Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 luglio 2020, n. 15401

Licenziamento per la soppressione del posto di lavoro,
Esternalizzazione dell’attività di gestione e manutenzione del parco automezzi
– Mancato accertamento della possibilità di collocazione in altre mansioni,
anche inferiori, del lavoratore, Onere del lavoratore di indicare quali siano
al momento del recesso i posti esistenti in azienda, Non sussiste

 

Rilevato che

 

1. con sentenza 7 aprile 2017, la Corte d’appello di
Milano rigettava il reclamo proposto da P.G.C. avverso la sentenza di primo
grado, di reiezione della sua opposizione all’ordinanza dello stesso Tribunale,
che aveva dichiarato legittimo il licenziamento intimatogli dalla datrice G.A.
s.p.a. il 19 maggio 2014, esclusane la natura verbale, così come quella
ritorsiva per sussistenza di un giustificato motivo oggettivo (per la
soppressione del suo posto di lavoro in conseguenza di esternalizzazione
dell’attività di gestione e manutenzione del parco automezzi) e così pure la violazione
della legge 223/1991, inapplicabile in assenza
di prova del licenziamento di un numero di dipendenti superiore a cinque
nell’arco di centoventi giorni;

2. avverso tale sentenza il lavoratore ricorreva per
cassazione con sei motivi, cui la società resisteva con controricorso;

3. il P.G. rassegnava le conclusioni a norma dell’art. 380bis 1 c.p.c.;

4. parte ricorrente comunicava memoria ai sensi
dell’art. 380bis 1 c.p.c.;

 

Considerato che

 

1. il ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 2, 3,
5 I. 604/1966, 1362 c.c., per la ravvisata
sussistenza da parte della Corte territoriale del giustificato motivo oggettivo
sulla base di ragioni diverse (acquisto di proprietà dei veicoli della flotta
aziendale, mutamento delle condizioni di esternalizzazione dei servizi ad essa
relativi rispetto al precedente affidamento a C.S. s.p.a., redistribuzione ad
altri dipendenti di attività prima svolte dal lavoratore) da quelle della
lettera di licenziamento (soppressione della posizione lavorativa per
esternalizzazione dell’attività), con inammissibile integrazione dei motivi di
licenziamento e senza alcun accertamento dell’incidenza causale delle predette
ragioni sulla soppressione del posto di lavoro (primo motivo);

1.1. esso è infondato;

1.2. la Corte territoriale ha esattamente applicato
i principi di diritto in materia di giustificato motivo oggettivo per
soppressione della posizione lavorativa per l’esternalizzazione dell’attività (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201; Cass. 3 maggio 2017, n. 10699; Cass. 3 dicembre 2018, n. 31158; Cass. 18 luglio 2019, n. 19302), in base ad un
accertamento in fatto, sostenuto da una congrua argomentazione a
giustificazione del rigetto del motivo di doglianza del lavoratore appellante
(esposto sub 1 di pg. 20 della sentenza), incentrata proprio sulla diversa
gestione del parco auto a fondamento della riorganizzazione (dall’ultimo
capoverso di pg. 23 all’ultimo di pg. 25 della sentenza), insindacabile in sede
di legittimità, senza operare alcuna modificazione, né integrazione dei motivi
di licenziamento;

2. il ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 3, 5
I. 604/1966, 1175, 2103 c.c., 2697 c.c.,
per mancato accertamento della possibilità di collocazione in altre mansioni,
anche inferiori, del lavoratore nel contesto aziendale, in violazione
dell’onere di allegazione e prova datoriale (secondo motivo);

2.1. esso è inammissibile;

2.2. anche qui la Corte milanese ha fatto esatta
applicazione dei principi in tema di repechage, integrante elemento costitutivo
del licenziamento per giustificato motivo oggettivo nell’onere probatorio
datoriale (Cass. 20 ottobre 2017, n. 24882; Cass. 2 maggio 2018, n. 10435), avendo poi
escluso la possibilità di un reimpiego del lavoratore in mansioni inferiori
rientranti nel suo bagaglio professionale (Cass. 8
marzo 2016, n. 4509; Cass. 6 dicembre 2018, n.
31653; Cass. 24 settembre 2019, n. 23789),
per avere ciò verificato anche mediante la ravvisata insussistenza (agli ultimi
due capoversi di pg. 28 della sentenza) delle posizioni lavorative indicate dal
lavoratore reclamante come disponibili (verifica ben utilizzabile dal giudice
al fine di escludere la possibilità del repechage, sebbene non sussista un
onere del lavoratore di indicare quali siano al momento del recesso i posti
esistenti in azienda a tali fini: Cass. 22
novembre 2018, n. 30259), con accertamento in fatto (per le ragioni esposte
dall’ultimo capoverso di pg. 27 al terzo di pg. 29 della sentenza),
insindacabile in sede di legittimità;

3. il ricorrente deduce poi violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, 156 c.p.c., per illogicità e contraddittorietà
della motivazione a fondamento della sussistenza del giustificato motivo
oggettivo, in ordine all’esternalizzazione dell’attività del lavoratore presso
O. s.r.I., nonostante il precedente affidamento di analogo incarico a C.S.
s.p.a., nonché a fondamento dell’assolvimento dell’obbligo di repechage (terzo
motivo);

3.1. anch’esso è inammissibile;

3.2. la censura non prospetta in realtà un’ipotesi
di nullità della sentenza, ma piuttosto una sostanziale contestazione della
valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto della Corte territoriale,
in assenza di alcun contrasto irriducibile tra affermazioni motive
inconciliabili tali da determinare nullità della sentenza, non ricorrendo i
presupposti di configurabilità del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., che
circoscrive il sindacato di legittimità sulla motivazione alla sola verifica
della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma Cost., individuabile nelle
ipotesi (che si convertono in violazione dell’art.
132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e danno luogo a nullità della
“mancanza della motivazione quale requisito essenziale del
giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta
contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od
incomprensibile”, sentenza) di provvedimento ed irriducibile al di fuori
delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di
un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che
appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia
(Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12
ottobre 2017, n. 23940); un tale obbligo risulta poi violato qualora la
motivazione risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di
esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto
irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed
obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità
processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. (Cass. 25
settembre 2018, n. 22598);

4. il ricorrente deduce omesso esame di fatti
decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in tema di
giustificato motivo oggettivo quali l’inquadramento della posizione del
lavoratore nell’ambito aziendale, l’epoca e l’oggetto effettivi di
esternalizzazione delle attività inerenti la flotta aziendale, il contenuto
delle attività inerenti gli immobili di competenza del Facility Service Manager
in rapporto alle altre funzioni aziendale e l’attività dello stesso lavoratore
(quarto motivo); omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di
discussione tra le parti, in tema di repechage in ordine ad assunzioni della
datrice tra febbraio e maggio 2014 (quinto motivo);

4.1. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di
stretta connessione, sono inammissibili;

4.2. nel caso di specie ricorre l’ipotesi di cd.
“doppia conforme” prevista dall’art.
348ter, quinto comma c.p.c. applicabile ratione temporis, in difetto di
indicazione ad opera della parte ricorrente, per evitare l’inammissibilità del
motivo di cui al novellato testo dell’art. 360,
primo comma, n. 5 c.p.c., delle ragioni di fatto poste a base,
rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto
dell’appello, dimostrandone la diversità (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; Cass.
22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 17 gennaio 2019, n. 1197);

4.3. inoltre, la pluralità di fatti dei quali sia
dedotto l’omesso esame denuncia ex se la mancanza del carattere di decisività
di ognuno (Cass. 5 luglio 2016, n. 13676;
Cass. 28 maggio 2018, n. 13625);

4.4. infine, neppure sussistono fatti storici di cui
sia stato omesso l’esame, secondo il nuovo paradigma normativo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., quanto
piuttosto una contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento di
fatto della Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità, qualora
sorretti da adeguata argomentazione (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16
dicembre 2011, n. 27197; Cass. 17 gennaio 2019, n. 1197), come appunto nel caso
di specie, per le ragioni suindicate;

5. il ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 24 I.
223/1991, per mancanza di prova del licenziamento di un numero di
dipendenti superiore a cinque nell’arco di centoventi giorni, in riferimento
all’erronea valutazione della cessazione del rapporto nel periodo anche di F.G.
(risolto il 31 gennaio 2014 per il suo rifiuto di accettazione del
trasferimento per comprovate ragioni organizzative), da intendere integrare
licenziamento secondo la Direttiva 98/59 CE, come
interpretata in particolare dalla sentenza della
Corte di Giustizia UE 11 novembre 2015 in causa C- 422/14 (sesto motivo);

5.1. esso è fondato;

5.2. alla luce di una corretta interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 1, primo
comma, lettera a) della Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998
(concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in
materia di licenziamenti collettivi), rientra nella nozione di «licenziamento»
il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del
lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto
di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui
consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta dal
lavoratore medesimo (Corte di Giustizia UE 11
novembre 2015 in causa C-422/14, p.ti da 50 a 54);

5.3. una tale interpretazione, conforme alla citata
giurisprudenza della Corte di Giustizia, comporta il superamento della
precedente dell’art. 24 I.
223/1991, anche alla luce del dlgs. 151/97
di attuazione alla Direttiva comunitaria 26 giugno 1992, n. 56, nel senso che
nel numero minimo di cinque licenziamenti, ivi considerato come sufficiente ad
integrare l’ipotesi del licenziamento collettivo, non potessero includersi
altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, ancorché
riferibili all’iniziativa del datore di lavoro (Cass. 6 novembre 2001, n.
13714; Cass. 22 gennaio 2007, n. 1334):
dovendosi intendere il termine licenziamento in senso tecnico, senza potere ad
esso parificare qualunque altro tipo di cessazione del rapporto determinata
(anche o soltanto) da una scelta del lavoratore, come nelle ipotesi di
dimissioni, risoluzioni concordate, o prepensionamenti, anche ove tali forme di
cessazione del rapporto fossero riconducibili alla medesima operazione di
riduzione delle eccedenze della forza lavoro giustificante il ricorso ai
licenziamenti (Cass. 22 febbraio 2006, n. 3866; Cass.
29 marzo 2010, n. 7519);

5.4. la Corte territoriale ha violato il superiore
principio di diritto nell’escludere la rilevanza, ai fini del computo dei
lavoratori determinanti la configurabilità di un licenziamento collettivo, di
“alcune … risoluzioni consensuali” derivanti “dalla mancata
accettazione di un trasferimento” (così al penultimo capoverso di pg. 30
della sentenza);

6. pertanto il sesto motivo deve essere accolto, con
rigetto del primo e inammissibilità degli altri con la cassazione della
sentenza, in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per la regolazione
delle spese del giudizio secondo il regime di legittimità alla Corte d’appello
di Milano in diversa composizione;

 

P.Q.M.

 

accoglie il sesto motivo, rigettato il primo e
inammissibili gli altri; cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto e
rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla
Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 luglio 2020, n. 15401
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