Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12627

Rapporti a tempo determinato senza soluzione di continuità,
Causale solo formalmente distinta, Attività oggetto del secondo contratto a
termine, espletata anche nel periodo di svolgimento del primo rapporto, Natura
di ente pubblico non economico del datore di lavoro

 

Rilevato che

 

1. con sentenza n. 17012 del 5 ottobre 2012 questa
Corte ha accolto il ricorso proposto da F.M.M. avverso la sentenza n. 818/2009
con la quale la Corte d’Appello di Genova aveva ritenuto legittimi i rapporti a
tempo determinato intercorsi fra la ricorrente e l’Autorità Portuale di Genova,
senza soluzione di continuità, a partire dal 1° giugno 2005 e sino al 31
dicembre 2008;

2. la pronuncia rescindente ha rilevato che il
giudice di merito, per escludere la denunciata violazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 368/2001,
aveva valorizzato la sola causale indicata nei contratti, desumendone la
diversità della prestazione, e non aveva esaminato in modo adeguato la
documentazione prodotta e le deposizioni testimoniali, dalle quali emergeva che
l’attività oggetto del secondo contratto a termine era stata espletata anche
nel periodo di svolgimento del primo rapporto;

3. ha ravvisato profili di contraddittorietà della
motivazione, perché il giudice d’appello aveva finito per riconoscere che la
M., nella vigenza del contratto del 1° giugno 2005, si era occupata non solo
della promozione crocieristica, ma anche della preparazione del progetto «W.»,
in relazione al quale era stata poi nuovamente assunta il 1° giugno 2006;

4. ha cassato, pertanto, la sentenza impugnata con
rinvio alla medesima Corte territoriale «per una più approfondita valutazione
del materiale probatorio già acquisito in atti»;

5. il giudizio di rinvio è stato definito dalla
Corte d’Appello di Genova con la sentenza qui impugnata che ha dichiarato la
nullità del termine apposto al contratto del 1° giugno 2005 ed ha condannato
l’Autorità Portuale al risarcimento del danno, quantificato in misura pari a 12
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita, oltre agli
interessi legali;

6. a sostegno del decisum la Corte territoriale ha
rilevato, in sintesi, che, già in pendenza del primo rapporto, la M. aveva
svolto una significativa attività di promozione del progetto «W.», che
anticipava ciò che avrebbe costituito l’oggetto del secondo contratto, nel
quale era stata indicata una causale solo formalmente distinta da quella posta
a fondamento del primo rapporto a tempo determinato;

7. ha quindi dichiarato la nullità del termine, ma
ha escluso la fondatezza della domanda di conversione, ritenendo ostativa
all’accoglimento della stessa la natura di ente pubblico non economico del
datore di lavoro;

8. la Corte territoriale ha valorizzato, ai fini
della qualificazione dell’Autorità Portuale, l’art. 1, comma 993, della legge n.
296/2006 nonché le attività svolte, a tutela di interessi generali e senza
alcuna finalità di lucro, ed ha aggiunto che l’art. 10, comma 6, della legge n.
84/1994, come modificata dall’art.
11 della legge n. 647/1996, nel qualificare di diritto privato i rapporti
di lavoro instaurati dalle Autorità Portuali non si riferisce all’instaurazione
dei rapporti stessi, che resta regolamentata dalle disposizioni specifiche in
materia, ossia dagli artt.
30 e 35 del d.lgs.
165/2001;

9. ha conseguentemente ritenuto applicabile l’art. 36 del richiamato d.lgs.
n. 165/2001 e, in difetto di ulteriori specifiche deduzioni, ha liquidato
il danno in via equitativa quantificandolo in 12 mensilità, in ragione della
durata del rapporto e della complessiva condotta del datore di lavoro;

9. per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso M.F.M. sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria, ai quali ha
replicato l’Autorità Portuale di Genova, che ha notificato controricorso con
ricorso incidentale affidato a due motivi di doglianza, contrastati dalla M.
con tempestivo controricorso.

 

Considerato che

 

1. il primo motivo del ricorso principale,
articolato in più punti, denuncia ex art. 360 n. 3
cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 5 del d.lgs. n. 368/2001 nonché
degli artt. 1, comma 2,
e 36, comma 5, del d.lgs.
n. 165/2001 e censura la sentenza impugnata nella parte in cui,
erroneamente, ha escluso la conversione del rapporto in ragione della natura di
ente pubblico non economico dell’Autorità Portuale;

1.1. la M. richiama la legge
n. 84/1994, il d.M. 7/10/1996 e la legge finanziaria n. 296/2006 per sostenere che
il legislatore ha inteso sottrarre i rapporti di lavoro instaurati con le
Autorità Portuali dall’ambito dell’impiego pubblico, tanto che con la legge
istitutiva ha escluso l’applicazione della legge n.
70/1975 e del d.lgs. n. 29/1993 ed ha
affidato la disciplina di detti rapporti alle disposizioni del codice civile,
delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa ed a contratti
collettivi nazionali di lavoro diversi da quelli previsti per le
amministrazioni pubbliche, stipulati non dall’Aran bensì dall’associazione
rappresentativa delle Autorità e dalle organizzazioni sindacali nazionali
maggiormente rappresentative;

1.2. aggiunge che il d.M.
7/10/1996, nel dettare i criteri generali per il contratto collettivo, ha
implicitamente escluso l’applicazione dell’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001
nel rinviare alla contrattazione collettiva la disciplina anche delle modalità
di assunzione e dei criteri per la selezione del personale;

1.3. richiama, infine, giurisprudenza di questa
Corte e del Consiglio di Stato per sostenere che la sentenza del giudice
amministrativo richiamata nella decisione gravata non si è confrontata con i
precedenti citati ed ha valorizzato, per affermare la natura di ente pubblico
non economico, solo l’assenza del fine di lucro e di un regime concorrenziale,
senza tener conto «della complessità e dei molteplici profili che
caratterizzano la figura ibrida di questo ente»;

2. la seconda censura del ricorso principale,
formulata sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.
proc. civ., addebita alla Corte territoriale la violazione e falsa
applicazione dell’art. 10, comma
6, della legge n. 84/1994, dell’art. 5 del d.lgs. n. 368/2001,
dell’art. 2 del CCNL dei
Lavoratori dei Porti 1.1.2009/31.12.2012, perché non poteva il giudice
d’appello ritenere applicabile il d.lgs. n.
165/2001 a fronte dell’espressa qualificazione privatistica del rapporto
contenuta nel comma 6 dell’art.
10 della legge n. 84/1994, ribadita anche dalle parti collettive le quali,
con l’art. 2 del CCNL
richiamato in rubrica hanno previsto, oltre all’assunzione a seguito di
selezione per titoli e/o esami, anche quella per chiamata diretta;

3. con il terzo motivo la ricorrente principale
torna a dolersi della violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001,
degli artt. 10 e 6 della legge n. 84/1994 e degli artt.5 e 6 del d.lgs n. 368/2001
e sostiene, in sintesi, che nella fattispecie non poteva essere applicato il
divieto di conversione, in ragione della natura privatistica del rapporto
affermata dalla legge n. 84/1994 con la quale
le procedure previste dagli artt.
32, 33, 34 e 35 del d.lgs. n. 29/1993 sono state richiamate solo
limitatamente alla mobilità del personale;

4. la quarta critica del ricorso principale denuncia
la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della Direttiva
1999/70/CE, della clausola 5 di cui all’accordo quadro sul lavoro a tempo
determinato concluso il 18 marzo 1999 allegato alla direttiva 1999/70/CE
del consiglio del 28 giugno 1999, dell’art. 36, comma 5, di cui al
d.lgs. n. 165/2001 e dell’art.
5 d.lgs n. 368/2001» e sostiene, in sintesi, che il legislatore italiano,
nell’escludere la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in
rapporto a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni ha violato il
principio di effettività, lasciando privo di sanzione l’abuso, e pertanto la
norma di diritto interno, in quanto contrastante con quello dell’Unione, doveva
essere disapplicata dalla Corte territoriale;

4.1. la M. dopo aver richiamato, a sostegno
dell’invocata disapplicazione, l’ordinanza della
Corte di Giustizia del 12/12/2013 in causa C-50/13, Papalia, sollecita un
nuovo rinvio pregiudiziale in ordine alla compatibilità con la direttiva dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001;

5. infine con il quinto motivo la ricorrente
principale, lamentando la violazione degli artt. 5 del d.lgs. n. 368/2001, 32 della legge n. 183/2010, 18 della legge n. 300/1970 si
duole dell’inadeguatezza del risarcimento del danno e sostiene che quest’ultimo
doveva essere liquidato, per il principio di equivalenza, tenendo conto
dell’ammontare dell’indennità sostitutiva della reintegrazione, prevista per il
caso di accertata illegittimità del licenziamento, alla quale doveva essere
sommato l’importo forfettizzato di cui all’art. 32 della legge n. 183/2010
che nell’impiego privato è riconosciuto in caso di conversione del rapporto;

6. il ricorso incidentale denuncia, con il primo
motivo, «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di
discussione fra le parti ex art. 360 comma 1 n. 5
c.p.c.; diversità delle mansioni svolte tra i contratti succedutisi:
contratto dal 1.6.2005 al 1. 6.2006 e contratto dal 1.6.2006 al 31.12.2007,
prorogato al 31.12.2008» ed addebita, in sintesi, alla Corte territoriale di
non avere esaminato documentazione decisiva prodotta dalla stessa ricorrente (
documento 40 delle produzioni) dalla quale emergeva che quest’ultima, in
vigenza del primo contratto, si era occupata della promozione crocieristica,
sicuramente prevalente rispetto ai compiti segretariali svolti per l’Ufficio
speciale W.;

6.1. addebita inoltre al Giudice d’appello di avere
fatto confusione tra quest’ultimo ufficio e l’Agenzia del W., sorta solo nel
marzo del 2006, non cogliendo di conseguenza la diversità fra l’attività
preparatoria svolta prima della costituzione dell’Agenzia e quella affidata
alla ricorrente con il contratto del 29.5.2006;

7. la seconda censura del ricorso incidentale,
formulata in via subordinata, denuncia la violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001
e dell’art. 2697 cod. civ. perché il danno non
poteva essere ritenuto in re ipsa, dovendo invece essere allegato e provato da
chi assumeva di averlo subito, ed inoltre, anche a volerlo ritenere liquidabile
in via equitativa, non poteva superare l’ammontare dell’indennità prevista
dall’art. 8 della legge n.
604/1966;

8. nel rispetto dell’ordine logico-giuridico delle
questioni, occorre esaminare con priorità il primo motivo del ricorso
incidentale, con il quale l’Autorità Portuale di Genova addebita alla Corte
territoriale di avere erroneamente dichiarato la nullità dei contratti a
termine intercorsi fra le parti;

8.1. il motivo è inammissibile, perché la sentenza
impugnata è stata pubblicata il 12 settembre 2013 e la censura esorbita dai
limiti dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., come
riformulato dall’art. 54 del d.l.
n. 83/2012, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico
denunciabile per cassazione, relativo solo all’omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione
tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe
determinato un esito diverso della controversia;

8.2. nell’interpretare la disposizione in parola le
Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che « nel rigoroso rispetto delle
previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6,
e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il
ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato
omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti
esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato
oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo
qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte
le risultanze probatorie » ( Cass. S.U. n.
8053/2014);

8.3. nel caso di specie la Corte territoriale,
attenendosi alle indicazioni fornite dalla sentenza rescindente, ha valutato le
deposizioni testimoniali e la produzione documentale ed ha ritenuto provata
l’adibizione della M., nel secondo semestre del primo contratto, «ad
un’attività che non aveva più nulla a che fare con la causale del contratto
stesso ma anticipava ciò che avrebbe costituito l’oggetto del secondo contratto
(portante dunque una causale solo formalmente distinta»;

8.4. il giudice d’appello ha preso specifica
posizione sugli argomenti difensivi prospettati dall’Autorità Portuale, sia in
relazione all’asserita differenza tra Ufficio Speciale di W. e Agenzia del W.,
sia con riferimento ai documenti formati in occasione della partecipazione
della M. al Seatrade di Miami ( pag. 12 della sentenza impugnata), sicché
nessun omesso esame, rilevante ex art. 360 n. 5
cod. proc. civ., può essere addebitato alla Corte territoriale, perché
quest’ultima, non solo ha valutato il fatto storico decisivo ai fini di causa,
ossia l’attività svolta sulla base dei contratti a termine della cui
legittimità si discute, ma ha anche apprezzato tutte le risultanze probatorie,
ivi comprese quelle delle quali la ricorrente incidentale lamenta,
inammissibilmente, la mancata valorizzazione;

8.5. in realtà il motivo si risolve, in relazione a
tutti gli argomenti prospettati, in una inammissibile critica del ragionamento
decisorio seguito dalla Corte territoriale quanto agli accertamenti di fatto e
ne sollecita la revisione, non consentita in sede di legittimità;

9. il primo, il secondo ed il terzo motivo del
ricorso principale, da trattare congiuntamente in ragione della loro
connessione logico-giuridica, sono infondati;

9.1. la natura di ente pubblico non economico
dell’Autorità Portuale è stata affermata dalle Sezioni Unite di questa Corte in
recenti decisioni (Cass. S.U. n. 3733/2016 e Cass. S.U. n. 17930/2013), con le
quali è stato superato un precedente orientamento espresso dalla Sezione Lavoro
e sono stati ritenuti condivisibili gli argomenti spesi dalla giurisprudenza
amministrativa (cfr. C.d.S. n. 5248/2012 e n. 5801/2015; TAR Firenze n.
460/2017; TAR Lazio n. 7024/2016) per escludere che, a seguito del riordino del
sistema portuale, le Autorità istituite dalla legge
n. 84/1994 abbiano conservato la natura di ente pubblico economico che in
precedenza caratterizzava gli enti portuali;

9.2. con le richiamate pronunce si è osservato che
l’Autorità portuale, la quale secondo la legge istitutiva «ha personalità
giuridica di diritto pubblico ed è dotata di autonomia amministrativa …nonché
di autonomia di bilancio e finanziaria..» ( art. 6, comma 2, della legge n.
84/1994 nel testo applicabile ratione temporis), esercita «compiti e
funzioni più propriamente ascrivibili alla regolazione ed al controllo
dell’erogazione dei servizi che alla loro produzione ed allo scambio» ed
inoltre, pur operando in regime di oggettiva economicità, non persegue finalità
di lucro né opera in regime di concorrenza con soggetti privati;

9.3. le Sezioni Unite hanno, poi, sottolineato che
alla qualificazione dell’ente sulla base dei profili sostanziali, ha dato
sostegno determinante e definitivo la qualificazione formale effettuata dal
legislatore con la legge n.
296/2006, art. 1 comma 993, secondo cui «gli atti di concessione demaniale
rilasciati alle autorità portuali, in ragione della natura di enti pubblici non
economici delle autorità medesime, restano assoggettati alla sola imposta
proporzionale di registro ed i relativi canoni non costituiscono corrispettivi
imponibili ai fini dell’imposta sul valore aggiunto»;

9.4. la disposizione, lungi dall’avere un’efficacia
innovativa, più che dare una interpretazione autentica della normativa vigente,
prende atto del definitivo mutamento funzionale delle autorità portuali
nell’ambito della Pubblica Amministrazione, mutamento attuato dalla legge n. 84/1994 per ottemperare alla decisione
della Corte di Giustizia (sentenza 10.12.1991 in causa C-179/90, Merci
Convenzionali Porto di Genova s.p.a.), la quale aveva ritenuto non conforme al
diritto comunitario la mancanza di concorrenza che, nel precedente regime, si
registrava in relazione al mercato del lavoro e dei servizi portuali;

9.5. la legge n. 84/1994,
nell’individuare le competenze delle Autorità Portuali ( art. 6, comma 1 del testo
originario) e nel prevedere che le stesse « non possono in alcun caso, né
direttamente né attraverso la costituzione o la partecipazione in società,
esercitare la gestione delle operazioni portuali di cui all’art. 16, comma 1, e di ogni
altra attività strettamente connessa» ( art. 6, comma 6), opera una
scissione fra l’attività pubblicistica di amministrazione, indirizzo e
vigilanza dei servizi che si svolgono all’interno dei porti e l’attività di
gestione e di erogazione dei servizi stessi ( art. 16) e riserva agli enti di
nuova istituzione solo la prima, sottraendo ai medesimi tutti quei compiti, in
precedenza espletati dagli enti portuali, che avevano portato a ravvisare la
natura economica di questi ultimi, perché svolti con modalità ispirate al
rispetto dei criteri di imprenditorialità e di economicità propri delle imprese
private;

9.6. quella operata dalla legge n. 296/2006, poi confermata dalle modifiche
apportate all’art. 6 della legge
n. 84/1994 dal d.lgs. n. 169/2016 ( nel
testo vigente l’art. 6, comma
5, prevede che l’Autorità di Sistema Portuale è ente pubblico non economico di
rilevanza nazionale a ordinamento speciale), è dunque una qualificazione
espressa che si innesta su un quadro normativo dal quale già si doveva
desumere, sulla base degli indicatori sostanziali elaborati dalla
giurisprudenza, la natura di ente pubblico non economico delle Autorità;

10. una volta ricondotte le Autorità portuali
nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n.
165/2001 le Sezioni Unite ne hanno tratto, quale conseguenza,
l’applicabilità dell’art.
63 dello stesso decreto ed hanno affermato la giurisdizione del giudice
amministrativo sulle controversie in materia di procedure concorsuali
finalizzate alle assunzioni, ritenendo a ciò non ostativo il disposto dell’art. 10, comma 6, della legge n.
84/1994 che, nel testo modificato dal d.l. n.
535/1996, convertito dalla legge n. 647/1996,
prevede che « il rapporto di lavoro del personale delle Autorità portuali è di
diritto privato ed è disciplinato dalle disposizioni del codice civile libro V
– titolo I – capi II e III, titolo II – capo I, e dalle leggi sui rapporti di
lavoro subordinato nell’impresa. Il suddetto rapporto è regolato da contratti
collettivi nazionali di lavoro, sulla base di criteri generali stabiliti con
decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione, che dovranno tener
conto anche della compatibilità con le risorse economiche, finanziarie e di
bilancio; detti contratti sono stipulati dall’associazione rappresentativa
delle Autorità portuali per la parte datoriale e dalle organizzazioni sindacali
nazionali maggiormente rappresentative del personale delle Autorità portuali
per la parte sindacale »;

10.1. hanno osservato le Sezioni Unite che occorre
tenere distinto il momento genetico del rapporto dalla sua successiva gestione
ed hanno ritenuto che anche le Autorità portuali, quanto al reclutamento,
restano assoggettate alle regole attraverso le quali il legislatore ordinario
ha attuato l’art. 97 Cost.;

11. i richiamati principi orientano nella soluzione
della questione che qui viene in rilievo ed inducono a ritenere corretto il
giudizio espresso dalla Corte territoriale, la quale ha escluso che in caso di
illegittima apposizione della clausola di durata la nullità possa rimanere
circoscritta al solo termine ed il contratto possa dare vita ad un rapporto a
tempo indeterminato;

11.1. infatti, nei rapporti che si svolgono alle
dipendenze di Pubbliche Amministrazioni, non è sufficiente la natura
privatistica, seppure espressamente affermata dal legislatore nazionale o
regionale, per sostenere che, stante l’inapplicabilità del d.lgs. n. 165/2001, non potrebbe operare il
divieto di conversione previsto dall’art. 36 dello stesso
decreto e tornerebbe ad espandersi nella sua pienezza la disciplina dettata dal
d.lgs. n. 368/2001 anche quanto alle
conseguenze dell’illegittima apposizione del termine;

11.2. basterà al riguardo richiamare le conclusioni
alle quali questa Corte è pervenuta nel risolvere l’analoga questione che si è
posta in relazione ai rapporti di lavoro, egualmente qualificati di diritto
privato, instaurati dalle Università con i collaboratori esperti linguistici ( Cass. 21831/2014, Cass. n. 5220/2016, Cass. n.
14776/2016) e dalle Regioni con gli operai forestali ( Cass. n. 24808/2015 e Cass. n. 3805/2019),
rapporti in relazione ai quali si è esclusa la conversione, valorizzando la
natura pubblica non economica dell’ente datore di lavoro, e ponendo l’accento
sulla necessità di orientare l’esegesi della normativa speciale al rispetto dei
principi fissati dall’art. 97 Cost.;

11.3. la Corte Costituzionale, infatti, da tempo ha
evidenziato che «l’applicabilità di tali principi – pena l’elusione della norma
della Costituzione – dipende infatti dalla natura pubblica del soggetto cui il
rapporto di impiego fa capo e non dalle caratteristiche dello strumento
giuridico utilizzato per allacciarlo» ed ha aggiunto che il reclutamento nelle
amministrazioni pubbliche «non può rendersi indipendente dalla preventiva e
condizionante valutazione dell’oggettiva necessità di personale per l’esercizio
di pubbliche funzioni (sentenza n. 205 del 1996): una valutazione che, nel
rispetto del principio di legalità (sentenza n. 728 del 1988), si esprime di
norma, in relazione alle esigenze permanenti, connesse alle funzioni
istituzionali dell’ente, attraverso le procedure previste per la definizione
dell’organico e l’eventuale determinazione di nuovi posti da coprire con
dipendenti di ruolo….La carenza di una previa valutazione delle esigenze
funzionali, infatti, finirebbe per incrementare inutilmente e quindi
irragionevolmente il numero dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e
per subordinare l’interesse pubblico a quello del personale, con ciò venendosi
a determinare quell’inversione di priorità che questa Corte, in diverse
circostanze, ha già ritenuto lesiva dell’art. 97
della Costituzione (ad es., sentenze nn. 205 del 1996, 484 del 1991, 1 del
1989 e 123 del 1968, nonché, a contrario, 477 del 1995 e 250 del 1993), anche
indipendentemente dalla recente legislazione statale di principio sull’impiego
pubblico, la quale dei sopra indicati principi costituzionali costituisce una
puntualizzazione» (Corte Cost. n. 59 del 1997);

11.4. non a caso, pertanto, le Sezioni Unite di
questa Corte, con le pronunce richiamate al punto 9.1., sia pure ai soli fini
dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione, hanno tenuto distinte
gestione e genesi del rapporto, ribadendo che quest’ultima non si sottrae ai
medesimi principi che valgono per l’impiego pubblico contrattualizzato;

11.5. d’altro canto già Cass. n. 13729/2000, pur
qualificando (erroneamente per quanto sopra evidenziato) l’Autorità Portuale
ente pubblico economico, aveva affermato che l’assunzione presso la stessa
richiedeva la previa adozione della pianta organica, deliberata nel rispetto
dei requisiti e delle forme richieste dall’art. 9, comma 3, lett. i), e ne
aveva tratto come conseguenza la nullità dei contratti di lavoro stipulati in
contrasto con la disciplina di riordino del sistema portuale;

11.6. in via conclusiva si deve ritenere che le
medesime ragioni che stanno alle base dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001
impediscano l’instaurazione di stabili rapporti di lavoro con le Autorità
Portuali che non tengano conto dell’effettivo fabbisogno di personale, delle
esigenze finanziarie dell’ente pubblico non economico, della necessaria pubblicità
delle forme di reclutamento, cioè degli interessi pubblici e dei principi
consacrati dall’art. 97 Cost., che ostano
all’invocata conversione del rapporto a termine, affetto da nullità, in
contratto a tempo indeterminato;

11.7. una diversa interpretazione della normativa
speciale dettata in tema di rapporto di impiego dalla legge n. 84/1994, nelle diverse versioni
succedutesi nel tempo, esporrebbe la stessa alla censura di incostituzionalità,
non solo per contrasto con il più volte richiamato art.
97 Cost., ma anche perché del tutto ingiustificata risulterebbe la
diversità di trattamento rispetto ai dipendenti delle altre Pubbliche
Amministrazioni;

12. il divieto di conversione non può essere
ritenuto incompatibile con il diritto dell’Unione, perché la Corte di Giustizia
da tempo ha affermato che la clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva
1999/70/CE non osta ad una normativa nazionale che vieta la trasformazione
del rapporto, purché sia prevista altra misura adeguata ed effettiva,
finalizzata ad evitare, e se del caso a sanzionare, il ricorso abusivo alla
reiterazione del contratto a termine (Corte di
Giustizia 12 dicembre 2013, C-50/13, Papalia; 7 settembre 2006, C-53/03,
Marrosu e Sardino; 7 settembre 2006, C-180/04, Vassallo; 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler);

12.1. le Sezioni Unite di questa Corte si sono
quindi fatte carico di fornire un’interpretazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001
che armonizzi la disposizione con i principi affermati dalla Corte di
Lussemburgo ed hanno statuito che « in materia di pubblico impiego
privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la
misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs.
n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività
della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE
(ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome
incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo,
può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della I. n. 183
del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile
come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo,
salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una
posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico,
atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile,
per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito.» (Cass.
S.U. 15.3.2016 n. 5072);

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12627
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