Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 luglio 2020, n. 15405
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato, Ripristino del rapporto di lavoro e risarcimento del danno pari
alle retribuzioni maturate, Scelte organizzative dell’impresa, Ricorso alla
somministrazione, Onere di allegazione e prova da parte dell’utilizzatrice,
Ragione temporanea dedotta non provata
Rilevato che
1. il Tribunale di Busto Arsizio, rigettata
l’eccezione di decadenza sollevata dalla società A.H. s.p.a., aveva dichiarato
la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra
M.B. e la suindicata società dal 10.5.2011, data di conclusione della prima
somministrazione, ed aveva condannato quest’ultima al ripristino del rapporto
di lavoro ed al risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate dal
1.3.2012 – data di scadenza dell’ultimo rapporto di lavoro inter partes – sino
alla riammissione in servizio;
2. la Corte d’appello meneghina, con sentenza del
7.4.2016, in parziale riforma della decisione impugnata, determinava in sei
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto l’indennità dovuta
all’appellato ex art. 32, comma
5, I. 183/2010, oltre accessori di legge dalla data della sentenza che
accertava la conversione, confermando la decisione nel resto;
3. veniva ritenuta infondata l’eccezione di
decadenza ai sensi dell’art. 32
I. 183/2010 che la società aveva riproposto sul presupposto che il termine
fosse decorso in data 23.1.2011, ovvero dopo sessanta giorni dall’entrata in
vigore della novella, sostenendo che nella specie non potesse operare il
disposto dell’art. 32, comma
1 bis, introdotto dalla I. 26.2.2011: secondo
la Corte la portata della disposizione normativa era quella di rimettere in
termini tutti coloro che fossero medio tempore decaduti nell’arco di tempo dal
24.11.2010, data di entrata in vigore della I.
183/10, al 23 gennaio 2011, scadenza del termine di sessanta giorni per
l’entrata in vigore della novella che introduceva il termine di decadenza,
assegnando agli interessati titolari di rapporto di lavoro in corso, o, come
nel caso in discussione, già esauriti, un tempo congruo per valutare la propria
situazione;
4. avendo il lavoratore impugnato il contratto in
data 27.2.2012, a mezzo raccomandata ricevuta il 1.3.2012, non si era verificata
alcuna decadenza;
5. per il resto, la Corte rilevava che, se pure al
giudice non competeva il sindacato sulle scelte organizzative in ragione delle
quali un’impresa ricorreva alla somministrazione, il controllo giudiziale
doveva concentrarsi sulla verifica di effettività della scelta che, nella
specie, era stato tale da denotare come indimostrata l’esigenza dedotta nel
contratto di somministrazione;
5. corretta era ritenuta la disposta instaurazione
in sede di conversione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con
l’utilizzatore; tuttavia, trovando applicazione dell’art. 32 I. 183/2010, quanto alle
conseguenze risarcitorie, le stesse venivano quantificate in sei mensilità
della retribuzione globale di fatto;
6. di tale decisione domanda la cassazione la
società, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso,
il lavoratore.
Considerato che
1. con il primo motivo, la società denunzia
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32 commi 1, 1 bis –
introdotto dall’art. 2, comma 54,
del d. I. 225/2010 (decreto milleproproghe) convertito nella legge 10/2011 – 3 e 4 della legge 183/2010,
nonchè degli artt. 11 e 12 delle Preleggi, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., assumendo che il differimento dell’efficacia
con il cd. mille proroghe era da riferire unicamente alla novità introdotta con
il comma 1 dell’art. 32, vale
a dire l’avere sottoposto l’impugnativa stragiudiziale alla condizione, pena la
perdita di efficacia, di proporre il ricorso giudiziale nel termine dall’epoca
di 270 gg. ora ridotto a 180, per l’impugnazione giudiziale del licenziamento.
In sostanza, sostiene che, per effetto del cd. mille proroghe, sino al
31.12.2011 le impugnative stragiudiziali dei licenziamenti, da proporsi entro
60 gg., sono soggette, ai fini della loro efficacia, al realizzarsi della
condizione che venga presentato il ricorso nei successivi 270 gg., ma ciò solo con
esclusivo riferimento alle ipotesi di licenziamento, in quanto, se il
legislatore avesse voluto riferirsi anche agli altri casi per i quali è
previsto il termine di impugnativa a pena di decadenza, non avrebbe menzionato
espressamente il licenziamento, ma avrebbe fatto riferimento, più in generale,
al regime delle decadenze di cui al collegato lavoro, senza alcuna ulteriore
precisazione. Rileva che nel caso di specie i contratti (ad eccezione
dell’ultimo) erano scaduti prima del 31.12.2011, sicchè si era già realizzata
la decadenza, avendo il B. provveduto all’impugnativa stragiudiziale del
termine solo in data 28.2.2012, oltre il previsto termine di 60 giorni;
2. con il secondo motivo, la ricorrente si duole
della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 20, 4° comma, e 27, 3° comma del d. Igs. 276/2003
e dell’art. 41 Cost., ritenendo che le carenze
di allegazioni sottolineate nell’impugnata sentenza, ben lungi dall’essere
necessarie ai fini della valutazione della sussistenza della causale addotta
per la stipula del contratto di somministrazione, siano diversamente
finalizzate a valutare l’effettiva necessità di ricorrere alla somministrazione
sindacando nel merito le valutazioni e le scelte che hanno indotto
l’imprenditore a ricorrere a tale tipologia contrattuale, sindacato precluso
dal dettato dell’art. 41 Cost. e dalla
specifica disciplina della somministrazione art. 27, co 3 d. Igs. 276/2003.
Evidenzia come nella specie era allegata la circostanza che, al momento
dell’assunzione del B., sussistevano ragioni di carattere organizzativo legate
all’acquisizione di servizi di handling per conto di varie compagnie aeree ed
alla scadenza di contratti con alcuni clienti dei quali era incerta la proroga
con impossibilità di valutazione del fabbisogno di organico. Tale circostanza,
corroborata dal fatto che lo stesso lavoratore nel ricorso introduttivo aveva
ammesso di essere stato assunto per tali ragioni – limitandosi a contestare la
genericità della causale e della sua idoneità a provare l’effettiva sussistenza
di esigenza idonea a fondare il ricorso alla somministrazione – era tale da
integrare la ricorrenza del menzionato carico lavorativo connesso
all’acquisizione di un nuovo cliente, che comportava inevitabilmente un
incremento di attività, onde era in contrasto con i generali principi in materia
di libertà di impresa ogni indagine da parte del giudice del merito in ordine
alla sussistenza dell’effettiva necessità di ricorrere al lavoro somministrato;
3. con il terzo motivo, A.H. ascrive alla decisione
impugnata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 27, 1 e 2 comma, del d.lgs
276/2003, in relazione all’art. 360, n. 3,
c.p.c., adducendo che il rapporto a termine non potesse convertirsi in
rapporto a tempo indeterminato con l’utilizzatore;
4. il primo motivo di ricorso è infondato, poichè l’art. 32, comma 1 bis, della I. n.
183 del 2010, introdotto dal d.l. n. 225 del
2010, conv. con mod. dalla I. n. 10 del 2011,
nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31
dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di
sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i
contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di
novità di cui al novellato art.
6 della I. n. 604 del 1966, sicché, con riguardo ai contratti a termine non
solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia
maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in
vigore del cd. “collegato lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del
termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva
del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante
la rimessione in termini, rispondendo alla ratio legis di attenuare, in chiave
costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione “ex
novo” del suddetto e ristretto termine di decadenza (Cass. S.U. 14/03/2016
n. 4913 e successivamente con particolare riguardo all’applicabilità ai
contratti in somministrazione già scaduti alla data del 24.11.2010 cfr. Cass. n. 2420 del 2016, Cass. n. 7788 del 2017 e 18/12/2018 n. 32702);
5. il secondo motivo tenta di ricondurre il giudizio
attinente alla verifica di effettività, che va operato dal giudice in relazione
alla reale sussistenza delle esigenze dedotte, ad un’inammissibile valutazione
della scelta imprenditoriale di ricorrere al lavoro somministrato: la sentenza
ha ben precisato quale fosse l’oggetto del sindacato ed ha ritenuto che le circostanze
allegate non consentissero tale verifica in sede istruttoria;
5.1. è stato ritenuto che le ragioni addotte non
potevano essere considerate idonee, in relazione alla genericità delle
circostanze oggetto della prova per testi articolata, con riferimento alle
componenti identificative essenziali della causale, sia quanto al contenuto che
alla sua portata spazio temporale, che, più in generale circostanziale, sì da
rendere possibile il controllo della loro effettività;
5.2. in concreto è stato valutato come non assolto
l’onere di allegazione e prova da parte dell’utilizzatrice, non potendo la
ragione temporanea dedotta dirsi provata, senza indicazione alcuna dello stato
occupazionale specifico della realtà organizzativa ove operava il controricorrente,
e della sua idoneità a giustificare il ricorso a unità supplementari
somministrate per soddisfare le esigenze cui risultava finalizzata l’assunzione
anche del predetto, oltre che della temporaneità della causale in relazione al
contratto stipulato a termine, e dovendo ritenersi insufficiente il generico
richiamo alla sussistenza delle esigenze di implementazione connesse al
progetto menzionato ed alla necessità di fronteggiare il fabbisogno di organico
connesso al verificarsi di alcune scadenze contrattuali;
6. in ordine al terzo motivo, è sufficiente
osservare, in conformità a consolidato orientamento giurisprudenziale di
legittimità, che il contratto che si viene ad instaurare con l’utilizzatore
della prestazione non può che essere a tempo indeterminato, in quanto (cfr. Cass. 15.7.2011 n. 15610, e, tra le successive, Cass. 8.5.2012 n. 6933) il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27,
comma 1, stabilisce espressamente che in ipotesi di somministrazione avvenuta
al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli artt. 20 e 21, comma 1, lett. a),
b), c), d) ed e) il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a
norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche
soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un
rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio
della somministrazione e che, pertanto, la stessa efficacia “ex tunc”
che la norma in esame ricollega alla sentenza costitutiva provocata da un tale
tipo di ricorso rappresenta un valido elemento letterale e logico che autorizza
a ritenere che, se il legislatore avesse voluto riferirsi alla costituzione di
un rapporto diverso da quello a tempo indeterminato, non avrebbe certamente
avuto ragione di dover far riferimento ad una costituzione del rapporto con
effetto dall’inizio della somministrazione stessa;
6.1. un ulteriore ed insuperabile argomento
sistematico è quello per il quale, diversamente opinando, verrebbe ad essere
facilmente aggirata la disciplina limitativa del contratto a termine: invero,
qualora si volesse sostenere che anche il rapporto che si instaura “ex
lege” con l’impresa utilizzatrice debba essere a termine, ad onta della
accertata illegittimità del ricorso alla tipologia del contratto di
somministrazione di lavoro a tempo determinato, si perverrebbe alla
inaccettabile ed assurda situazione per la quale la violazione così perpetrata
consentirebbe all’impresa utilizzatrice di beneficiare di una prestazione a
termine altrimenti preclusa (cfr. Cass. 15610/2011
cit.)
7. alla stregua delle esposte considerazioni, il
ricorso va complessivamente respinto;
8. le spese del presente giudizio seguono la
soccombenza della ricorrente e sono liquidate nella misura indicata in
dispositivo;
9. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115
del 2002;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro
200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori
come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento
da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1bis, del citato
D.P.R., ove dovuto.