Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 luglio 2020, n. 14360

Costituzione del rapporto di lavoro subordinato alle
dipendenze della società utilizzatrice, Plurimi contratti di somministrazione
– Decadenza dalla domanda giudiziale

 

Rileva che

 

Il giudice del lavoro di Ancona con sentenza n. 324
del 1° luglio 2014, accolta l’eccezione di decadenza sollevata dalla convenuta
S.r.l. R.P., dichiarava inammissibile la domanda di cui al ricorso proposto da
A.U., volta a conseguire la costituzione del rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato alle dipendenze della società utilizzatrice, previa
declaratoria di nullità dei dodici contratti di somministrazione, posti in
essere fino al 30 giugno 2012 (con l’inizio del rapporto di lavoro dal 1°
giugno 2004 fino al 31 marzo 2009 nell’ambito di un illegittimo appalto di
lavoro, e poi nella serie di contratti di lavoro somministrato), spese di lite
per intero compensate;

il lavoratore impugnava la pronuncia di primo grado,
come da ricorso depositato il 28 agosto 2014, quindi respinto dalla Corte
d’Appello di Ancona con sentenza n. 699 in data 11/30 dicembre 2014, emendata
la decisione gravata soltanto nella motivazione e nel dispositivo quanto alla
statuizione di rigetto (a fronte della dichiarata inammissibilità della
domanda, trattandosi in realtà di pronuncia nel merito, quale statuizione
sostanziale idonea a passare in giudicato).

Anche le spese relative al secondo grado del
giudizio venivano per intero compensate; secondo la Corte territoriale, nella
previsione omnicomprensiva e generale di cui al quarto comma lettera d), dell’art. 32 L. n.
183/2010, circa l’ipotesi prevista dall’art. 27 del d.lgs. n. 276/2003,
in relazione all’art. 6 della
L. n. 604/66, come modificato dal comma primo dello stesso art. 32, scevra di limitazioni
nella platea dei destinatari dell’onere di impugnativa, ricadeva la fattispecie
in esame, essendo indubbio che tale disposizione disciplinasse anche i rapporti
di lavoro oggetto di somministrazione irregolare e, quindi, anche la domanda
giudiziale di costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del
soggetto utilizzatore con effetto fin dall’inizio della somministrazione, e ciò
senza distinzioni tra somministrazioni già cessate prima dell’entrata in vigore
del c.d. collegato lavoro e quelle cessate nella sua vigenza. Viceversa, per i
rapporti di lavoro ancora in essere, che andavano quindi a cessare sotto la
vigenza dello jus superveniens, indubbiamente il dies a quo di decorrenza del
termine di decadenza coincideva con la cessazione del rapporto di lavoro
prestato a favore dell’utilizzatore. Non poteva condividersi l’interpretazione
propugnata dall’appellante, secondo cui i rapporti di lavoro somministrato già
cessati alla data di entrata in vigore della legge
n. 183/2010 sarebbero stati immuni dalla decadenza introdotta con jus
superveniens, sicché detta decadenza avrebbe riguardato tutt’al più soltanto i
rapporti di lavoro la cui cessazione fosse stata successiva all’introduzione
dell’onere di impugnativa pena di decadenza. La Corte d’Appello richiamava
anche Cass. lav. n. 4051 del 20/02/2014, per la parte in cui era stato
affermato che in materia di prescrizione e decadenza l’entrata in vigore di una
nuova normativa, la quale introduca un termine prima non previsto, ha efficacia
generale, anche per chi già si trovasse nella situazione prevista dalla legge
per esercitare il diritto in seguito sottoposto a decadenza, con l’unica
differenza – sulla base del disposto dell’art. 252
disp. att. cod. civ., espressione di un principio generale dell’ordinamento
– consistente nella decorrenza del termine dall’entrata in vigore della legge
che lo abbia introdotto. Nella fattispecie qui in esame, una volta rilevato che
la prima impugnativa era stata attuata mediante missiva spedita il 17 dicembre
2012, in relazione ai rapporti di lavoro risalenti, già cessati al tempo
dell’entrata in vigore del cosiddetto collegato lavoro, nonché al rapporto di
lavoro cessato il 30 giugno 2012, risultava ampiamente superato il termine di 60
giorni fissato dall’articolo 32,
comma 4, lett. D, della legge n. 183 nel testo vigente ratione temporis;
avverso la succitata pronuncia d’appello ha proposto ricorso per cassazione
A.U. come da atto del 18 – 19 giugno 2015 (notificazione quindi perfezionata il
due luglio 2015, come da relativo avviso di ricevimento), cui ha resistito la
S.r.l. R.P. con controricorso del 3-7 agosto 2015. Il ricorrente ha fatto
presente che a seguito dello scadere dell’ultimo contratto, di cui alla proroga
fino al 30 giugno 2012, con lettera raccomandata indirizzata alla società
convenuta e da questa ricevuta l’8 gennaio 2013 aveva impugnato l’appalto di
lavoro in virtù del quale aveva operato presso la società, ritenendolo illecito
unitamente all’illegittimità dei contratti di somministrazione di lavoro, per
cui aveva messo a disposizione della medesima società le proprie energie
lavorative. Di conseguenza, tenuto conto dell’impugnativa avvenuta l’8 gennaio
2013, non poteva ritenersi intervenuta alcuna decadenza dall’azione, non
prevedendo il succitato articolo
32, comma 4 lett. d, una tale decadenza o meglio non prevedendo il modo di
computarla.

 

Considerato che

 

Con il primo motivo è stata denunciata la violazione
e falsa applicazione dell’articolo
32 comma 4 lett. d, della legge n. 183/2010 in relazione all’articolo 360, co. 1 n. 3, c.p.c., poiché la
decadenza ivi prevista era stata applicata anche ai contratti di lavoro in
somministrazione nonostante dalla legge non fosse stato previsto il dies a quo
della stessa. Per contro, erroneamente secondo il ricorrente, l’impugnata
sentenza aveva ritenuto operante l’anzidetta decadenza anche all’ipotesi di
somministrazione e alla domanda ex articolo
27 del decreto legislativo n. 276 del 2003. Infatti, mentre il citato articolo 32, comma 4 lett. d,
rimandava all’articolo 6 della
legge n. 604 del 1966, come modificato dall’articolo uno dello stesso articolo 32 (il licenziamento
deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla ricezione della
sua comunicazione in forma scritta), nel caso di contratto di lavoro in
somministrazione a termine non era prevista per il datore di lavoro ovvero l’utilizzatore
alcuna comunicazione iscritta al lavoratore, peraltro formalmente non alle
dipendenze dell’utilizzatore. Negli altri casi in cui non c’era o non ci poteva
essere la lettera di licenziamento, la legge si preoccupava di individuare il
dies a quo del termine, mentre nella fattispecie in esame non esisteva un dies
a quo, di guisa che neppure poteva esservi un sensato conteggio dei 60 giorni.
Soltanto la lettera d) del comma quarto, a differenza delle altre ipotesi
contemplate dal medesimo articolo
32, non individuava il dies a quo da cui poi computare il termine di
decadenza. Tale diversità di regime, quindi, secondo parte ricorrente, rendeva
evidente la chiara volontà del legislatore, essendo comunque tale
interpretazione del tutto conforme alla ratio individuabile nel testo. La
conclusione da trarsi non poteva essere che univoca: la legge non sottoponeva a
termine decadenziale l’impugnazione dei contratti di somministrazione né
qualora se ne invocasse l’irregolarità ex 27, né nelle residue ipotesi, in
tutti i casi in cui non vi era stato alcun licenziamento scritto o altro
specificato evento. Come non sottoponeva a termine di decadenza le impugnazioni
di appalti illeciti, le azioni per l’accertamento di lavoro irregolare, della
nullità di licenziamenti verbali, le azioni per l’accertamento della nullità di
licenziamenti verbali, della subordinazione in caso di rapporti atipici
simulati e così via in tutti i casi di mancanza di licenziamento scritto ;

con il secondo motivo è stata lamentata la
violazione e falsa applicazione dell’art. 252 disp.
att. c.c. in relazione all’art. 360 co. I n. 3
c.p.c. per aver l’impugnata sentenza ritenuto che ai sensi della norma, in
violazione quindi anche del principio tempus regit actum i termini decadenziali
di nuova introduzione decorressero anche per le fattispecie perfezionatesi
prima dell’entrata in vigore della legge che li istituiva, sostenendosi che la
cessazione del rapporto di lavoro successiva alla legge
n. 183/2010 dovesse intendersi quale fatto generatore della decadenza, però
nello specifico in precedenza non contemplata.

Ecco allora che alla cessazione del rapporto era
ontologicamente collegata la decadenza, e non semplicisticamente
l’individuazione di un mero momento nel tempo da cui far decorrere il termine
di decadenza. Così opinando, la cessazione era considerata quale elemento
legato all’istituto introdotto ex novo, mentre sotto altro profilo la stessa
era considerata soltanto come un momento a partire da quale doveva computarsi
il termine di decadenza. Sussisteva un’evenienza diversa e più incisiva
rispetto a quella regolata dall’art. 252 disp. att.
c.c., poiché la nuova norma aveva istituito e delineato il fatto stesso
comportante la decorrenza del termine di decadenza e che apparteneva, pertanto,
unitamente ad decorso del tempo, alla fattispecie costitutiva della decadenza,
tanto da essere denominato “fatto generatore” della stessa, donde la
sottrazione alla possibile incidenza della nuova norma della fattispecie
<<nella quale la comunicazione del provvedimento amministrativo (o di
cosa per esso) – fatto che dovrebbe comportare la decorrenza della decadenza –
si situa al di fuori dell’area temporale di operatività della nuova
norma>>. Dunque, la decadenza decorrente dal momento stabilito dalla
legge, nel caso di cui all’art. 32,
co. 4, lett. d), I. n. 183/2010 inizierebbe alla peggio a decorrere dalla
cessazione del contratto in somministrazione (c.d. “fatto
generatore”), che evidentemente, relativamente ai rapporti già cessati
alla data del 24.11.2010, non soggiace alla nuova norma. Diversamente opinando
sarebbe, secondo parte ricorrente, violato il principio di irretroattività
della legge, per cui la norma sopravvenuta non può applicarsi ai facta
praeterita corrispondenti agli elementi di nuova fattispecie produttiva di effetti
che a quei fatti non risultavano collegati dalla legge precedente;

con la terza censura è stata dedotta la violazione e
falsa applicazione dell’articolo
32, comma quattro, lett. d), L. n. 183/2010, in relazione all’articolo 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per aver ritenuto
la Corte territoriale che la decadenza ex novo introdotta si applicasse anche
alle fattispecie già concluse alla data di entrata in vigore della stessa L. n. 183, dovendo per contro correttamente
interpretarsi l’articolo 11 delle disp.ni preliminari al codice civile, avuto
riguardo quindi alla disciplina vigente al momento della cessazione del
rapporto di lavoro in somministrazione, posto che in relazione al tempus del
suo perfezionamento che vanno valutati la facoltà di impugnazione, la sua
estensione, i modi e i termini per esercitarla. E ciò per l’esigenza di tutela
dell’affidamento maturato dalla parte in relazione alla fissità del quadro
normativo. L’evidenza della non applicazione della nuova decadenza anche ai
contratti di lavoro in somministrazione già cessati anteriormente alla legge
del 2010 risultava anche da un semplice dato letterale, ossia la formulazione
dell’intero articolo 32, comma
quarto. La propria tesi, secondo il ricorrente, trovava riscontro anche
nella sentenza della Corte costituzionale n. 155 del 2014;

le anzidette doglianze vanno rigettate, siccome
infondate alla luce della ormai consolidata giurisprudenza di legittimità
formatasi in materia, condivisa da questo collegio, che va perciò ribadita
anche nel caso di specie, risultando palese in particolare l’intenzione del
legislatore di introdurre comunque un termine a tutti i casi chiaramente
contemplati dall’art. 32 della L.
n. 183/2010, ivi compresi le fattispecie relative a rapporti ormai cessati
prima ancora della sua entrata in vigore, al fine di stabilizzare quelli da
tempo esauritisi, tant’è che lo stesso legislatore (con il comma 1 bis aggiunto
all’art. 32 dal D.l. 29 dicembre 2010, n. 225,
convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio
2011, n. 10) si è preoccupato anche di differire, in sede di prima
applicazione della novella, al 31 dicembre 2011, il momento iniziale di computo
della decadenza, per la prima volta istituita anche in relazione ad istituti
per i quali la stessa precedentemente non era contemplata, a differenza del
licenziamento ex art. 6 della
legge n. 604/1966 (cfr. in part. il testo dell’art. 32 in vigore dal 27-2-2011
al 17-7-2012 in tema di decadenze e disposizioni in materia di contratto di
lavoro a tempo determinato: <<1. Il primo e il secondo comma dell’articolo 6 della legge 15 luglio
1966, n. 604, sono sostituiti dai seguenti: “Il licenziamento deve
essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione
della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’
essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto
scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore
anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad
impugnare il licenziamento stesso. L’impugnazione è inefficace se non è
seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito
del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o
dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di
conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi
documenti formatisi dopo il deposito del ricorso 1 bis. In sede di prima
applicazione, le disposizioni di cui all’articolo 6, primo comma, della
legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente
articolo, relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del
licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011. 2. Le
disposizioni di cui all’articolo
6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del
presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del
licenziamento. 3. Le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio
1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si
applicano inoltre: … 4. Le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio
1966. n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si
applicano anche: … d) in ogni altro caso in cui, compresa l’ipotesi prevista
dall’articolo 21 del decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o
l’accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal
titolare del contratto. …>>); nessun pertinente e specifico elemento
favorevole alle tesi di parte ricorrente è riscontrabile della sentenza n. 155
in data 5/04 – del 21/05 – 4/6/2014, pronunciata dalla Corte Costituzionale (in
G. U. 11/06/2014 n. 25), che giudicava infondata la questione di legittimità
dell’art. 32, comma 4, lett. b),
della legge 4 novembre 2010, n. 183, impugnato, in relazione all’art. 3 Cost., nella parte in cui era prevista
l’applicazione del termine decadenziale di 60 giorni -stabilito dal riformato art. 6, primo comma, della legge
n. 604 del 1966 – per la contestazione della legittimità del termine
apposto al contratto di lavoro, anche ai contratti a tempo determinato già
conclusi – per scadenza del termine finale- alla data di entrata in vigore
della legge e con decorrenza dalla medesima data (in motivazione: <<…
Orbene, il nuovo regime introdotto dall’art. 32 della legge n. 183 del 2010
si applica, nel suo complesso, a tutti i contratti a termine, cioè a quelli già
scaduti alla data di entrata in vigore della legge, a quelli in corso di
esecuzione e a quelli instaurati successivamente. La ratio di tale disciplina
si rinviene in una pluralità di esigenze: quella di garantire la speditezza dei
processi mediante l’introduzione di termini di decadenza in precedenza non
previsti; quella di contrastare la prassi di azioni giudiziarie proposte anche
a distanza di tempo assai rilevante dalla scadenza del termine apposto al
contratto (va notato, al riguardo, che la controversia circa il carattere –
legittimo o illegittimo – dell’apposizione del termine si risolve in una azione
di accertamento della nullità parziale di una clausola del contratto, come tale
imprescrittibile: art. 1422 cod. civ.); quella
di pervenire ad una riduzione del contenzioso giudiziario nella materia in
questione. Sussistono, dunque, profili concreti che impongono di ritenere non
irragionevoli le scelte compiute dal legislatore. …>>);

peraltro, trattandosi di sentenza di rigetto della
questione d’illegittimità sollevata in via incidentale, l’interpretazione della
normativa ordinaria di riferimento non è vincolante in relazione a giudizi
diversi per i quali la questione non sia stata proposta (v. altresì Cass. II
civ. n. 2326 del 21/03/1990, secondo cui le sentenze “interpretative di
rigetto”, rese dalla Corte costituzionale in presenza di un testo
legislativo non chiaro e soggetto alla possibilità di diverse interpretazioni,
hanno effetto vincolante, quanto all’interpretazione ritenuta corretta,
nell’ambito del processo con riferimento al quale la questione di legittimità
costituzionale è stata sollevata, in forza del principio per cui la medesima
questione di legittimità costituzionale, già negativamente risolta con sentenza
di rigetto della medesima Corte, non può essere riproposta nel corso dello
stesso giudizio. Conforme Cass. lav. n. 8250 del 29/07/1999. V. anche Cass. sez. un. civ. n. 27986 del 16/12/2013: il
vincolo che deriva, sia per il giudice “a quo” sia per tutti gli
altri giudici comuni, da una sentenza interpretativa di rigetto, resa dalla
Corte costituzionale, è soltanto negativo, consistente cioè nell’imperativo di
non applicare la norma ritenuta non conforme al parametro costituzionale
evocato e scrutinato dalla Corte costituzionale, così da non ledere la libertà
dei giudici di interpretare ed applicare la legge – ai sensi dell’art. 101, secondo comma, Cost.- e,
conseguentemente, neppure la funzione di nomofilachia attribuita alla Corte di
cassazione dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, non essendo preclusa la
possibilità di seguire, nel processo “a quo” o in altri processi,
“terze interpretazioni” ritenute compatibili con la Costituzione,
oppure di sollevare nuovamente, in gradi diversi dello stesso processo “a
quo” o in un diverso processo, la questione di legittimità costituzionale
della medesima disposizione, sulla base della interpretazione rifiutata dalla Corte
costituzionale, eventualmente evocando anche parametri costituzionali diversi
da quello precedentemente indicato e scrutinato);

ad ogni modo, come già ritenuto da Cass. lav. n. 7788 del 27/03/2017, in tema di
somministrazione di lavoro, la decadenza di cui all’art. 32, comma 4, della I. n. 183
del 2010, e la conseguente proroga, di cui al comma 1-bis del medesimo
articolo, si applicano anche ai contratti a termine in somministrazione cessati
o stipulati prima della data di entrata in vigore della legge stessa (24
novembre 2010), senza la necessità di una specifica previsione di deroga all’art. 11 disp. prel. c.c., atteso che la nuova
norma non ha modificato la disciplina del fatto generatore del diritto, ma solo
il suo contenuto di poteri e facoltà, suscettibili di nuova regolamentazione
perché ontologicamente e funzionalmente distinti da esso e non ancora
consumati, dovendosi pertanto escludere ogni profilo di retroattività; né
l’introduzione del nuovo termine di decadenza con efficacia “ex nunc”
determina una violazione degli artt. 24 Cost., 47 della Carta dei diritti fondamentali
della UE o 6 e 13 della CEDU, essendo stato
assicurato un ambito temporale quantitativamente congruo per la conoscibilità
della nuova disciplina, attesa la proroga disposta “in sede di prima
applicazione” dal citato comma 1-bis [in senso conforme Cass. n. 2420 del 2016. In particolare, la Corte
con decisione n. 7788 del 13/12/2016 – 27/03/2017, pur tenendo conto di alcune
pronunce di questo Ufficio, che avevano richiamato tra l’altro, la sentenza
della Corte costituzionale n. 155 del 2014, ha motivatamente giudicato più
convincente la ricostruzione esegetica secondo cui è applicabile la novella
legislativa dell’art. 6 L. n.
604 del 1966 – nonché il differimento dell’operatività della disciplina al
31.12.2011 – anche ai contratti a termine in somministrazione scaduti alla data
di entrata in vigore della legge n. 183, ossia
al 24.11.2010: «Invero, ai fini di una corretta interpretazione della
disposizione in esame, giova rimarcare che: – non può giovare il richiamo alla sentenza della Corte cost. n. 155 del 2014 che
non prende autonoma posizione sulla correttezza dell’interpretazione proposta
dal giudice remittente, ma si limita ad effettuare lo scrutinio di legittimità
costituzionale della norma, come interpretata dall’ordinanza di rimessione in
cui si ipotizzava un’irragionevole disparità di trattamento fra l’ipotesi del
contratto a termine di cui alla lett.
b) dell’art. 32, comma 4, della legge n. 183 del 2010 e le altre
disciplinate dallo stesso articolo; – il comma 1-bis dello stesso articolo 32,
introdotto dal cd. decreto “mille proroghe”, ha assicurato un
adeguato arco temporale di adattamento alla nuova e più rigorosa disciplina di
cui non si avrebbe avuto alcun bisogno se la decadenza non fosse stata
applicabile anche a contratti cessati prima dell’entrata in vigore della legge;
– un’apposita previsione sarebbe stata necessaria per derogare alla regola
dell’art. 11 disp. prel. c.c. e munire di
retroattività la norma, mentre nel caso in esame non si è in presenza di una
retroattività propriamente detta, ma solo dell’assoggettamento d’un diritto,
già acquisito, ad un termine di decadenza per il suo esercizio; – secondo un
risalente, ma pur sempre attuale, insegnamento della S.C. (sentenze nn.
2705/1982, 2743/1975) non sussiste infatti retroattività quando la nuova norma
disciplini status, situazioni e rapporti che, pur costituendo effetti di un
pregresso fatto generatore siano da questo distinti ontologicamente e
funzionalmente e quindi suscettibili di una nuova regolamentazione mediante
l’esercizio di poteri e facoltà non consumati sotto la precedente disciplina,
come è appunto il caso dell’introduzione d’un termine di decadenza, ove prima
non ve ne erano, in cui il potere d’azione era già sorto ma non ancora
consumato. Ebbene, la previsione di un regime di decadenza in sostituzione
della imprescrittibilità dell’azione di nullità del termine apposto al
contratto di somministrazione ha inciso su una situazione in fieri che non si
era ancora consumata e, pertanto, la novella non incide sul fatto generatore,
ovvero sul contratto di somministrazione asseritamele illegittimo e sui suoi
effetti sostanziali, ma sul diverso procedimento impugnatorio, ancora in corso.
…>>. Cfr. parimenti Cass. lav. n. 23619
del 28/09/2018.

V. altresì Cass. sez.
un. civ. n. 4913 del 14/03/2016: l’art. 32, comma 1 bis, della I. n.
183 del 2010, introdotto dal d.l. n. 225 del
2010, conv. con mod. dalla I. n. 10 del 2011,
nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31
dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di
sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i
contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità
di cui al novellato art. 6
della I. n. 604 del 1966, sicché, con riguardo ai contratti a termine non
solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia
maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in
vigore del cd. “collegato lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del
termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva
del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante
la rimessione in termini, rispondendo alla “ratio legis” di
attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate
all’introduzione “ex novo” del suddetto e ristretto termine di
decadenza. In senso conforme Cass. sez. 6 – L,
ordinanza n. 25103 del 14/12/2015];

pertanto, il ricorso va respinto, con conseguente
condanna della parte soccombente al rimborso delle relative spese;

atteso l’esito negativo dell’impugnazione,
sussistono inoltre i presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n.
115/02.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese, che liquida, a favore della società controricorrente, in
euro #4000,00# per compensi professionali ed in euro #200,00# per esborsi,
oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n.
115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 luglio 2020, n. 14360
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: