Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 luglio 2020, n. 15413
Licenziamento per giusta causa, Delibera di esclusione di
socio di cooperativa, Gravissimo danno materiale e di immagine all’azienda,
Ripercussioni negative sui rapporti con la committente, Erronea valutazione
del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, Sindacato in
Cassazione
Rilevato che
1. La Corte di appello di Perugia, con la sentenza
n. 15 del 2018, ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa
città (n. 122 del 2016) con la quale, riuniti i procedimenti diretti ad
impugnare la delibera di esclusione di socio del 13.7.2011 nonché il
licenziamento per giusta causa, erano state rigettate le relative domande
proposte da S.T. nei confronti della S.A. Società Cooperativa.
2. Entrambi i provvedimenti erano stati adottati
dalla datrice di lavoro nei confronti del T. perché quest’ultimo, in data
9.6.2011, presso l’Ospedale S.M. della Misericordia nell’ufficio messo a
disposizione della Cooperativa quale appaltatrice dei lavori di pulizia, aveva
determinato grave turbamento a tale B., altro coordinatore di squadra, che si
era sentito accusare di una condotta insussistente (l’avere impedito al T. di
accedere nell’ufficio e di registrare la presenza in servizio) e aveva
cagionato un gravissimo danno materiale e di immagine all’azienda, con
ripercussioni negative sui rapporti con la committente, richiedendo
l’intervento della forza pubblica per un episodio rivelatosi non rispondente al
vero.
3. I giudici di seconde cure hanno precisato, a
fondamento della decisione, che: a) l’impugnazione della sentenza di primo
grado aveva investito anche il profilo della disposta esclusione da socio; in
ogni caso, però, la mancata impugnazione anche della delibera non privava il T.
di chiedere almeno il risarcimento del danno in ipotesi di illegittimità del
licenziamento; b) la circostanza che il B. ed il F. fossero direttamente
coinvolti nell’episodio, non era sufficiente a ritenere le loro deposizioni
inattendibili, anche perché gli altri testi indotti dal lavoratore avevano
fornito una versione differente e a lui favorevole; c) non era ravvisabile
alcuna violazione del principio di ultra-petizione atteso che la questione del
demansionamento era stata svolta nell’ottica di spiegare le ragioni della
condotta insubordinata e non collaborativa del dipendente; d) la sanzione
espulsiva era proporzionata rispetto al comportamento addebitato; e)
l’eccezione di decadenza della datrice di lavoro dal potere disciplinare non
era meritevole di accoglimento sia per motivi procedurali che per ragioni
sostanziali.
4. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione T.S. affidato a due motivi, cui ha resistito la S.A. Soc
Coop.
5. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia
l’illegittimità della sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di
diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c.; la violazione
o falsa applicazione dell’art. 2697 cc, dell’art. 2533 cc, dell’art. 5 legge n. 604 del 1966 e
degli artt. 115 e 116
c.p.c., per avere la Corte di merito accolto acriticamente la versione dei
fatti fornita dalla datrice di lavoro per legittimare il licenziamento e
l’espulsione dalla compagine societaria del dipendente, senza valutare le
risultanze istruttorie che avvaloravano la ricostruzione fornita dal lavoratore
le quali, esaminate correttamente, avrebbero determinato la conseguenza che la
società non aveva assolto l’onere di provare la giusta causa o il giustificato
motivo del licenziamento nonché di dimostrare la legittimità della delibera
espulsiva determinata da un grave inadempimento.
3. Con il secondo motivo si censura l’illegittimità
della sentenza per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c.; la violazione dei principi
di valutazione delle prove di cui agli artt. 115
e 116 c.p.c., dell’art.
2106 e 2533 cc, per avere la Corte
territoriale valutato la questione della proporzionalità tra la sanzione
espulsiva e l’addebito mosso attraverso una superficiale ed approssimativa
ricostruzione dei fatti di causa, senza considerare che la datrice di lavoro
non era stata in grado di dimostrare di avere subito un concreto danno (né
patrimoniale né all’immagine) in conseguenza della condotta del
socio-lavoratore.
4. Il ricorso è inammissibile.
5. I motivi, che per la loro connessione
logico-giuridica possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.
6. Infatti, in tema di ricorso per cassazione, una
questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta
dal giudice di merito, ma rispettivamente, solo allorché si alleghi che
quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti,
ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso,
valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero
abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento
critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass. 27.12.2016 n.
27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960): ipotesi,
queste, non denunziate nel caso in esame.
7. Quanto, poi, alla violazione del precetto di cui
all’art. 2697 cc, essa si configura soltanto
nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una
parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella
norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle
acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte
onerata non avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un
erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di
legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360
co. 1 n. 5 c.p.c.(Cass
5.9.2006 n. 19064; Cass. 10.2.2006 n. 2935).
8. In verità, osserva il Collegio che le
articolazioni delle censure, come formulate, si risolvono, in sostanza, nella
richiesta di riesame dell’accertamento operato dalla Corte territoriale in
fatto, che non è deferibile al giudice di legittimità cui spetta solo la
facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e
formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il
sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento
decisorio (Cass. 16.12.2011 n. 27197; Cass. 19.3.2009 n. 6694).
9. Infine, va considerato che, nell’attività di
valutazione delle prove, non è necessario che il giudice del merito prenda in
esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte
dalle parti, ma è sufficiente che indichi le ragioni del proprio convincimento,
dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte quelle
logicamente incompatibili con esse (Cass. n. 12121
del 2004; Cass. n. 24542 del 2009; Cass. n. 19748 del 2011).
10. Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha
esaminato le circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter
argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite ed
immune da contraddizioni e vizi logici; le valutazioni svolte e le coerenti
conclusioni che ne sono state tratte configurano, quindi, una opzione interpretativa
del materiale probatorio del tutto ragionevole, espressione di una potestà
propria del giudice di merito che non può essere sindacata nel suo esercizio (Cass. n. 14212 del 2010; Cass. n. 14911 del
2010).
11. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve,
pertanto, essere dichiarato inammissibile.
12. Alla declaratoria di inammissibilità segue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di
legittimità che si liquidano come da dispositivo.
13. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali,
sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il
ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del
presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4-000,00 per compensi,
oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi
liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.