Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12721

Dipendenti beneficiari di un trattamento di previdenza,
Sistema dei fondi a capitalizzazione, Stipendio tabellare inclusivo
dell’indennità integrativa speciale, Rivalutazione annuale del fondo, Non
sussiste

 

Rilevato
che

 

1. con sentenza n. 6030/2014, depositata in data 20
dicembre 2014, la Corte di appello di Napoli confermava la decisione con cui il
Tribunale di Avellino aveva respinto il ricorso proposto C.C., A.F., A.V.
(dipendenti della Camera di Commercio Industria e Artigianato ed Agricoltura di
Avellino, all’epoca del ricorso di primo grado ancora in servizio) per ottenere
la corretta rideterminazione del proprio fondo di previdenza a capitalizzazione
con rivalutazione ab initio degli stipendi tabellari in godimento negli esatti
termini indicati dal c.c.n.I. e con la capitalizzazione degli altri emolumenti
quiescibili per il periodo di effettivo percepimento e per gli importi
percepiti;

2. i suddetti dipendenti, beneficiari di un
trattamento di previdenza con il sistema dei ‘fondi a capitalizzazione’, basato
sulla trasformazione in capitale dei contributi a carico dell’Ente e delle
ritenute mensili a carico dei dipendenti, avevano fondato la pretesa sull’art.
1 della I. 72 del 1951 come autenticamente interpretata dall’art. 12 d.l. n. 9 del 1993 e sull’art. 29 del c.c.n.I. del 2004
dettante la nozione di retribuzione tabellare da prendere a riferimento ai fini
della rivalutazione del fondo (da effettuarsi di volta in volta in
corrispondenza delle variazioni negli stipendi) ed avevano sostenuto che, anche
per gli anni precedenti al 2003, la rivalutazione annuale del fondo dovesse
essere effettuata avuto riguardo allo stipendio tabellare inclusivo
dell’indennità integrativa speciale (inglobata nel primo in seguito all’entrata
in vigore di detto c.c.n.I.);

3. rilevava la Corte territoriale che l’art. 1 della
I. 1951 del 1972, come autenticamente interpretato dall’art. 12 d.l. n. 9 del 1993, avesse escluso la
rivalutazione dell’indennità integrativa speciale in quanto tale norma, avendo
carattere interpretativo e non innovativo, limitava sostanzialmente allo
stipendio tabellare la base di calcolo per la rivalutazione del fondo a
capitalizzazione e che solo con il c.c.n.I. del 2004 l’i.i.s. non avesse
costituito voce accessoria venendo a far parte integrante ed unitaria dello
stipendio tabellare, non potendo perciò incidere sulla rivalutazione del fondo
per gli anni precedenti;

riteneva, pertanto, che correttamente la Camera di
commercio, fino al gennaio 2003, avesse proceduto ad accantonare nel fondo gli
importi dell’indennità integrativa speciale, all’epoca voce distinta dallo
stipendio tabellare, così come percepiti, senza rivalutarli, e dopo tale data
avesse effettuato la rivalutazione del fondo sulla base dello stipendio
tabellare comprensivo dell’indennità conglobata;

sosteneva che valesse anche per i fondi a capitalizzazione
la disposizione di cui all’art. 30
del c.c.n.I. del 2004 laddove prevedeva che il conglobamento dell’i.i.s.
nello stipendio tabellare non modificava le modalità di determinazione della
base di calcolo in atto del trattamento pensionistico, indicazione che non
poteva che valere anche ai fini della rivalutazione del fondo in esame;

evidenziava che in nessuna parte del c.c.n.I. del
2004 fosse prevista la computabilità ai fini della rivalutazione dei fondi di
previdenza della voce i.i.s. conglobata;

4. avverso tale sentenza i dipendenti hanno proposto
ricorso per cassazione con tre motivi;

5. la Camera di Commercio ha resistito con
controricorso;

6. entrambe le parti hanno depositate memorie.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della I. n. 72 del 1951 come
autenticamente interpretato dall’art. 12, comma 15, d.l. n. 8 del
1993 conv. in I. n. 68 del 1993 nonché
dell’art. 29 c.c.n.I. 22 gennaio
2004, manifesta irrazionalità e violazione dei principi di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di imparzialità dell’azione
amministrativa (art. 97 Cost. e I. n. 241 del 1990 e s.m.i.), omesso esame di un
fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti;

sostengono che la norma di interpretazione autentica
non porta affatto ad affermare che dalla rivalutazione dello stipendio debbano
essere escluse le eventuali quote di indennità integrativa nello stesso
conglobate ma solo a ritenere che l’indennità integrativa corrisposta quale
voce accessoria dello stipendio non deve essere rivalutata;

assumono che il legislatore non ha mai inteso
affermare che l’i.i.s., ove conglobata nello stipendio tabellare, debba essere
da questo detratta ai fini della rivalutazione ex I. n. 72 del 1951;

rilevano che la Corte territoriale ha anche omesso
di valutare l’applicazione corretta posta in essere dallo stesso Ente che aveva
già nel passato operato la rivalutazione sullo stipendio tabellare ‘a regime’
(ossia comprensivo dell’i.i.s. conglobata) riportato ‘ab initio’, ciò su
indicazione dello stesso Ministero del Commercio, Industria e Agricoltura;

2. con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione e falsa applicazione dell’art. 30 c.c.n.I. 22 gennaio 2004,
erronea qualificazione giuridica del fondo a capitalizzazione;

sostengono che la Corte territoriale ha erroneamente
attribuito al fondo a capitalizzazione natura di trattamento pensionistico
laddove si tratta di retribuzione differita avente una disciplina speciale, con
la conseguenza che alla fattispecie non è applicabile l’art. 30 del c.c.n.I. riferito ai
trattamenti pensionistici;

3. con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione e falsa applicazione dell’art. 48, comma 4, del d.lgs.
n. 165 del 2001, violazione e falsa applicazione dell’art. 82 del d.l. 12
luglio 1982, manifesto travisamento della norma e comunque violazione dei
principi di buona fede e correttezza di cui agli artt.
1175 e 1375 cod. civ.;

criticano la sentenza impugnata laddove ha ritenuto
che non vi fosse alcuna traccia nel c.c.n.I. della copertura economica del
maggior onere che si sarebbe determinato accogliendo la tesi dei ricorrenti e
che non risultasse disposta nelle forme prescritte l’autorizzazione a tale
maggiore spesa;

rilevano che l’indicazione dei mezzi di copertura
deve essere oggetto di bilancio previsionale delle Camere di Commercio e non
essere contenuta nel c.c.n.I. e che la mancata autorizzazione di spesa
dipendeva, nello specifico, dal comportamento omissivo dell’Ente, contrario
alla buona fede che deve caratterizzare il rapporto di lavoro;

4. il ricorso è infondato per le ragioni di seguito
illustrate;

4.1. si discute, nel caso di specie, della esatta
determinazione dei fondi a capitalizzazione del personale della Camera di
Commercio che, alimentati con accantonamenti nel corso della vita lavorativa,
diventano, al momento della cessazione del rapporto, trattamento di quiescenza;

il meccanismo di rivalutazione di tali fondi è stato
previsto dall’art. 1 della legge 7 febbraio 1951, n. 72 che ha stabilito che:
«Le Camere di commercio, industria ed agricoltura provvedono ad effettuare la
rivalutazione dei fondi per il trattamento di quiescenza dovuto al personale
dei ruoli previsti dal regio decreto-legge 3 settembre 1936, n. 1900,
convertito in legge, con modificazione, con legge numero 1000 del 3 giugno
1937, sulla base degli stipendi attuali, aumentati ai sensi dell’art. 3 della
legge 29 aprile 1949, n. 221, e successive variazioni. Detta rivalutazione sarà
fatta, anno per anno, in base alle aliquote complessive applicate per la
formazione dei predetti fondi di quiescenza, con i rispettivi interessi legali
annui»;

la ratio della norma è stata, dunque, quella di
prevedere un sistema di ricalcolo, o rivalutazione a ritroso, del fondo
individuale di quiescenza, a quel tempo sicuramente indispensabile in assenza
di altro istituzionale meccanismo legislativo di adeguamento dei relativi
valori alla svalutazione della lira;

l’art. 3 della legge 29 aprile 1949, n. 221
(richiamato dall’art. 1 della I. n. 72 del 1951) è stato, poi, abrogato
dall’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 11 gennaio 1956, n. 20;

4.2. l’indicato art. 1 è stato interpretato
autenticamente dall’art. 12,
comma 15, del d.l. 18 gennaio 1993, n. 8, convertito nella legge 19 marzo 1993, n. 68, secondo cui: «L’art. 1
della legge 7 febbraio 1951, n. 72, si interpreta nel senso che l’indennità
integrativa speciale, nonché ogni altro emolumento quiescibile accessorio allo
stipendio tabellare, ad eccezione della retribuzione individuale di anzianità,
sono inclusi nei fondi di previdenza a capitalizzazione a decorrere dalla data
della loro istituzione e fino alla data della loro soppressione e sostituzione,
ovvero del loro assorbimento e per gli importi effettivamente percepiti dagli
interessati, con esclusione della rivalutazione di cui all’articolo stesso»;

4.3. il comma 9 dell’art. 3 del d.l. 23
settembre 1994, n. 547, convertito nella legge
22 novembre 1994, n. 644, ha poi disposto che: «Ai sensi dell’articolo 1
della legge 7 febbraio 1951, n. 72, l’indennità integrativa speciale si intende
inclusa nei fondi di previdenza a capitalizzazione, con esclusione della
rivalutazione di cui al medesimo articolo 1, a decorrere dal 16 marzo 1970, per
gli importi di cui all’articolo 2 della legge 26 luglio 1965, n. 965, e
successive modifiche, ed a decorrere dal 1° gennaio 1972, per gli importi
effettivamente percepiti dagli interessati»;

l’indicata data del 16 marzo 1970 corrisponde a
quella del Regolamento – tipo, approvato con d.m. 16 marzo 1970 – in base
all’espressa previsione dell’art. 3, secondo comma, della legge 23 febbraio 1968,
n. 125 ‘Nuove norme concernenti il personale delle Camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura’ – che, secondo la ricostruzione posta in
rilievo nella giurisprudenza amministrativa (v. Cons. St., sez. VI, 11 gennaio
2016, n. 48; Cons. St., sez. VI, 15 novembre 2006,
n. 6718), dopo aver previsto il mantenimento del trattamento di quiescenza
con il sistema dei fondi di previdenza a capitalizzazione di cui alla legge n.
72 del 1951, per il personale già destinatario di tale trattamento che non
avesse optato per l’iscrizione alla C.P.D.E.L., ha introdotto una specifica
disciplina di esso (specificando che i fondi di previdenza a capitalizzazione
precostituiti in base ai preesistenti regolamenti “si intendono formati,
dalla data di entrata in vigore del Regolamento approvato con d.m. 16 marzo
1970 mediamente contributo a carico della Camera di commercio, industria,
artigianato e agricoltura pari al 17,70% del trattamento economico pensionabile
e un contributo a carico del dipendente pari al 5,30% del citato
trattamento”, restando l’amministrazione degli stessi affidata “ad
una gestione speciale, denominata ‘Cassa di previdenza’ – art. 80 – sottoposta
alla vigilanza di una apposita Commissione – art. 81 – e dotata di regole che
ne disciplinano l’incremento ed il funzionamento” (al citato d.m. 16 marzo
1970 hanno fatto, poi, seguito il d.i. 2 marzo 1981, il d.i. 12 luglio 1982, il
d.P.R. 31 maggio 1984, n. 665 dettante nuove norme per il personale dipendente
delle Camere di commercio, la I. 29 dicembre 1993, n. 580 ‘Riordinamento delle
camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura’, poi modificata dal d.lgs. n. 23 del 2010);

l’art. 2 della legge 26 luglio 1965, n. 965, egualmente
richiamato dall’art. 3, comma
9, del d.l. n. 547 del 1994, prevedeva che: «Tra gli emolumenti costitutivi
della retribuzione annua contributiva degli iscritti alla Cassa per le pensioni
ai dipendenti degli Enti locali e alla Cassa per le pensioni agli insegnanti di
asilo e di scuole elementari parificate è da comprendere, con effetto dal 1°
luglio 1965, l’indennità integrativa speciale eventualmente concessa con
l’estensione delle norme contenute nell’articolo 1, I. 27 maggio 1959, n.
324 e successive modificazioni, limitatamente, però, ad un importo in
nessun caso eccedente lire 50.000» (tale norma è stata abrogata dall’art. 1 del d.lgs. 13 dicembre 2010,
n. 212; successivamente, l’efficacia è stata ripristinata dall’articolo 2, comma 50, del d.l. 29
dicembre 2010, n. 225);

4.4. la norma di interpretazione autentica di cui al
sopra citato art. 12, comma
15, del d.l. n. 8 del 1993 è stata dichiarata costituzionalmente legittima
dalla Corte cost. nella sentenza n. 311 del 1995 che ha escluso ogni contrasto
della stessa con gli artt. 3, 24, 38, 53, 101, 102 e 104 della
Costituzione;

in particolare il giudice delle leggi ha
evidenziato, quanto alla sollevata questione della disparità di trattamento tra
i dipendenti che avevano goduto della rivalutazione sulla base dei principi
affermati dalla giurisprudenza e quelli che, in forza della nuova disposizione,
si vedevano rivalutare solo lo stipendio tabellare, che non può contrastare con
il principio di uguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa
categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, perché lo stesso fluire
di questo costituisce di per sé un elemento diversificatore ed altresì
richiamato il già affermato principio secondo cui la determinazione della base
retributiva, utile ai fini del trattamento di quiescenza, appartiene alla
discrezionalità del legislatore cui spetta il potere di disporre circa la
misura e le modalità di tale trattamento (discrezionalità che, nella specie era
stata usata entro i limiti consentiti, introducendosi un elemento di razionalizzazione
del sistema pensionistico);

4.5. il chiaro tenore testuale delle indicate
disposizioni è tale da far ritenere che il legislatore, pur avendo previsto
l’inclusione dell’indennità integrativa speciale nei fondi di previdenza a
capitalizzazione (con il sistema di quantificazione degli importi variamente
determinato nei termini sopra evidenziati), tuttavia ha escluso che alla stessa
potesse applicarsi il meccanismo di rivalutazione previsto dal medesimo art. 1
per lo stipendio tabellare;

come si evince anche dalla ricordata sentenza della
Corte costituzionale, una cosa è la costituzione/formazione del fondo (art. 78
del Regolamento d.m. 16 marzo 1970) alimentato da contributi dell’ente (pari,
come sopra evidenziato, al 17,70% del trattamento economico pensionabile) e del
dipendente (pari al 5,30% del citato trattamento) e della relativa
individuazione delle voci retributive pensionabili su cui applicare le riferite
aliquote al fine di costituire la base imponibile, che è operazione la quale si
pone come antecedente logico necessario ai fini della quantificazione del
credito da rivalutare; altra cosa è invece la rivalutazione dello stesso ai
sensi della I. n. 72 del 1951, che consiste nel considerare come corrisposto
nel passato lo stipendio percepito alla data della cessazione dall’impiego del
dipendente per poi applicare da parte del solo ente camerale l’aliquota di
contribuzione complessiva del 23% (si veda anche, nel medesimo senso, Cons.
St., sez. VI, 29 aprile 2005, n. 2032);

4.6. in conseguenza, come già affermato dal giudice
amministrativo, con orientamento qui condiviso, ai sensi dell’art. 12, comma 15, del d.l. n. 8
del 1993, conv. dalla I. n. 68 del 1993,
l’indennità integrativa speciale deve essere inclusa nei fondi di previdenza a
capitalizzazione a decorrere dalla data della loro istituzione e fino a quella
della loro soppressione e sostituzione, ovvero del loro assorbimento e per gli
importi previsti dal legislatore, anche se non è soggetta a rivalutazione di
cui alla I. n. 72 del 1951 (Cons. St., sez. VI, 21 settembre 2006, n. 5550;
Cons. St., Sez. VI, 29 ottobre 2004, n. 7040; Cons. St., Sez. VI, 14 aprile
1999, n. 436);

4.7. né risulta condivisibile la tesi dei ricorrenti
secondo la quale la previsione legislativa porterebbe solo a ritenere che
l’indennità integrativa corrisposta quale voce accessoria dello stipendio non
deve essere rivalutata perché tale interpretazione espunge dal contesto normativo
una previsione che ha una logica solo letta nell’ambito dello stesso, come
risulta evidente dal richiamo al sistema di rivalutazione di cui all’art. 1 e
cioè proprio al meccanismo previsto per il trattamento di quiescenza;

4.8. ciò del resto è del tutto coerente con le
disposizioni di cui alla contrattazione collettiva (delle “Regioni e delle
Autonomie locali”, applicabile anche al personale delle Camere di
Commercio) che, fino al c.c.n.I. del 22 gennaio
2004, non ha incluso l’indennità integrativa speciale tra le voci dello
stipendio tabellare;

4.9. ed infatti il c.c.n.I. del 6 luglio 1995, all’art. 28,
distingueva lo stipendio tabellare corrispondente alla posizione rivestita
nell’ambito del sistema classificatorio rispetto ad altre voci quali la
retribuzione individuale di anzianità, l’indennità integrativa speciale, i
compensi per lavoro straordinario ecc.;

egualmente in sede di dichiarazione congiunta n. 16
relativa al c.c.n.I. del 14 settembre 2000 era
stato previsto che: «Le parti concordano nel ritenere che la dizione
‘trattamento tabellare iniziale’ utilizzata nell’art. 50 deve essere riferita
alla nozione di retribuzione di cui all’art. 52, comma 2, lett. a)» e cioè alla
«Retribuzione mensile che è costituita dal valore economico mensile previsto
per la posizione iniziale di ogni categoria (Al, Bl, Cl, DI) nonché per le
altre posizioni d’accesso previste nelle categorie B e D (B3 e D3)»;

4.10. solo con il c.c.n.I. del 22 gennaio 2004,
all’art. 29, comma 3, è stato previsto che: «A decorrere dal 1 gennaio
2003, l’indennità integrativa speciale (U.S.), di cui alla tabella C allegata
al c.c.n.I. del 14.9.2000, cessa di essere
corrisposta come singola voce della retribuzione ed è conglobata nella voce
stipendio tabellare; detto conglobamento non ha effetti diretti o indiretti sul
trattamento economico complessivo fruito dal personale in servizio all’estero
in base alle vigenti disposizioni»;

4.11. si consideri, del resto, che l’indennità
integrativa speciale – istituita con la legge 27
maggio 1959, n. 324 che ne aveva determinato la misura iniziale, soggetta
annualmente ad un adeguamento periodico con decreto del Ministro del Tesoro,
sulla base dei punti di variazione del costo della vita accertati dall’ISTAT,
quindi divenuta, con successivi provvedimenti, semestrale (legge 21 luglio
1975, n. 364) e poi trimestrale (legge 6 dicembre 1979, n. 334), poi con d.P.R. 10 febbraio 1986, n. 13 tornata semestrale
e ciò fino al 10 maggio 1992 quando il meccanismo di indicizzazione delle
retribuzioni è stato definitivamente soppresso, congelando la misura fino a
quel momento maturata, residuata da quella che era già stata conglobata negli
stipendi dei pubblici dipendenti (legge 28 febbraio 1990, n. 37 di conversione
del decreto-legge 27 dicembre 1989, n. 413) – ha perduto nel tempo la sua
connotazione originaria, per assumere definitivamente un carattere retributivo,
che già era stato preannunciato dalla parziale corresponsione della medesima
sulla 13ma mensilità (dall’anno 1976, sempre in applicazione di quanto disposto
dalla legge 21 luglio 1975, n. 364);

4.12. proprio in conformità all’indicata evoluzione
dell’istituto, mentre il c.c.n.I. comparto Autonomie
del 6 luglio 1995 e quello del 14 settembre 2000
menzionavano ancora l’indennità integrativa speciale come componente a sé
stante della retribuzione rispetto allo stipendio tabellare, il c.c.n.I. del 22 gennaio 2004 (normativo 2002 –
2005 economico 2002 – 2003) ha, come detto, indicato (con disposizione tenuta
ferma dai successivi c.c.n.I.) che l’importo dell’indennità integrativa
speciale concorre a formare lo stipendio tabellare così assumendo piena natura
retributiva, scomparendo come voce a sé stante e perdendo la sua iniziale
funzione di adeguamento al costo della vita (Cass. 18 ottobre 2019, n. 26617);

4.13. è, dunque, la mutata natura dell’indennità
integrativa speciale che spiega la previsione pattizia senza che ciò determini
alcun effetto ab initio, per il periodo in cui l’indennità integrativa speciale
aveva natura del tutto diversa sì da giustificare la scelta effettuata dal
legislatore, nel dettare le regole di adeguamento del fondo, di escluderla dal
meccanismo di rivalutazione previsto ai fini del trattamento di quiescenza;

4.14. quindi per gli anni precedenti agli effetti
del c.c.n.I. del 2004 (e cioè per il periodo
decorrente dall’inclusione dell’indennità integrativa speciale nei fondi di
previdenza a capitalizzazione fino al 2002) lo ‘stipendio attuale’ (ex art. 1
I. n. 72 del 1951) da rivalutare non può che essere quello depurato
dell’indennità integrativa speciale;

per dette annualità non può, infatti, esistere un
valore attuale dell’i.i.s. da riportare all’indietro secondo il meccanismo
della rivalutazione che opera anno per anno;

5. tanto basta ad escludere la fondatezza della
pretesa, mentre non è necessario vagliare la validità delle ulteriori
considerazioni dei ricorrenti circa l’eventuale differente pregresso comportamento
dell’Ente, la dedotta inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 30 del c.c.n.I. del 2004 (in
dipendenza dell’asserita natura non previdenziale ma retributiva del fondo di
previdenza a capitalizzazione) e la contrarietà a buon fede del comportamento
dell’Ente in relazione alla mancata autorizzazione di spesa;

6. sulla base delle considerazioni che precedono il
ricorso deve essere respinto;

7. la regolamentazione delle spese segue la
soccombenza;

8. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo risultante dalla I. 24
dicembre 2012, n. 228, ricorrono le condizioni previste dalla legge per il
raddoppio del contributo unificato.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio
di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per
compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario in
misura del 15%.

Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma
1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo prescritto a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

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