Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12720
Ricercatore universitario, Trattamento economico
corrispondente, Differenze retributive, Natura subordinata delle prestazioni
rese, Applicabilità del d.l. n. 2/2004 anche ai collaboratori di lingua
italiana, impiegati nei corsi dedicati agli stranieri
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Lecce, adita con appello
principale dall’Università del Salento e con impugnazione incidentale da
R.A.U., con la sentenza non definitiva del 10 dicembre 2012 ha accolto
parzialmente entrambe le impugnazioni e, esclusa la giurisdizione del giudice
ordinario per il periodo 5 novembre 1992/31 dicembre 1993, ha riformato in
parte la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato il diritto
della ricorrente al trattamento economico corrispondente a quello del
ricercatore confermato a tempo definito ed aveva condannato l’Università al
pagamento delle differenze retributive maturate dal 3 giugno 1998, oltre agli
interessi legali ed alla rivalutazione monetaria, nonché ad effettuare la
regolarizzazione della posizione contributiva;
2. la Corte territoriale ha ritenuto applicabile
alla fattispecie l’art. 1 del d.l. n. 2/2004 in quanto riferibile all’intera
categoria dei collaboratori ed esperti linguistici, a prescindere dalla loro
nazionalità ed anche se dipendenti da Università diverse rispetto a quelle
indicate nella disposizione;
3. ha affermato l’unicità del rapporto sin dall’anno
accademico 1994-1995, ed a tal fine ha valorizzato la mancata contestazione sul
tipo di attività svolta dalla dipendente, e, sempre sulla base del principio di
non contestazione, ha ritenuto la natura subordinata delle prestazioni rese in
forza di contratti stipulati ex art. 2222 cod. civ.
traendone come conseguenza, il diritto dell’appellante incidentale a percepire
per le 340 ore lavorate formalmente quale lavoratrice autonoma (160 ore
complessive per i tre contratti dell’anno accademico 2000/2001 e 180 ore
nell’anno accademico 2005/2006) una retribuzione parificata a quella del
ricercatore confermato a tempo definito;
4. il giudice d’appello ha ritenuto che la U. non
potesse rivendicare l’indennità prevista dall’art. 32 della legge n. 183/2010
perché la stessa presuppone la conversione del contratto a termine in rapporto
a tempo indeterminato mentre nella fattispecie era stata solo dichiarata la
«unificazione di contratti ex art. 2222 cod. civ.»;
5. infine ha escluso il cumulo di interessi legali e
rivalutazione monetaria sulle somme da quantificare all’esito di consulenza
tecnica d’ufficio disposta con separata ordinanza;
6. con la sentenza definitiva del 25 luglio 2014 la
Corte territoriale ha condannato l’Università al pagamento della somma di €
26.374,38, comprensiva di interessi legali sino al 6 giugno 2014, nonché della
contribuzione previdenziale dovuta, ed ha precisato in motivazione che
l’importo da versare all’appellante incidentale doveva intendersi al netto
degli oneri contributivi;
7. per la cassazione della sentenza R.A.U. ha
proposto ricorso affidato a nove motivi, ai quali ha replicato l’Università del
Salento, che a sua volta ha proposto ricorso incidentale sulla base di tre
censure, contrastate dalla U. con controricorso;
8. l’INPS ha depositato procura apposta in calce
alla copia notificata del ricorso principale.
Considerato che
1. con il primo motivo del ricorso principale è
eccepita la nullità parziale della sentenza definitiva per contraddittorietà
della motivazione, rilevante ex art. 132 cod. proc.
civ., in quanto la Corte territoriale, nel fare propria la seconda ipotesi
prospettata dal CTU, non ha chiarito se la scelta operata si riferiva alle due
diverse soluzioni richiamate a pag. 8 della motivazione o a quelle alle quali
era stato fatto cenno al punto 4 di pag. 9 e pertanto la sentenza appare
contraddittoria quanto alla questione relativa alla possibilità per il datore
di lavoro di trattenere i contributi a carico del dipendente in caso di
pagamento tardivo;
2. la seconda censura, formulata in via subordinata,
addebita alla Corte territoriale la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 23 della legge n. 218/1952
perché nei casi di inadempimento del datore di lavoro all’obbligo di versare i
contributi nei termini previsti dalla legge, l’obbligazione grava unicamente
sul datore il quale non può rivalersi nei confronti del lavoratore;
3. con la terza critica, ricondotta al vizio di cui
all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la
ricorrente principale si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 345 e 378 cod. proc. civ. e, richiamate le conclusioni
del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, sostiene che era stata
formulata domanda di condanna generica al pagamento delle differenze
retributive e, pertanto, la Corte d’appello non poteva di sua iniziativa
liquidare la somma asseritamente dovuta;
3.1. aggiunge che con l’atto di appello era stata
sollecitata l’ammissione di una consulenza tecnica, ma la richiesta doveva
intendersi limitata al corrispettivo dovuto per le 340 ore lavorate sulla base
di contratti formalmente qualificati di lavoro autonomo;
4. il quarto motivo del ricorso principale denuncia
la violazione, sotto altro profilo, degli artt. 112,
345 e 378 cod.
proc. civ. e sostiene che l’oggetto dell’intero giudizio di appello era
stato limitato dalle parti esclusivamente alla determinazione ed al pagamento
delle ulteriori 340 ore prestate in aggiunta all’orario previsto per il
collaboratore e, quindi, la Corte territoriale non poteva provvedere alla
quantificazione delle differenze retributive già riconosciute in virtù della
sentenza generica di primo grado;
5. con la quinta censura la U. si duole della
violazione della legge n. 335/1995 e dell’art. 2120 cod. Civ. e deduce che ha errato il
consulente tecnico nell’individuazione dell’aliquota a carico del lavoratore,
fissata all’8,75%, anziché nella misura dell’8,89%;
5.1. aggiunge che l’ammontare della ritenuta
risultava dalle buste paga in atti ed era stata sempre operata dall’Università,
in considerazione della natura privatistica del rapporto di lavoro, tenendo
conto della disciplina vigente per i lavoratori assicurati presso l’Inps, non
già per i dipendenti pubblici iscritti all’Inpdap;
6. il sesto motivo denuncia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 195 cod. proc. civ.
perché il consulente tecnico d’ufficio ha depositato l’elaborato peritale senza
comunicarlo preventivamente alle parti o ai loro consulenti e, quindi, senza
acquisire le loro osservazioni;
7. la settima critica del ricorso principale
addebita alla Corte territoriale la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della legge n. 183/2010,
commessa in quanto l’indennità risarcitoria doveva essere riconosciuta, avendo
il Tribunale convertito i contratti a termine in un unico contratto di lavoro a
tempo indeterminato;
8. con l’ottavo motivo la ricorrente principale si
duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ravvisato
nell’esistenza, non considerata dalla Corte territoriale, di tre contratti a
termine intercorsi fra le parti e convertiti in rapporto a tempo indeterminato;
9. infine con la nona critica la U. denuncia la
violazione dell’art. 22, comma
36, della legge n. 724/1994 e sostiene che non può essere applicato il
divieto di cumulo fra interessi legali e rivalutazione monetaria in quanto la sentenza della Corte Costituzionale n. 459/2000 lo
ha limitato ai soli dipendenti pubblici, qualità questa non attribuibile ai
collaboratori esperti linguistici assunti sulla base di contratti di diritto
privato;
10. il ricorso incidentale denuncia, con il primo
motivo, «insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio» ed addebita alla Corte territoriale di non avere considerato che i
contratti di lavoro autonomo si riferivano ad una sporadica attività di
insegnamento, diversa dalla prestazione richiesta al collaboratore linguistico,
attività che era stata retribuita con lo specifico compenso stabilito nei
contratti stessi;
11. l’Università si duole, poi, con il secondo
motivo della violazione dell’art. 112 cod. proc.
civ. e sostiene che nel ricorso di primo grado la ricorrente aveva dedotto
che il rapporto di lavoro aveva avuto inizio il 23 maggio 1995, sicché la Corte
d’appello non poteva individuare, ai fini della quantificazione delle spettanze
retributive, la data di decorrenza del rapporto stesso nel gennaio 1994;
12. infine con il terzo motivo la ricorrente
incidentale denuncia «violazione di legge- applicazione dei contributi Inpdap
anziché Inps» e rileva che erroneamente il CTU ha applicato le ritenute dovute
per il personale docente, non considerando che il contratto con il
collaboratore esperto linguistico ha natura di diritto privato;
13. preliminarmente occorre rilevare che la
cognizione di questa Corte, limitata dai motivi di ricorso, non può estendersi
alle statuizioni che non sono state oggetto di impugnazione da parte
dell’Università del Salento, sulle quali si è formato giudicato interno;
13.1. non può quindi, essere rimessa in discussione
la ritenuta applicabilità del d.l. n. 2/2004 anche ai collaboratori di lingua
italiana, impiegati nei corsi dedicati agli stranieri, che non avessero mai
rivestito la qualifica di lettore ex art. 28 del d.P.R. n. 382/1980,
né è consentito statuire sull’interpretazione che della norma ha dato la Corte
territoriale, la quale sulla stessa ha fondato il diritto della U. a percepire
per l’intero arco temporale in discussione un trattamento retributivo
parametrato a quello riservato al ricercatore confermato a tempo definito;
14. entrambi i ricorsi presentano profili comuni di
inammissibilità, perché le censure risultano formulate senza il necessario
rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dagli artt. 366 nn. 3 e 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ.;
14.1. è noto che nel giudizio di cassazione, a
critica vincolata ed essenzialmente basato su atti scritti, essendo ormai solo
eventuale la possibilità di illustrazione orale delle difese, i requisiti di
completezza e di specificità imposti dall’art. 366
cod. proc. civ. perseguono la finalità di consentire al giudice di
legittimità di avere la completa cognizione della controversia, senza necessità
di accedere a fonti esterne, e, pertanto, qualora la censura si fondi su atti o
documenti è necessario che di quegli atti il ricorrente riporti il contenuto,
mediante la trascrizione delle parti rilevanti, precisando, inoltre, in quale
sede e con quali modalità gli stessi siano stati acquisiti al processo;
14.2. non è sufficiente che la parte assolva al
distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 n. 4 cod. proc. civ., perché l’art. 366 cod. proc. civ., come modificato dall’art. 5 del d.lgs. n. 40 del 2006,
riguarda le condizioni di ammissibilità del ricorso mentre la produzione è
finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento, sempre che lo
stesso sia stato specificamente indicato nell’impugnazione (sulla non
sovrapponibilità dei due requisiti cfr. fra le tante Cass. 28.9.2016 n. 19048);
14.3. i richiamati principi sono stati ribaditi
dalle Sezioni Unite in recente decisione con la quale si è affermato che «in
tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure
fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si
limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero,
laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro
individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo
inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al
fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la
collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro
acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità» (Cass. S.U. n.
34469/2019);
14.4. il requisito imposto dal richiamato art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. deve
essere verificato anche in caso di denuncia di errores in procedendo, rispetto
ai quali la Corte è giudice del «fatto processuale», perché l’esercizio del
potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle
regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in
nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del
giudice di legittimità ( Cass. S.U. n. 8077/2012);
14.5. il ricorrente, quindi, non è dispensato
dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base
dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non
essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito,
perché la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale,
deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della
censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla
loro ricerca ( cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n.
20924/2019);
15. egualmente comune a più motivi è il rilievo che,
all’esito delle modifiche apportate al codice di rito dal d.l. n. 83/2012, convertito dalla legge n. 134/2012, applicabile alla fattispecie
ratione temporis, non è più denunciabile il vizio di omessa o insufficiente
motivazione circa un punto decisivo della controversia, perché rileva solo
l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia carattere
decisivo ed abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, omesso esame
al quale non può essere assimilata la mancata valutazione di elementi
istruttori qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso
in considerazione dal giudice, benché la decisione non abbia dato conto di
tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. S.U. n.
34476/2019 e la giurisprudenza ivi richiamata);
16. sulla base dei richiamati principi, ribaditi dal
Collegio, devono essere dichiarati inammissibili tutti i motivi rispetto ai
quali assume rilievo il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio, recepita
dalla Corte territoriale che, con la sentenza definitiva, alla stessa ha
rinviato per motivare la quantificazione in € 26.374,38 della somma
complessivamente spettante alla U.;
16.1. le ricorrenti, pur dolendosi dell’errata liquidazione
e imputazione degli oneri contributivi, non riportano nel ricorso principale ed
in quello incidentale le parti rilevanti dell’elaborato peritale, necessarie
per consentire alla Corte la preliminare verifica sulla decisività e sulla
rilevanza delle censure, verifica che, a fronte di una decisione
sostanzialmente motivata attraverso un rinvio per relationem, non può essere
condotta ove si ignori quale sia, rispetto alla questione specificamente
dedotta, il contenuto dell’atto richiamato;
16.2. la carenza si riflette anche sul secondo
motivo del ricorso principale in quanto il mancato assolvimento degli oneri di
specificazione e di allegazione non permette di comprendere se ed in quale
misura gli oneri contributivi siano stati posti a carico, integralmente o
parzialmente, del datore di lavoro e, pertanto, di valutare se la questione di
diritto prospettata abbia effettiva rilevanza nella fattispecie;
16.3. nel giudizio di cassazione l’interesse
all’impugnazione, che va valutato in relazione ad ogni singolo motivo, deve
essere apprezzato con riferimento all’utilità concreta che la parte può
ricavare dall’eventuale accoglimento del gravame, e non può consistere in un
mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione
giuridica (cfr. Cass. n.20689/2016, Cass. n. 15253/2010, Cass. n. 13373/2008;
Cass. n. 11844/2006) e pertanto è onere del ricorrente indicare nel ricorso,
nel rispetto del principio di completezza, tutti gli elementi che consentano
alla Corte di apprezzare le conseguenze che potrebbero derivare
dall’accoglimento del motivo e dalla cassazione della sentenza impugnata;
16.4. in via conclusiva la mancata specifica
indicazione dell’elaborato peritale determina l’inammissibilità del primo, del
secondo, del quinto motivo del ricorso principale nonché della terza censura
formulata con l’impugnazione incidentale;
17. non possono essere scrutinate nel merito, perché
non superano la preliminare verifica di ammissibilità, le doglianze formulate
con il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, con le quali si
addebita alla Corte territoriale la violazione del principio della necessaria
corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato;
17.1. il ricorso, infatti, si limita a riportare uno
stralcio minimo delle conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio di primo
grado e dell’appello incidentale, sicché non è possibile verificare ex actis
se, come asserito, la domanda di quantificazione delle differenze retributive e
l’istanza istruttoria di ammissione della consulenza tecnica d’ufficio fossero
state limitate alle sole 340 ore prestate sulla base dei contratti formalmente
stipulati ex art. 2222 cod. civ. e dei quali
era stata contestata la qualificazione;
17.2. a soli fini di completezza si osserva che la
condanna generica richiede un’espressa istanza in tal senso della parte
interessata, perché il legislatore, pur prevedendo la possibilità della
separazione del giudizio sull’an da quello sul quantum ha voluto privilegiare,
per quanto possibile, la concentrazione e l’unificazione dei giudizi, con la
conseguenza che, ove l’attore richieda la condanna del convenuto al pagamento
di una somma determinabile, non riservandone espressamente la liquidazione ad
altro giudizio, il giudice è tenuto a decidere anche in ordine al quantum
(Cass. n. 6517/2012; Cass. n. 17250/2002);
18. in relazione al sesto motivo occorre premettere
che l’omesso invio alle parti della bozza di relazione redatta dal consulente
tecnico d’ufficio dà luogo ad una nullità a carattere relativo, suscettibile di
sanatoria se il vizio non è eccepito nella prima difesa utile successiva al
deposito della perizia (Cass. n. 23493/2017);
18.1. ne discende che la doglianza può essere
valutata solo qualora il ricorrente alleghi e dimostri di avere impedito la
sanatoria, ossia di avere tempestivamente eccepito la nullità, e di essere
stato pregiudicato dalla stessa, evenienza, quest’ultima, che non ricorre nei
casi in cui il giudice abbia assicurato il contraddittorio, sia pure in un
momento successivo al deposito dell’elaborato;
18.2. le richiamate condizioni non sussistono nella
fattispecie, sicché va esclusa ogni rilevanza del denunciato error in
procedendo;
19. sono inammissibili anche il settimo e l’ottavo
motivo, con i quali si censura il capo della sentenza impugnata che ha respinto
la domanda volta ad ottenere la condanna dell’Università al pagamento
dell’indennità ex art. 32 della
legge n. 183/2010;
19.1. la Corte territoriale, infatti, ha escluso che
detta domanda fosse stata formulata in relazione ai contratti a termine
intercorsi fra le parti, riferendola, invece, a quelli qualificati di
collaborazione autonoma, e la ricorrente non riporta nel ricorso il contenuto
degli atti processuali (ricorso di primo grado, sentenza del Tribunale, appello
incidentale) necessari per valutare se ed in quali termini la domanda in
questione fosse stata proposta nel giudizio di primo grado e reiterata in grado
di appello;
19.2. a tal fine non sono sufficienti i minimi
stralci trascritti nel corpo del motivo che non consentono di comprendere quale
fosse la causa petendi dell’istanza risarcitola, perché le conclusioni
dell’appello incidentale non specificano nulla al riguardo, e non dimostrano
che la stessa fosse già stata formulata, nei termini qui sostenuti, con il
ricorso di primo grado ( gli stralci riportati alle pagine 17 e 18 e le
conclusioni trascritte a pag. 10 non contengono alcun richiamo all’indennità ex
art. 32 della legge n. 183/2010);
20. infine è infondato il nono motivo in relazione
al quale il Collegio intende dare continuità all’orientamento, ormai
consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la sentenza della Corte costituzionale n. 459/2000,
per la quale il divieto di cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi non
opera per i crediti retributivi dei dipendenti privati, non può trovare
applicazione per i dipendenti privati di enti pubblici non economici per i
quali ricorrono, ancorché i rapporti di lavoro risultino privatizzati, le
“ragioni di contenimento della spesa pubblica” che sono alla base
della disciplina differenziata secondo la ratio decidendi prospettata dal
giudice delle leggi (Cass. n. 4705/2011; Cass.
n. 535/2013; Cass. n. 20765/2018; Cass. n.
18897/2019; Cass. n. 28498/2019);
21. la prima censura del ricorso incidentale
presenta plurimi profili di inammissibilità perché esorbita dai limiti del
riformulato art. 360 n. 5 cod. proc. civ.,
precisati al punto 15, sollecita un accertamento di fatto riservato al giudice
del merito ed inoltre non coglie pienamente la ratio della sentenza impugnata,
che, quanto all’attività resa sulla base dei contratti formalmente qualificati
di lavoro autonomo, valorizza la mancata contestazione delle allegazioni
contenute nel ricorso di primo grado;
21.1. al riguardo va rammentato che la proposizione
nel giudizio di cassazione di censure prive di specifica attinenza al decisum
della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi,
richiesta dall’art. 366 n.4 cod. proc. civ., e
determina l’inammissibilità, in tutto o in parte del ricorso, rilevabile anche
d’ufficio ( cfr. fra le tante Cass. n. 20910/2017, Cass.
n. 17125/2007, Cass. S.U. n. 14385/2007);
22. infine le ragioni illustrate nei punti da 14.1.
a 14.5 inducono a ritenere inammissibile anche la seconda critica del ricorso
incidentale, perché l’Università si è limitata a riportare nel corpo del motivo
solo una frase dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, non
sufficiente a far comprendere in quali termini fosse stata formulata la domanda
di differenze retributive;
23. in sintesi il ricorso principale deve essere
rigettato e quello incidentale va dichiarato inammissibile, sicché si configura
soccombenza reciproca che giustifica l’integrale compensazione fra le parti
delle spese del giudizio di legittimità;
24. sussistono in relazione ad entrambi i ricorsi le
condizioni processuali di cui all’art.
13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara
inammissibile l’incidentale. Compensa integralmente fra le parti le spese del
giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto,
per il ricorso principale e per l’incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.