Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 luglio 2020, n. 14884
Infortunio sul lavoro, Accertamento di responsabilità,
Ipotesi tipica di “caso fortuito”, Idoneità ad interrompere il nesso
eziologico tra la prestazione e l’attività assicurata, Mancata puntuale
indicazione delle norme asseritamente violate
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del
23.12.2015, respingeva il gravame proposto dai ricorrenti epigrafati avverso la
decisione del Tribunale partenopeo che aveva rigettato la domanda dei predetti,
intesa ad ottenere l’accertamento di responsabilità della Compagnia Trasporti
Pubblici CTP s.p.a. nella verificazione dell’infortunio occorso a G.B.,
congiunto dei ricorrenti, in data 30 giugno 2001, nel mentre costui, dipendente
con mansioni di autista, era alla guida della vettura aziendale, nonché la
domanda finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno biologico, morale ed
esistenziale derivatone al lavoratore.
2. La Corte partenopea rilevava come l’imprevedibile
ostacolo sulla carreggiata – presenza di un cane -, che aveva indotto il
lavoratore a porre in essere una brusca frenata del mezzo da lui condotto, che
ne aveva determinato lo sbandamento, costituiva l’ipotesi tipica di “caso
fortuito” idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la prestazione e
l’attività assicurata, oltre ogni considerazione sulle caratteristiche del
tratto oggetto del transito, rapportate alla tipologia del veicolo alla guida
del quale si trovava il danneggiato. Riteneva che la società di trasporti –
datrice di lavoro – non potesse essere considerata responsabile del danno
provocato al dipendente da un accadimento che, per i suoi caratteri di
imprevedibilità ed eccezionalità, integrava senza dubbio gli estremi del caso
fortuito e che l’unico profilo di specifica inadempienza della parte datoriale
ineriva alla circostanza che la società avesse potuto adibire il dipendente
alla guida di un veicolo le cui concrete caratteristiche non fossero conformi
alle prescrizioni impartite dalle disposizioni di legge e regolamentari in tema
di circolazione degli automezzi di trasporti di linea.
Al riguardo osservava che la società aveva
documentato, attraverso la produzione di copia della carta di circolazione
dell’autobus, alla cui guida si trovava il ricorrente al momento del sinistro,
che detto mezzo era stato sottoposto alla revisione con esito regolare e che
risultava perfettamente rispondente alle caratteristiche funzionali unificate
degli autobus urbani e suburbani di cui al D.M. 1.2.1982, come rilevabile anche
dal tabulato delle concessioni autolinee delle Regione Campania per l’anno
2001, da cui si evinceva che la linea denominata Pozzuoli – Lago Patria, ossia
quella percorsa dal dipendente, come dallo stesso dichiarato nel rapporto di
incidente a sua firma, fosse classificata “Ordinaria – Suburbana”. In
presenza di tali elementi, non potevano ascriversi a responsabilità della
convenuta le gravi conseguenze riportate a seguito del sinistro dall’autista,
ascrivibili all’eccezionale evento fortuito, ove non se ne volesse intravedere
una componente causalistica nella condotta di guida del conducente, i cui
eventuali profili di imperizia o di imprudenza, non indagati, avrebbero avuto,
comunque, anch’essi, idoneità a spezzare il nesso causale tra danno lamentato e
colpa datoriale.
3. L’insussistenza di sia pur minimi elementi cui
ancorare un giudizio di responsabilità della società non poteva che condurre –
a giudizio della Corte partenopea – al rigetto del gravame, al di là delle
valutazioni del primo giudice sull’insufficienza degli elementi acquisiti agli
atti per acclarare il nesso eziologico tra la patologia riscontrata a carico
del B. e l’evento traumatico dallo stesso subito il 30 giugno 2001, valutazioni
confortate, peraltro, dal parere del C.t.u. nominato, il quale individuava come
del tutto verosimile una personalità premorbosa del periziando tale da far
ritenere la psicosi cronica causalmente non dipendente dall’infortunio per cui
era processo.
4. Di tale decisione domandano la cassazione G. B.,
C.D.M., R.B. ed A.B., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con
controricorso, la s.p.a. C.T.P.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunziano
violazione o falsa applicazione dell’art 2087 c.c.,
della Direttiva Europea n. 97/27CE e del
Regolamento ECE/ONU n. 36, nonché del D.M. 18.7.1986 – Caratteristiche
funzionali ed unificazione degli autobus urbani e suburbani e Scheda NC586-05
della Commissione Tecnica di unificazione degli autoveicoli MCTC Direzione
Generale Ministero dei Trasporti, in combinato disposto dell’art 2087 c.c. e delle norme di prevenzione degli
infortuni sul lavoro -, sostenendo che la decisione impugnata sia erronea per
essere in contrasto con le norme più volte richiamate nel corso dei giudizi di
primo e secondo grado e che l’autobus sul quale viaggiava il B. non era
conforme alla normativa di sicurezza in vigore all’epoca dei fatti, poiché il
D.M. 1.2.1982 era stato superato da numerosi anni, con riguardo alla data del
sinistro del giugno 2001, da normativa relativa alle caratteristiche di
sicurezza molto più stringente e particolareggiata.
1.1 Osservano che l’autobus non era idoneo ad
effettuare la linea (tratta) Pozzuoli – Lago Patria, cui era stato adibito il
30.6.2001 e che tanto risultava dal libretto di circolazione dell’automezzo,
dal quale risultava che lo stesso non poteva effettuare tratte extra urbane.
Assumono di avere dedotto in primo grado e
riproposto nell’atto di appello, a pag. 4, che l’automezzo non era adibito a
tratte extraurbane, di avere descritto la dinamica del sinistro ed aggiungono
che l’autobus, al di là di quanto dedotto dalla controparte, era adibito a
linea extraurbana e che anche dal libretto di circolazione dell’automezzo
risultava che lo stesso non potesse effettuare tratte diverse da quelle urbane,
non essendo dotato del poggiatesta, come confermato dai testi escussi, presidio
di sicurezza che avrebbe attutito le conseguenze dannose.
1.2. Precisano che nell’atto di appello era stato
evidenziato come dopo il DM 1.2.1982 erano intervenuti altri D.M. che avevano
dettato norme sempre più stringenti e che la materia era stata oggetto di
disciplina a livello europeo nella Direttiva
97/27CE e nel Regolamento [CE/ONU n. 36, nella prima dei quali era
raccomandato che il conducente avesse uno spazio retrostante di almeno 60 cm. e
che il seggiolino fosse dotato di poggiatesta (d.m. 18.7.1986 – Caratteristiche
funzionali ed unificazione degli autobus urbani e suburbani e Scheda NC586-05
della Commissione Tecnica di unificazione degli autoveicoli MCTC Direzione
Generale Ministero dei Trasporti All. 1, di cui alle prime note difensive).
1.3. Assumono che ancora nel 2001 l’autobus condotto
dal B. non era dotato di poggiatesta e di un sufficiente spazio tra schienale
del seggiolino e paratia posta alle spalle del conducente e richiamano i
documenti allegati alle note difensive di primo grado, ribadendo che l’autobus
non era idoneo alla percorrenza in generale e di linee extraurbane. Osservano
che dalla carta di circolazione dell’autobus emergeva che il mezzo era stato
posto a revisione nel 1999, non più valida rispetto alla normativa in vigore
richiamata, e che pertanto lo stesso non poteva essere tenuto in servizio.
Riportano la carta di circolazione asseritamente prodotta in primo grado e
richiamano deposizioni rese da alcuni testi che avrebbero confermato la
mancanza di poggiatesta e di adeguato spazio dietro lo schienale.
1.4. I ricorrenti sostengono che la responsabilità
della resistente doveva affermarsi alla luce dell’Art.
2087 c.c., interpretato in combinato disposto con la Direttiva 97/27/CE e poi del Regolamento [CE /ONU
n. 37 e del DM 18.7.1986, e richiamano giurisprudenza della Corte di
legittimità sull’onere probatorio incombente sul datore di lavoro quanto
all’adempimento dell’obbligo di sicurezza con riguardo all’adozione di tutte le
misure atte ad evitare il danno e sull’esonero da responsabilità del datore
solo in presenza di comportamento del lavoratore del tutto esorbitante.
2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano
violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.,
per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, con specifico riferimento alla questione della
mancanza dell’obbligatorio poggiatesta ancorato al sedile di guida a protezione
del conducente.
3. Il primo motivo presenta profili di
inammissibilità connessi al suo confezionamento come motivo composito,
simultaneamente volto a denunciare, per il suo contenuto, violazione di legge e
vizio di motivazione, avuto riguardo al principio secondo cui, in tema di
ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di
mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi
contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3, 4 e
5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima
questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme
di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del
fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa
applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di
fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. 23 giugno 2017, n.
15651; Cass. 28 settembre 2016, n. 19133; Cass. 23 settembre 2011, n. 19443 e,
da ultimo Cass. 23.10.2018 n. 26874, nei termini riportati).
Si richiamano stralci delle difese contenute nel
ricorso di primo grado e nelle note ivi autorizzate, ma non si precisa in quali
termini la decisione di primo grado sia stata censurata in sede di gravame,
onde le critiche rivolte alla decisione impugnata potrebbero risultare nella
sostanza formulate nei riguardi della pronunzia del Tribunale, non precisandosi
su quali dei profili evidenziati nel presente ricorso la Corte di appello abbia
errato in relazione a puntuali doglianze espresse in ordine a quanto deciso già
dal primo giudice, pervenuto ad analoga pronunzia di rigetto della domanda.
3.1. La Direttiva richiamata nella presente sede ed
il relativo allegato hanno riguardo alla determinazione delle «masse
ammissibili per l’immatricolazione/ammissione alla circolazione» in ciascuno
Stato membro ed elencano i requisiti tecnici uniformi di veicoli a motore e dei
loro rimorchi. Nulla si dice in ricorso del contenuto del Regolamento ECE /ONU
n. 36 e non si trascrive il contenuto del richiamato D.M. 18.7.1986 (in maniera
inammissibile fatto oggetto di censura in via diretta attraverso la deduzione
di relativa violazione), che neanche si deposita e quindi anche con riguardo alla
assoluta genericità di tali richiami il motivo si rivela inammissibile.
3.2. A tali considerazioni deve aggiungersi quanto
reiteratamete affermato da questa Corte, secondo cui quando nel ricorso per
cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il
vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ., deve essere dedotto, a pena di
inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme
asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese
motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto,
contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme
regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita
dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr. in tali
sensi, tra le altre, Cass. 15.1.2015 n. 635, Cass. 16.7.2007 n. 17768, Cass.
16.1.2007 n. 828).
3.4. Vi è poi, nella sentenza impugnata, una duplice
ratio decidendi, se è vero che anche con riguardo alla insussistenza del nesso
eziologico tra patologia riscontrata ed evento traumatico subito dal B. la
sentenza di secondo grado conferma il decisum del primo giudice, sicchè,
rimanendo ferma tale autonoma ratio, non attinta dal presente ricorso, il
motivo sarebbe inammissibile anche per mancanza di interesse rispetto ad una
pronunzia che fosse relativa, in ipotesi, solo all’affermazione di
responsabilità datoriale, non potendo ad essa conseguire alcuna condanna del
datore di lavoro al risarcimento del danno differenziale richiesto.
4. Quanto al secondo motivo, va evidenziato che,
diversamente da quanto ritiene la controricorrente, non trova applicazione
nella specie l’art 348 ter, V comma, c.p.c.,
perché le disposizioni di cui all’art 348 ter
c.p.c., si applicano, ai sensi dell’art 54, comma 2, del D.L. 22 giugno
2012 n. 83, conv., con modificazioni, nella L.7
agosto 2012, n. 134, ai giudizi di appello introdotti con ricorso
depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal
trentesimo giorno successivo a quello della entrata in vigore della legge di
conversione del predetto decreto (come chiarito da Cass. n. 26860 del
18/12/2014, Cass. n. 23021 del 29/10/2014).
Il ricorso in appello nel caso in esame è stato
depositato il 10 gennaio 2012 e pertanto la controversia si pone ratione
temporis fuori dall’ambito di applicazione della norma in oggetto.
5. Al presente giudizio si applica, invece, ratíone
temporis, la formulazione dell’art. 360 comma 1, n.
5 c.p.c. introdotta dall’art.
54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, atteso che la sentenza
d’appello è stata pubblicata il 23.12.2015, dopo il trentesimo giorno
dall’entrata in vigore della legge di conversione del D. L. 83/2012.
6. Tuttavia, il motivo è assorbito dalle
osservazioni svolte con riguardo al primo e, comunque, lo stesso è anche privo
di specificità, perchè non si precisa in che termini un eventuale motivo di
gravame fosse stato articolato sulla specifica questione ed in che termini la
stessa, o meglio il fatto di cui si lamenta l’omesso esame, fosse stato oggetto
di discussione tra le parti.
7. Per le esposte considerazioni deve pervenirsi
alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.
8. Le spese del presente giudizio di legittimità
seguono la soccombenza del ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in
dispositivo.
9. Essendo stato il ricorso proposto in tempo
posteriore al 30 gennaio 2013, occorre dare atto della sussistenza dei
presupposti per l’applicabilità dell’art.
13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto
dall’art. 1, comma 17, legge 24
dicembre 2012, n. 228, presupposti che ricorrono anche in ipotesi di
declaratoria di inammissibilità del ricorso (cfr. Cass., Sez. Un., n.
22035/2014).
P.Q.M.
dichiara l’inammissibilità del ricorso. Condanna i
ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità,
liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali,
oltre accessori di legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie nella
misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma lbis, del citato
D.P.R., ove dovuto.