Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 giugno 2020, n. 18311
Falsa attestazione del pagamento di indennità di maternità
favore di una dipendente, Compensazione della somma con i debiti nei confronti
dell’ente previdenziale, Truffa ai danni dell’Inps, Condotta contestata,
riqualificata come indebita compensazione, Non sussiste, Indebita percezione
di erogazioni a danno dello Stato, Ipotesi, Elargizione precipua di una somma
di danaro ma anche concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma dagli
stessi dovuta
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Catania, con sentenza
predibattimentale, riqualificava la condotta contestata ai ricorrenti,
ritenendo che la stessa non integrasse una truffa ai danni dell’INPS, ma fosse
invece inquadrabile nell’art. 10 quater
D.lgs n. 74 del 2000, reato non procedibile per mancato raggiungimento
della soglia di punibilità. Si contestava agli imputati di avere attestato
falsamente il pagamento di indennità di maternità favore di una dipendente,
compensando tale somma, di fatto non versata, con i debiti ventati nei
confronti dell’ente previdenziale.
2. Avverso tale sentenza proponeva appello il
pubblico ministero presso il Tribunale di Catania, impugnazione convertita in
ricorso per cassazione dalla Corte di appello in ragione della inappellabilità
del provvedimento impugnato; Si deduceva:
2.1. violazione di legge per erronea qualificazione
della condotta: questa avrebbe dovuto essere inquadrata nella fattispecie prevista
dall’art. 316 ter cod. pen. dato che mancavano
gli elementi della truffa; in particolare erano assenti sia gli artifici e
raggiri, essendosi la condotta risolta nella presentazione all’INPS di
attestazioni non sottoposte ad alcun controllo da parte dell’ente ricevente,
sia il danno patrimoniale, tenuto conto la dichiarazione di avere adempiuto al
pagamento dell’indennità di maternità sollevava l’INPS dall’obbligo di
adempiere tale prestazione. Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale la
condotta contestata non poteva essere inquadrata neanche nella fattispecie
prevista dall’art. 10 quater del
d.lgs 74 del 2000 che si riferiva alle compensazione
“tributarie”, ma non era applicabile agli oneri previdenziali.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
1.1. Il collegio ritiene di confermare
l’interpretazione secondo cui integra il delitto di indebita percezione di
erogazioni a danno dello Stato ex art. 316-ter cod.
pen., e non quelli di truffa o di appropriazione indebita o di indebita
compensazione ex art. 10-quater
D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, la condotta del datore di lavoro che, esponendo
falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità per
malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottiene
dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con
quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così
percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni
(Sez. 2, n. 15989 del 16/03/2016 – dep. 19/04/2016, P.M. in proc. Fiesta, Rv.
266520; Sez. 2, n. 48663 del 17/10/2014 – dep.
24/11/2014, P.M. in proc. Talone, Rv. 261140; Sez. 2, n. 15989 del
16/03/2016 – dep. 19/04/2016, P.M. in proc. Fiesta, Rv. 266520; Sez. 2, n.
51334 del 23/11/2016 – dep. 01/12/2016, P.G. in proc. Sechi, Rv. 268915; n.
51845 del 2014 non mas) di per sè indebita delle erogazioni, senza che vengano
in rilievo particolari destinazioni funzionali. È stato infatti affermato che
“nel concetto di conseguimento indebito di una erogazione da parte di enti
pubblici rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili a tali enti,
non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di danaro ma pure
attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma agli stessi
dovuta, perché anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio
e beneficio economico che viene posto a carico della comunità” (Cass SS.UU
n. 7537 del 2011 – Rv. 249104). Nel caso di specie il datore di lavoro,
mediante la fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore a titolo di
indennità per maternità ha ottenuto dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme,
in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute all’istituto previdenziale
a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo
indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni. Non può
pertanto che ribadirsi il principio già affermato nella sentenza n. 48663 del 2014 secondo il quale
“integra il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello
Stato di cui all’art. 316 ter cod. pen., la
condotta del datore di lavoro che, mediante la fittizia esposizione di somme
corrisposte al lavoratore a titolo di indennità per malattia o maternità o
assegni familiari, ottiene dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà
non corrisposte, con quelle da lui dovute all’istituto previdenziale a titolo
di contributi previdenziali e assistenziali, cosi percependo indebitamente
dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni”.
1.2. Nel caso in esame si contestata appunto
l’allegazione di prestazioni inesistenti relative ad indennità di maternità non
versate portate illecitamente a conguaglio: la condotta deve dunque essere
inquadrata nella fattispecie prevista dall’art. 316 ter cod. pen.
P.Q.M.
Qualificato il fatto come violazione dell’art. 316 ter cod. pen. annulla la sentenza
impugnata con rinvio al Tribunale dei Catania.
Si dà atto che il presente provvedimento è
sottoscritto dal solo Presidente del collegio per impedimento dell’estensore ai
sensi dell’art. 1 comma 1 lett. a)
del d.p.c.m. 8 marzo 2020