Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 22 luglio 2020, n. 15637
Natura subordinata del rapporto con giornalista, Rapporto di
collaborazione fissa, Trasmissione degli articoli alla redazione in modo
costante e continuativo, Alcuna successione di singoli incarichi, Stabile
inserimento nell’organizzazione del giornale
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 5890/2012 il Tribunale di Roma,
in accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla società E.
s.r.l., dichiarava l’infondatezza delle pretese dell’Istituto Nazionale di
Previdenza dei Giornalisti Italiani “Giovanni Amendola” (INPGI) in
relazione alla posizione del giornalista G. S., revocando il decreto e
compensando tra le parti le spese di lite.
g. Contro la detta sentenza l’INPGI proponeva
impugnazione dinanzi alla Corte di appello di Roma, lamentando l’erroneità
della sentenza di prime cure che, nonostante le chiare risultanze istruttorie,
non aveva ritenuto la natura subordinata del rapporto con la E. del predetto
giornalista. La E. si costituiva per resistere all’impugnazione.
3. Con sentenza pubblicata l’8.3.2014 la Corte di
appello di Roma, in riforma della sentenza impugnata, respingeva l’opposizione
proposta dalla E. al decreto ingiuntivo e condannava quest’ultima al pagamento
delle spese del doppio grado di giudizio.
4. Richiamata la giurisprudenza di questa Corte in
materia di vincolo della subordinazione nel lavoro giornalistico, il giudice di
appello rilevava che dal complesso della
prova esaminata emergeva che il giornalista G. S. forniva alla redazione circa
sessanta articoli mensili, per le testate “P.” e “L.
Sport”; che egli seguiva costantemente, con cadenza quotidiana, l’ambito
della pallacanestro nel settore dilettantistico, mentre gli altri giornalisti
che seguivano il basket si occupavano della squadra del Varese; che egli doveva
fornire alla redazione risultati e commenti sugli eventi relativi al basket, in
forza della direttiva del direttore. In conseguenza, la Corte territoriale
riteneva la fattispecie sussumibile nel caso identificato dalla giurisprudenza
di questa Corte come “rapporto di collaborazione fissa”. Dagli elementi
acquisiti emergeva secondo il giudice di appello l’esistenza di un obbligo da
parte dello S. di fornire un determinato numero di articoli e di assicurare
l’acquisizione delle notizie nel particolare settore in cui egli era esperto –
basket dilettantistico e semiprofessionistico – coprendo l’esigenza informativa
del giornale in quello specifico ambito. Inoltre, risultava che la trasmissione
degli articoli alla redazione avveniva in modo costante e continuativo, senza
che potesse ipotizzarsi una successione di singoli incarichi. Di qui, la
conclusione che il giornalista rimanesse a disposizione della testata
nell’intervallo tra una prestazione e l’altra e che dunque, assicurando la
continua copertura della specifica esigenza informativa del giornale, egli
fosse stabilmente inserito nell’organizzazione del giornale per cui lavorava.
5. Avverso la citata sentenza della Corte
territoriale la società E. propone ricorso per cassazione affidato a due
motivi. L’INPGI resiste con controricorso illustrato da memoria.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
2. Con il primo motivo la ricorrente si duole
dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, cioè la sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato con altri soggetti giuridici in concorrenza con la stessa società
ricorrente, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5
cod.proc.civ.
3. Con il secondo motivo la E. lamenta ancora
l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti, quale la sussistenza di un contratto di collaborazione
di natura autonoma con il giornalista in questione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod.proc.civ.
4. I due motivi, che attengono a pretesi vizi di
motivazione della sentenza impugnata, possono essere esaminati congiuntamente.
5. Entrambi presentano evidenti profili
d’inammissibilità, in particolare per mancato rispetto del principio di
autosufficienza del ricorso in cassazione, giacché essi si limitano a
contestare genericamente vizi motivazionali della sentenza impugnata,
riproponendo le argomentazioni già fatte valere nei gradi di merito.
6. Come questa Corte ha affermato in particolare con
la sentenza a Sezioni Unite n. 8053 del 2014,
il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c.,
comma 1, nuovo n. 5, concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del
dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale),
che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a
dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso
esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico
rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché
questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente
rilevanti.
7. La parte ricorrente dovrà, quindi, indicare – nel
rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art.
366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c.,
comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato,
testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti
processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro
processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, la
decisività del fatto stesso. Tali elementi mancano nel ricorso, che si limita
ad evocare, quanto al primo motivo, l’esistenza di un rapporto di lavoro
subordinato del giornalista S. con la società T. s.r.l., oltre a riferirsi a
prove testimoniali attestanti varie circostanze ritenute rilevanti per
dimostrare la mancanza di continuità della presenza dello S. al Giornale, la
brevità della stessa e la mancanza di vincoli, e, quanto al secondo, che la
sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare l’esistenza di un accordo di
lavoro autonomo, che espressamente escludeva la sussistenza di un vincolo di
subordinazione, senza le precise indicazioni richieste dai principi
giurisprudenziali suindicati, cui il Collegio intende dare continuità.
8. In ogni caso le circostanze invocate mancano
all’evidenza di decisività. Vero è che il ricorrente, pur denunciando,
formalmente, un insanabile deficit motivazionale della sentenza di secondo
grado, inammissibilmente (perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici
e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova
valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul
piano processuale) così come emerse nel corso dei precedenti gradi del
procedimento, mostrando in tal modo di aspirare ad una surrettizia
trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo
grado di merito, nel quale ridiscutcre analiticamente tanto il contenuto, ormai
consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità
maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora
le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo
censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri
desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei
fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di
legittimità.
9. Alla luce delle considerazioni che precedono, il
ricorso è quindi complessivamente da rigettare.
10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo.
11. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma
del comma 1-bis dello stesso art.
13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in curo 200,00
per esborsi, euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed
accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13, se
dovuto.