L’assoggettamento ad amministrazione straordinaria della società cedente non esclude la competenza del giudice del lavoro sulla domanda di accertamento di inefficacia del trasferimento di ramo d’azienda.
Nota a Cass. 17 giugno 2020, n. 11700
Fabrizio Girolami
La domanda finalizzata a far dichiarare la nullità/invalidità e/o inefficacia del trasferimento di ramo d’azienda e la conseguente richiesta di condanna al ripristino del rapporto di lavoro con la società cedente – anche nel caso in cui quest’ultima sia sottoposta a procedura concorsuale – appartengono alla cognizione funzionale del “giudice del lavoro” quale giudice del rapporto e delle controversie relative allo “status” del lavoratore, in quanto l’accertamento richiesto, in tali ipotesi, non costituisce premessa di una pretesa economica nei confronti della massa della procedura e, dunque, non richiede la cognizione del “giudice fallimentare”, chiamato soltanto alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione paritaria al concorso tra creditori e con effetti esclusivamente endoconcorsuali.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11700 del 17 giugno 2020.
Nel caso di specie, alcuni lavoratori alle dipendenze di una S.p.A. si erano rivolti al giudice del lavoro per far dichiarare l’inefficacia della cessione dei propri contratti nell’ambito di una (presunta) operazione di cessione di ramo d’azienda operata dalla società datrice (cedente) in favore di una S.r.l. (cessionaria), chiedendo, per l’effetto, il ripristino del rapporto di lavoro alle dipendenze della società cedente.
Nelle more del giudizio di merito, la società presunta cedente era stata assoggettata a procedura concorsuale di “amministrazione straordinaria” ai sensi del D.LGS. 8 luglio 1999, n. 270 e s.m.i.
Sia il giudice di primo grado che il giudice d’appello avevano respinto l’eccezione formulata dalla società cedente di “improcedibilità” delle domande dei lavoratori, confermando, per l’effetto, la competenza funzionale del giudice del lavoro. In particolare, la Corte territoriale aveva disatteso l’assunto della società secondo cui le domande di accertamento della inefficacia della cessione e di ripristino del rapporto di lavoro dovevano essere attratte nella cognizione del giudice fallimentare, in quanto meramente “strumentali” alla condanna al pagamento di somme di denaro (i.e. somme retributive) e, come tali, destinate ad incidere sugli assetti patrimoniali garantiti dalla procedura concorsuale.
Nel giudizio di legittimità – che ha confermato la sentenza d’appello – la Cassazione ha precisato che:
- il giudice del lavoro è il “giudice del rapporto” e, pertanto, ha cognizione su ogni controversia avente ad oggetto lo “status” del lavoratore, in riferimento al diritto alla legittima e regolare instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto e alla sua corretta qualificazione e qualità, tra cui la giurisprudenza ha incluso, a titolo esemplificativo, le controversie finalizzate all’accertamento di nullità, invalidità o inefficacia di atti di cessione di ramo d’azienda, in funzione del ripristino del rapporto di lavoro con la parte cedente, in caso di fallimento della cessionaria (cfr. Cass. 23 gennaio 2018, n. 1646, in questo sito, con nota di A. LARDARO, Fallimento dell’impresa e competenza del giudice del lavoro);
- il giudice fallimentare è il “giudice del concorso” che si occupa di tutelare il concorso fra creditori (cd. “par condicio creditorum”), e a cui è riservato l’accertamento, con la relativa qualificazione, dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso (cfr., tra le altre, Cass. 21 giugno 2018, n. 16443);
- la domanda dei lavoratori finalizzata all’accertamento della inefficacia della cessione del preteso ramo d’azienda – come correttamente rilevato dalla sentenza della Corte di merito – non è idonea a far venir meno la competenza funzionale del giudice del lavoro, trattandosi di domanda strumentale soltanto all’accertamento della continuità del rapporto di lavoro con la società cedente;
- la sentenza impugnata ha operato correttamente in quanto – avendo giudicato insussistente il trasferimento di ramo d’azienda e ordinato alla società cedente in amministrazione straordinaria di reintegrare i lavoratori nel posto di lavoro in precedenza occupato, si è limitata ad affermare la continuità dei rapporti di lavoro con la medesima società cedente, senza intervenire su pretese di carattere economico.