La società che gestisce il servizio Uber Eats è stata commissariata per aver agevolato il caporalato
Nota a Trib. Milano, sez. autonoma misure di prevenzione, decreto 28 maggio 2020, n. 9
Fabrizio Girolami
Il Tribunale di Milano, con decreto n. 9 del 28 maggio 2020, ha applicato a Uber Italy S.r.l. (filiale italiana della multinazionale americana con sede a San Francisco) la misura dell’amministrazione giudiziaria ex art. 34, D.LGS. n. 159/2011 per aver agevolato la condotta criminosa di sfruttamento lavorativo di un cospicuo numero di ciclo-fattorini (cd. riders) addetti al servizio di consegna di pasti a domicilio – tramite la piattaforma digitale “Uber Eats” – attuata da parte di imprese terze di intermediazione.
È una pronuncia importante che richiama l’attenzione degli operatori sulla gig economy e sul sistema di tutele dei riders del settore del food delivery che svolgono la propria attività tramite piattaforme digitali.
Nel caso di specie, la Procura della Repubblica di Milano ha ravvisato “sufficienti indizi” in ordine al reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ex art. 603-bis c.p. contestato ai rappresentanti di due imprese di intermediazione di manodopera che avevano agito per conto di Uber Italy S.r.l. per l’organizzazione del servizio di presa e consegna del cibo e per il reclutamento e la gestione dei riders.
Com’è noto, il reato di cui all’art. 603-bis c.p. sanziona il fenomeno del cd. “caporalato”, peculiare metodo di sfruttamento dell’altrui attività lavorativa attuato con metodi illegali e, specificamente, in violazione delle norme in materia di lavoro, igiene, salute e sicurezza dei lavoratori.
Secondo la Procura, queste due imprese – approfittando dello stato di bisogno di numerosi lavoratori (molti dei quali extracomunitari provenienti da Paesi segnati da conflitti e dimoranti presso centri di accoglienza temporanei) versanti in grave precarietà economica e di fragilità sociale – avrebbero indotto i lavoratori medesimi ad accettare condizioni di lavoro dequalificanti e svalutanti, mediante sottoscrizione di un contratto (nominale) di “collaborazione occasionale, coordinato ed eterorganizzato”, con applicazione di un penetrante “regime di sopraffazione retributiva e trattamentale”. Tale regime era connotato da pagamenti irrisori a cottimo (3 euro a consegna indipendentemente dal giorno e dall’ora), dalla sistematica sottrazione delle mance e da un numero di corse incompatibili con la salvaguardia delle condizioni fisiche. Inoltre, le società avevano coartato la volontà dei lavoratori, minacciando che, in caso di mancata accettazione delle condizioni, avrebbero disattivato l’account utilizzato per lo smistamento delle consegne e, quindi, di non poter più lavorare per la piattaforma Uber Eats.
La Procura ha altresì ritenuto che i manager di Uber erano “consapevoli” della condizione di sfruttamento in cui erano costretti i riders, anche se formalmente non erano loro dipendenti diretti.
Il Tribunale milanese, con il decreto in commento, ha ritenuto sussistenti i presupposti ipotizzati dalla Procura ai fini dell’applicazione della misura dell’amministrazione giudiziaria in relazione al “delitto presupposto” di cui all’art. 603-bis c.p., giudicando altresì sussistente la condotta agevolativa, da parte della società Uber Italy, nei confronti delle attività delittuose perpetrate dagli indagati delle società di intermediazione.
Con riferimento alla fattispecie incriminatrice ex art. 603-bis c.p., il Tribunale ha ritenuto presenti tutti gli indici di sopraffazione retributiva e trattamentale nei confronti dei lavoratori, reclutati in situazione di emarginazione sociale e di fragilità, aggiungendo che tale situazione è risultata aggravata dall’emergenza sanitaria da CODIVD-19, a seguito della quale l’utilizzo dei ciclo-fattorini è progressivamente aumentato in maniera direttamente proporzionale al progressivo ridimensionamento della libertà di circolazione della popolazione.
Infine, il Tribunale ha ravvisato la violazione delle norme contrattuali in tema di lavoro autonomo (trattandosi, di fatto, di un rapporto di lavoro subordinato alterato), riscontrando la mancata corresponsione della mance dovute al lavoratore (corrisposte dal cliente nell’ambito del normale sinallagma contrattuale) e, in taluni casi, l’omesso versamento delle ritenute previdenziali sulla retribuzione, nonché l’attuazione di un sistematico inserimento di un malus nel trattamento economico dei riders, strumentale alla contestazione di (inesistenti) comportamenti non conformi al fine di ulteriormente diminuire la paga applicata.