Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 luglio 2020, n. 15416
Indebito pensionistico, Onere della prova fosse a carico del
pensionato, Comunicazione all’INPS della propria situazione reddituale,
Pagamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato, Reddito
inferiore a quello previsto dagli artt.
9 e 76 del D.P.R. 115/2002
Considerato che
la Corte di appello di Roma con sentenza n. 1347/2018
rigettava l’appello di D. M. avverso la sentenza che aveva respinto la domanda
di dichiarazione di illegittimità del provvedimento dell’INPS di indebito sulla
pensione del 15.12.2014. La Corte rilevava che il provvedimento dell’Inps fosse
specifico, motivato e corretto e che il giudice di primo grado avesse affermato
che trattandosi di indebito previdenziale l’onere della prova fosse a carico
del pensionato.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per
cassazione D. con quattro motivi illustrati da memoria, ai quali ha resistito
l’INPS con controricorso.
E’ stata comunicata alle parti la proposta del
giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di
consiglio.
Ritenuto che
1.- Il primo motivo di ricorso deduce violazione e
falsa applicazione dell’art. 35 comma 10 della l. 147/2009 e dell’art. 1 legge 335/1995, atteso
che la D. aveva assolto l’onere di comunicazione all’INPS della propria
situazione reddituale mentre la richiesta di indebito dell’INPS nasceva dal
paradosso di avere considerato nell’importo presente sul mod. 730 per l’anno
2012 la stessa prestazione di reversibilità, sommandola al trattamento
pensionistico di vecchiaia.
Il motivo deve ritenersi inammissibile in quanto
introduce in questa sede di legittimità questioni di fatto e di diritto nuove
di cui non parla la sentenza impugnata e di cui nulla si dice circa la loro
rituale allegazione e deduzione nei precedenti gradi di giudizio.
2.- Col secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. e 3 L. 241 del 1990 per la
genericità del provvedimento INPS.
Anche tale motivo è inammissibile perché impinge nel
merito della valutazione effettuata dalla Corte, la quale ha negato la
genericità del provvedimento affermando che nella nota dell’INPS fosse inserito
il conteggio analitico con gli importi non dovuti e le differenze indebite, il
periodo cui si riferiva l’indebito, le ragioni della pretesa. Le censure
esposte dal ricorrente non rispettano peraltro neppure il principio di
specificità ed autosufficienza e si pongono contro la pronuncia delle Sez. un. n. 18046/10, in base alla quale spetta al
pensionato provare il diritto a ritenere le somme percepite ed oggetto della
richiesta di ripetizione dell’INPS.
3.- Col terzo motivo si sostiene la violazione dell’art 420 c.p.c. perché la Corte ha affermato che
non ci fosse bisogno di note difensive. E che la parte avrebbe potuto replicare
dopo la costituzione dell’INPS ed aggiustare il tiro. Il motivo è infondato
perché quanto affermato dalla Corte sulla mancanza di un diritto alle note
rispecchia i principi regolatori del processo del lavoro ed è conforme ai
poteri riconosciuti dal codice di rito al giudice del lavoro ai fini della
modulazione del contraddittorio e dei tempi del processo. Oltre tutto, anche in
tal caso la valutazione effettuata dalla Corte d’Appello appare congrua e
conseguente alla rilevata completezza e specificità del provvedimento
amministrativo comunicato al ricorrente.
4.- Col quarto motivo si impugna la condanna al
pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, avendo la
ricorrente sempre dichiarato la titolarità di un reddito familiare imponibile,
ai fini delle imposte dirette, inferiore rispetto al triplo dell’importo
previsto dall’art. 76 del Testo
Unico imposta personale sul reddito; pertanto non poteva essere condannata al
pagamento dell’ulteriore importo del contributo unificato.
Il motivo è da accogliere in quanto, come risulta in
atti, il ricorrente era in possesso di un reddito inferiore a quello previsto
dagli artt. 9 e 76 DPR 115 del 2002; e, pertanto,
non poteva essere condannato al pagamento dell’ulteriore importo previsto a
titolo di contributo unificato dall’art.
13 comma 1 quater, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma
del comma 1-bis in ipotesi in cui la stessa impugnazione sia stata respinta
integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile. Il ricorrente era,
appunto, esentato ab origine per motivi reddituali dal pagamento del contributo
unificato e non poteva perciò essere condannato neppure al raddoppio.
5.- Per le considerazioni che precedono deve essere
accolto il quarto motivo di ricorso mentre vanno rigettati gli altri. La
sentenza deve essere quindi cassata in relazione al motivo accolto e non
sussistendo la necessità di ulteriori accertamenti va dichiarato che il
ricorrente non fosse tenuto al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato.
Le spese processuali vanno compensate per la
reciproca soccombenza.
6.- Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso non sussistono i presupposti processuali per
il raddoppio del contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso
a norma del dpr n. 115/2002.
P.Q.M.
Accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta i
primi tre motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e,
non sussistendo la necessità di ulteriori accertamenti, dichiara che il
ricorrente non fosse tenuto al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato. Compensa le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n. 115
del 2002, dà atto della insussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma
1 bis , dello stesso art. 13.