È discriminatorio il riproporzionamento dell’anzianità di servizio del part-timer in ragione del lavoro effettivamente prestato.

Nota a App. Napoli 27 aprile 2020, n. 1266

Francesco Belmonte

La clausola di una procedura selettiva, la quale dispone che l’anzianità di servizio, rilevante ai fini della valutazione della professionalità del lavoratore (utile per l’attribuzione di una fascia economica superiore), sia “riproporzionata”, per i lavoratori a tempo parziale, sulla base del lavoro effettivamente svolto, è illegittima, in quanto discriminatoria.

A stabilirlo è la Corte d’Appello di Napoli (27 aprile 2020, n. 1266) in relazione ad una fattispecie concernente l’errata valutazione del punteggio conseguito da una dipendente, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nell’ambito di una procedura selettiva “di sviluppo economico del personale” attivata dall’Agenzia delle Entrate ai fini dell’attribuzione della fascia economica immediatamente superiore.

In particolare, la lavoratrice aveva affermato di aver ricevuto una valutazione deteriore rispetto agli altri candidati, in quanto non era stata considerata correttamente la sua anzianità di servizio per gli anni di svolgimento della prestazione a tempo parziale.

In merito, la Corte d’Appello napoletana ha confermato le statuizioni del primo giudice (Trib. Santa Maria Capua Vetere n. 310/2016), per il quale: «a causa delle modalità di calcolo del punteggio afferente  l’”esperienza di servizio maturata”, in particolare per effetto della riduzione, in proporzione alla percentuale del tempo lavorato, del punteggio relativo ai periodi di lavoro a tempo parziale … si era determinata una situazione discriminatoria nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e, indirettamente, delle dipendenti di genere femminile “visto il dato notorio per cui la maggior parte del part-time riguarda lavoratori di sesso femminile”».

Il giudice di primo grado aveva escluso che la valutazione della professionalità dei part-timers potesse subire un riproporzionamento in ragione della minore entità della prestazione svolta, in base a quanto sancito dall’art. 4, D.LGS. 25 febbraio 2001, n. 61, applicabile ratione temporis alla fattispecie in commento. Tale previsione, nel disciplinare il principio della parità di trattamento, prevedeva una serie di ipotesi tassative (“l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa; l’importo della retribuzione feriale; l’importo dei trattamenti economici per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale e maternità”) di legittima riduzione del trattamento del lavoratore a tempo parziale, in proporzione alla percentuale del tempo lavorato (c.d. riproporzionamento o “principio del pro rata temporis), tra le quali non figurava la professionalità del dipendete part-time (art. 4, co. 2, lett. b), D.LGS. n. 61/2001).

La valutazione dall’Ente, inoltre, doveva ritenersi discriminatoria, in quanto svolta in violazione dei principi eurounitari in materia (v. Dir. n. 97/81/CE, attuativa dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES il 6 giugno 1997 e la copiosa giurisprudenza della Corte di Giustizia), ed in contrasto con l’art. 35, co. 2, D.LGS. 11 aprile 2006, n. 198, il quale prevede che: “Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.”

Per il Tribunale, data la cospicua presenza all’interno dell’Agenzia delle Entrate di lavoratrici, riproporzionare il punteggio sull’esperienza professionale all’effettivo orario di lavoro prestato avrebbe potuto svantaggiare (comportando un allungamento dei tempi previsti per le progressioni di carriera) un numero maggiore di donne rispetto agli uomini, dato che queste accedono più frequentemente al lavoro part-time.

Ciò, con l’unica esimente rappresentata da quanto enunciato dalla clausola n. 4.1 (“Principio di non discriminazione”) dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, secondo cui: “Per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive.”

Dal momento che l’Ente non aveva né dedotto né provato alcuna valida giustificazione, atta a sostenere che il riproporzionamento, in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa, fosse funzionale al passaggio retributivo, la Corte d’Appello di Napoli (in linea con la pronuncia di primo grado), ha ritenuto che la valutazione eseguita dall’Agenzia determina una discriminazione dei lavoratori a tempo parziale rispetto a quelli a tempo pieno.

Part-time e procedure selettive per la valutazione della professionalità
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