Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 luglio 2020, n. 14974

Rapporto di lavoro, Contratto a termine, Nullità,
Sussistenza di un contratto a tempo indeterminato

 

Fatti di causa

 

1. L.P. convenne in giudizio la C.A. s.c.a.r.l.
deducendo, per quanto ancora interessa, di essere stata assunta con contratto a
tempo determinato, in part time verticale di venti ore settimanali, dal 7
maggio al 30 settembre 2012, poi prorogato fino al 31 marzo 2013 ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 6
settembre 2001 e dell’art. 84 punto 1 in relazione alla fase di avvio di
una nuova attività produttiva dell’ iper di Vigonza sottoscritto ed approvato
il 9.11.2010.

2. Il Tribunale di Padova dichiarò nullo il termine apposto
al contratto di lavoro e accertò l’esistenza di un contratto a tempo
indeterminato. Condannò quindi la s.c.a.r.l. C.A. a corrispondere alla P.
dodici mensilità di retribuzione globale di fatto oltre interessi e
rivalutazione monetaria.

3. La Corte di appello di Venezia, investita del
gravame da parte della Società, ha confermato la nullità del termine e,
ritenuti sussistenti i presupposti di cui all’art. 32 comma 6 della legge n. 183
del 4 novembre 2010 ha ridotto a sei mensilità l’indennità da corrispondere
alla P..

4. Per la cassazione della sentenza ricorre la C.A.
s.c.a.r.l. con quattro motivi. Resiste con controricorso L.P. che ha depositato
memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

 

Ragioni della decisione

 

5. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la
violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 10 comma 7 del d.lgs. n. 368 del
2001 e la violazione degli artt. 84 e 86 del c.c.n.I. per i dipendenti
delle imprese cooperative di consumo.

5.1. Sostiene la ricorrente che la Corte
territoriale ha erroneamente interpretato ed applicato l’art. 10 comma 7 del d.lgs. 6
settembre 2001 n. 368, che non si attagliava alla fattispecie esaminata, ed
erroneamente ha escluso che la contrattazione aziendale potesse validamente
concordare limiti temporali per la stipula di contratti a termine nel caso di
avvio di nuova attività.

6. La censura è infondata.

6.1. La Corte territoriale, nel dare atto che il
giudice di primo grado aveva dichiarato che il contratto a termine non poteva
essere ritenuto generico, a tal fine richiamando l’art. 10 comma 7 del d.lgs. n. 368
del 2001, ha poi verificato che la sentenza di primo grado aveva d’altro
canto accertato che in concreto non era più ravvisabile la fase di avvio della
nuova attività produttiva che in termini generali ne avrebbe potuto
giustificare l’apposizione. Nel pervenire a tale conclusione la Corte di merito
ha evidenziato che la definizione dell’ambito temporale di applicazione dell’art. 10 comma 7 citato è
demandato alla contrattazione collettiva che, nello specifico, a sua volta
aveva rimesso alla contrattazione di secondo livello la possibilità di elevare
il termine fissato dall’art. 86 del c.c.n.I. del terziario. Il giudice di
appello ha espressamente escluso che “la ragione giustificatrice
dell’assunzione a termine possa essere individuata nell’art. 10 comma 7” ed ha
verificato se al momento della stipula del contratto l’apertura della nuova
unità potesse ancora giustificare, anche sulla base della contrattazione
aziendale allegata, l’assunzione a termine ai sensi dell’art. 1 comma 1 del d.lgs. n. 368 del
2001.

6.2. Ne consegue che la censura formulata dalla
ricorrente nel primo motivo non coglie il senso della ricostruzione operata
dalla Corte di appello del sistema e nello specifico deve escludersi che la
sentenza abbia applicato l’art.
10 comma 7 ad una fattispecie diversa da quella disciplinata.

6.3. Seppure sinteticamente la Corte ha data
puntualmente atto dei diversi ambiti di applicazione delle disposizioni
invocate ed ha ben chiarito le ragioni per le quali ha escluso la persistenza
del regime derogatorio disciplinato dalla normativa collettiva verificando, con
apprezzamento di fatto a lei riservato, che non vi era prova che l’esigenza
addotta fosse ancora sussistente.

6.4. Quanto poi alla possibilità, autorizzata dal
contratto collettivo nazionale, per la contrattazione di secondo livello e, per
sua delega, anche aziendale di prevedere limiti temporali più ampi ed aderenti
alla situazione concreta si osserva che la censura, qui anticipata e
ulteriormente sviluppata nel secondo motivo di ricorso, non può essere accolta.
Si tratta infatti di doglianza che investe l’interpretazione di normativa
collettiva secondaria, non di livello nazionale, e non è consentita a questa
Corte l’interpretazione diretta delle disposizioni. La ricostruzione del tenore
delle norme dettate dalla contrattazione di secondo livello ed ancora inferiore
è demandata al giudice di merito e può essere censurata davanti alla Corte di
legittimità solo per violazione delle norme in tema di interpretazione dei
contratti con la specifica denuncia dei canoni che si assume siano stati
violati (Cass. 03/12/2013 n. 27062 e 17/02/2014 n. 3681). Né, peraltro, è vero
che la Corte di appello abbia ritenuto irrilevante ai fini della delimitazione
temporale della fase di avvio la contrattazione aziendale. Al contrario la
sentenza del giudice di appello non trascura affatto di considerare l’accordo
aziendale del 9 novembre 2010 che al contrario è esplicitamente richiamato in
motivazione.

7. Con il secondo motivo di ricorso la società
denuncia la violazione dell’art. 360 primo comma n.
5 cod. proc. civ. in relazione all’omesso esame di un fatto decisivo.

7.1. La Corte di merito avrebbe infatti trascurato
di considerare che il contratto di secondo livello demandava agli accordi
aziendali la definizione del periodo di avvio di nuova attività è che il
contratto individuale a termine rinviava proprio all’accordo aziendale.

8. Con il terzo motivo di ricorso si deduce ancora
che in violazione dell’art. 360 primo comma n. 5
cod. proc. civ. il giudice di secondo grado non avrebbe tenuto conto del
fatto che le esigenze legittimanti l’assunzione a termine, poste a fondamento
dell’accordo aziendale, erano persistenti all’atto della stipula del contratto
a termine successivamente prorogato.

9. Le due censure sono inammissibili.

9.1. Va qui ribadito che nell’ipotesi di c.d.
“doppia conforme”, prevista dall’art.
348-ter, comma 5 cod.proc.civ. – che ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del
2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del
2012, ai giudizi d’appello che, come nel caso in esame, siano stati
introdotti con ricorso depositato dal giorno 11 settembre 2012 – non è
ammissibile la censura riconducibile al vizio di motivazione previsto dall’art. 360 primo comma n. 5 cod.proc.civ. nel testo
riformulato dall’art. 54, comma
3, del d.l. n. 83 cit. applicabile alle sentenze pubblicate come la
presente dal giorno 11 settembre 2012. Il ricorrente in cassazione, per evitare
l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360,
n. 5, cod.proc.civ. ricordato, deve indicare le ragioni di fatto poste a
base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di
rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass.
10/03/2014 n. 5528, 22/12/2016 n. 26774 e 06/08/2019 n. 20994). Nel caso in
esame non è chiarito sotto quale profilo la motivazione del giudice di appello
si discosti nella valutazione dei fatti da quella del giudice di primo grado e
pertanto si scontrano con la preclusione dettata dall’art. 348 ter comma 5 citato.

10. Il quarto motivo di ricorso, con il quale la
società si duole del fatto che in violazione dell’art.132
n. 4 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360
primo comma n. 4 cod. proc. civ., con una motivazione del tutto illogica la
sentenza ha escluso che il periodo di durante il quale la società era
autorizzata ad assumere a termine durasse fino al 31.12.2014, è anch’esso
inammissibile.

11.3. La società denuncia la manifesta illogicità
della motivazione, quale vizio di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 primo comma n. 4 cod. proc. civ. in
relazione all’art. 360 primo comma n. 4 cod. proc.
civ.. La censura, il cui contenuto peraltro non è agevolmente comprensibile
si risolve però nella richiesta di una verifica del percorso logico seguito dal
giudice di appello che tuttavia è censurabile, ai sensi dell’art. 132 cod. proc. civ. solo nel caso, nella
specie insussistente, in cui la motivazione o manchi del tutto – nel senso che
alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del
processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione –
ovvero esista formalmente come parte del documento, ma le sue argomentazioni
siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di
individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (cfr. Cass.
06/06/2019 n. 15382).

14. In conclusione il ricorso deve essere rigettato
e le spese del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e
sono distratte in favore dell’avvocato E.S. che se ne è dichiarato
anticipatario. Ai sensi dell’art.
13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va poi dato atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello versato per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R.,
se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità che si liquidano in € 5000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli
accessori dovuti per legge. Spese da distrarsi in favore dell’avvocato E.S. che
se ne è dichiarato antistatario.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R.,
se dovuto.

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