caso di
inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la
responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni
eventualmente svolte deve essere versato a cura dell’erogante o, in difetto del
percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di
appartenenza del dipendente…” (c.7);

16. “Le pubbliche amministrazioni non possono
conferire incarichi retribuiti a dipendenti di altre amministrazioni pubbliche
senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei
dipendenti stessi. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti
incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione
disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento; il relativo
provvedimento è nullo di diritto. In tal caso l’importo previsto come
corrispettivo dell’incarico, ove gravi su fondi in disponibilità
dell’amministrazione conferente, è trasferito all’amministrazione di
appartenenza del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi
equivalenti (c.8);

17. “Gli enti pubblici economici e i soggetti
privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza
la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti
stessi. In caso di inosservanza si applica la disposizione dell’articolo 6, comma 1, del decreto
legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140, e successive
modificazioni ed integrazioni. All’accertamento delle violazioni e
all’irrogazione delle sanzioni provvede il Ministero delle finanze, avvalendosi
della Guardia di finanza, secondo le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive
modificazioni ed integrazioni. Le somme riscosse sono acquisite alle entrate
del Ministero delle finanze”(c.9);

18. “L’autorizzazione…deve essere richiesta
all’amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o
privati che intendono conferire l’incarico; può altresì essere richiesta dal
dipendente interessato” (c.10);

19. è stato già affermato da questa Corte, e deve
essere qui ribadito, che l’obbligo di esclusività, desumibile dal richiamato art. 53, ha particolare rilievo nel rapporto di
impiego pubblico perché trova il suo fondamento costituzionale nell’art. 98 Cost. con il quale il legislatore costituente,
nel prevedere che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della
Nazione”, ha voluto rafforzare il principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., sottraendo il dipendente pubblico
dai condizionamenti che potrebbero derivare dall’esercizio di altre attività
(fra le più recenti Cass. n. 3467/2019, n. 427/2019, che richiama Cass. n.
20880/2018, Cass. n. 28797/2017; Cass.
n.722/2017, Cass. n. 28975/2017).

20. la “ratio” che ispira la disposizione
orienta nell’interpretazione della stessa, che va compiuta tenendo conto
dell’intera disciplina dettata dalla medesima e non certo dalle circolari
richiamate dal ricorrente, che come egli stesso riconosce non costituiscono
fonti del diritto e dalle quali, diversamente da quanto prospettato nei motivi
in esame, non è nemmeno possibile ricavare alcun canone ermeutico della legge (art. 12 disposizioni sulla legge in generale);

21. il comma 7 è chiaro nel vietare al dipendente lo
svolgimento di incarichi non autorizzati e nell’affermare la rilevanza
disciplinare della violazione del divieto ed in considerazione di ciò si
giustifica il potere sostitutivo previsto dal comma 10, finalizzato a rendere
possibile l’accettazione dell’incarico autorizzabile e lo svolgimento dello
stesso, una volta ottenuta l’autorizzazione, anche in caso di inerzia del
conferente;

22. sono infondate anche le censure formulate nel
terzo motivo, con le quali il ricorrente insiste nel sostenere che nella specie
l’autorizzazione non doveva essere richiesta, avendo il legislatore equiparato
agli amministratori locali gli organi di governo delle aziende pubbliche di
servizi alla persona;

23. come già affermato da questa Corte (Cass. n.
3467 del 2019) I’ art. 7, comma
4, del d.lgs. n. 207/2001 di riordino del sistema delle istituzioni
pubbliche di assistenza e beneficenza estende ai componenti degli organi di
governo delle IPAB e delle aziende di servizi l’applicazione delle disposizioni
di cui all’art. 87 del
d.lgs. n. 267/2000 che, a sua volta, rende applicabili ai componenti dei
consigli di amministrazione delle aziende speciali, anche consortili,
“…le disposizioni contenute nell’articolo 78, comma 2,
nell’articolo 79, commi 3 e 4, nell’art. 81, nell’articolo 85 e nell’articolo 86” dello stesso
d.lgs. n. 267/2000;

24. il rinvio è inequivocabilmente limitato a
singoli istituti (obbligo di astensione, permessi retribuiti, aspettativa non
retribuita, partecipazione alle associazioni rappresentative degli enti locali,
oneri previdenziali ed assicurativi, regime fiscale) sicché deve escludersi che
il legislatore abbia inteso equiparare integralmente e a tutti gli effetti gli
organi di governo delle aziende di servizi agli amministratori degli enti
territoriali;

25. è significativo il mancato richiamo dell’art. 77 che, nel dettare
la definizione di amministratore locale, sancisce il “diritto di ogni
cittadino chiamato a ricoprire cariche pubbliche nelle amministrazioni degli
enti locali ad espletare il mandato, disponendo del tempo, dei servizi e delle
risorse necessari ed usufruendo di indennità e di rimborsi spese nei modi e nei
limiti previsti dalla legge”;

26. detto mancato richiamo assume particolare
rilievo nella soluzione della questione qui controversa perché la non necessità
dell’autorizzazione da parte del datore di lavoro pubblico trova la sua giustificazione,
quanto alle cariche negli enti locali, nel “diritto” del cittadino a
ricoprirle, diritto non esteso agli organi di governo delle IPAB e delle
aziende di servizi;

27. consegue a quanto considerato che la norma
invocata non è idonea a derogare alla disciplina specifica dettata in tema di
incompatibilità, cumulo di impieghi e di incarichi dall’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001,
sicché il rinvio va interpretato nel senso che le garanzie operano a condizione
che l’autorizzazione sia stata richiesta e concessa dall’amministrazione di
appartenenza;

28. il quinto motivo è inammissibile perché addebita
alla sentenza vizi motivazionali (motivazione insufficente e contraddittoria)
ormai estranei al perimetro del mezzo impugnatorio di cui all’art. 360 c. 1 n. 5 cod.proc.civ., nel testo
applicabile “ratione temporis” (la sentenza impugnata è stata
pubblicata il 28.12.2013), sostituito dall’art. 54 c. 1 lett. b. del d.l. 22
giugno 2012, convertito con modificazioni dalla I.
7 agosto 2012 n. 83 (Cass. SSUU 8054/2014);

29. conclusivamente il ricorso deve essere
rigettato;

30. le spese del giudizio di legittimità, nella
misura liquidata nel dispositivo, seguono la soccombenza;

31. ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115
del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, liquidate in € 6.000,00 per compensi professionali,
oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 c. 1 quater del D.P.R. n. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12626
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